[107] E se fossero gli elettori a decidere sul finanziamento degli stadi?
Negli USA questa cosa sta succedendo. A volte vince il si ed altre volte vince il no, certamente trionfa la democrazia, anche quando certe scelte d'investimento fanno storcere il naso.
Il Napoli è Campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia. L’analisi del titolo della squadra di Antonio Conte, che diventa il primo allenatore italiano a vincere lo scudetto con tre club diversi uscirà nell’edizione di Io li ho visti cosi di martedì mattina.
Prologo
A inizio mese scrissi un post dal titolo Lo stadio di proprietà non farà ricco il vostro club (e tantomeno la vostra città) e personalmente rimango convinto che gli impianti dovrebbero essere interamente costruiti a spese dei club che li utilizzeranno.
Anche negli USA negli ultimi anni i finanziamenti pubblici per la costruzione di arene sportive negli Stati Uniti sono in netto calo.
Ma non mancano le eccezioni, come quella di Oklahoma City, dove nel dicembre 2023, il 71% degli elettori ha approvato un'estensione di sei anni di una tassa sulle vendite dell'1% per finanziare una nuova arena da 900 milioni di dollari per i Thunder, una delle franchigie dell’NBA. Di questo importo, 850 milioni saranno coperti dai contribuenti, mentre i proprietari della squadra contribuiranno con soli 50 milioni. Il sindaco David Holt ha riconosciuto che la città aveva poco margine di manovra, poiché i Thunder avrebbero potuto trasferirsi altrove.
Questa decisione ha suscitato critiche, poiché in altre città gli elettori hanno respinto simili proposte di finanziamento pubblico. Alla base, tuttavia, rimane la scelta fatta dai cittadini, giusta o meno, in modo democratico e partecipato. È un tema su cui riflettere, a cui non ho una risposta univoca e sul quale mi piacerebbe sentire la vostra opinione.
Questa settimana. Su Fubolitix ho parlato di:
Il piacere della contemporaneità [IVC #37] Dopo anni di spezzatino questa stagione ci ha regalato, sia in Champions League che in Serie A, due eventi emozionanti in direzione opposta: è tempo di rivalutare l'idea di giocare tutti insieme?
Avversario e competitor sono due cose diverse Un tifoso di calcio che legittimamente vuole essere quello e non altro fatica a capire i confini tra sport e business, ma chi è chiamato a organizzare e decidere deve aver ben presente i perimetri
Credibilita, questa sconosciuta Ci prepariamo all'ennesima estate di carte bollate del calcio italiano. Ma è inutile prendersela con Gravina: non si tratta di un nominato ma di un eletto che esprime l'essenza del nostro calcio.
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Giovani, italiani e non tatuati. Forse ricorderete la mia serie di post qui su Fubolitix (qui trovate il sesto ed ultimo della serie con all’interno gli altri link) in cui dopo l’eliminazione dell’Italia dagli Europei 2024 provai ad analizzare la situazione cercando di andare oltre la solita retorica. Tra le cose che si dicono sempre c’è quella che ci sarebbero pochi italiani in Serie A. Personalmente ho sempre sostenuto che il problema, forse è opposto: ci sono in generale pochi italiani all’estero, perché il nostro calcio, da sempre importatore, genera una scarsa propensione all’emigrazione. Il dato - che non è nuovo - è comunque confermato da un recente studio del CIES: tra i paesi con i top campionati l’Italia è l’unico a non essere nella top ten per calciatori all’estero. I 6 paesi che esportano di più, invece, sono Brasile, Francia, Argentina, Inghilterra, Spagna e Germania. L’Italia è solo 24esima. Il che non vuol dire che per avere una nazionale forte bisogna esportare, solo che quelli che vi dicono che la soluzione è tenere gli italiani giovani, non tatuati e ben pettinati, come li voleva Berlusconi ai suoi tempi, in Italia, non ha alcun valore se si vuole una nazionale forte.
Ci vuole un fondo. Nelle ultime settimane si è assistito a una sorprendente ondata di annunci nel mondo degli investimenti sportivi, ben documentate dal sempre attento Andy Petcash su Profluence, impensabile fino a pochi anni fa. Mark Cuban ha presentato un fondo sportivo da 750 milioni di dollari; Dave Checketts, ex CEO di MSG Sports, ha annunciato un fondo da 1,2 miliardi destinato a investimenti legati allo sport; Ryan Smith, proprietario degli Utah Jazz, ha lanciato un fondo da 1 miliardo rivolto al settore sportivo e dell'intrattenimento; infine, il colosso del private equity TPG, con oltre 250 miliardi di dollari in gestione, ha creato un veicolo d’investimento sportivo insieme al golfista Rory McIlroy. In questo momento, insomma, trovare soldi per fare sport è probabilmente la cosa più facile del mondo. Quello che si continua a non voler capire è che per accogliere questi investimenti bisogna studiare piattaforme virtuose in grado di attrarre i capitali, magari superando le logiche ormai logore di un mondo novecentesco che non regge più.
Una fabbrica di disoccupati. Era la definizione che un amico direttore sportivo dava parlando di Serie C e Serie D almeno una ventina di anni fa. E che mi è tornata alla mente quando ho letto che il 50% dei calciatori in italia guadagna meno di 50 mila euro all’anno (dati INPS).
Video recap. MLB ha lanciato “My Daily Story”, un servizio che usa l’intelligenza artificiale generativa per offrire video personalizzati ai fan tramite app e sito. Usando dati comportamentali e preferenze, crea highlights quotidiani in stile TikTok. Secondo SportsPro, MLB sfrutta al meglio il potenziale dell’AI per attrarre fan giovani in un mercato saturo, dimostrando come i contenuti personalizzati siano il principale ambito d’uso maturo della gen AI nello sport.
Prezzo record. I proprietari dei San Francisco 49ers stanno per vendere il 6% della squadra a tre famiglie della Bay Area, portando la valutazione del team a oltre 8,5 miliardi di dollari, la più alta mai registrata per una squadra sportiva. Anche i Los Angeles Chargers stanno cercando l’approvazione per vendere l’8% ad Arctos. Si tratta di un ulteriore passo nella direzione della vendita a pezzi di cui parlavo qualche giorno fa: cessioni di piccole percentuali di società - dicevo - saranno sempre più comuni in futuro, visto che come fatto notare opportunamente da The Athletic, i club di Premier League sono ormai diventati troppo cari anche per Amazon. E quindi la cessione a pezzi è decisiva.
Transizione. La NBA sta vivendo un'epoca di parità senza precedenti, con sette campioni diversi nelle ultime sette stagioni, segnando la fine delle dinastie tradizionali. Questo cambiamento è in parte dovuto al nuovo accordo collettivo del 2023, che ha introdotto restrizioni salariali più severe, come i "secondi aprons", limitando la flessibilità delle squadre con budget elevati. Di conseguenza, le franchigie di mercati medi e piccoli, come Thunder, Pacers, Timberwolves e Knicks, hanno raggiunto le finali di conference del 2025. Questa nuova era favorisce la competitività e l'imprevedibilità, ma solleva interrogativi sulla sostenibilità finanziaria a lungo termine per alcune squadre.
Dopo il boom. Il basket femminile americano è al momento il caso di studio più interessante relativo ad una lega sportiva che dopo il boom di interesse e spettatori deve ora trasformare l’entusiasmo in crescita sostenibile. Per questo - come analizza FOS - la WNBA punta su strategie mirate: espansione della lega con nuove squadre, investimenti nel marketing delle giocatrici e miglioramento dell’esperienza dei fan. Si lavora anche su accordi mediatici più redditizi, con maggiore copertura televisiva e streaming. Le partnership commerciali sono in crescita, così come l’interesse degli sponsor. Inoltre, si investe in infrastrutture, salari e visibilità a lungo termine. L’obiettivo è costruire una base solida che vada oltre la popolarità momentanea, fidelizzando tifosi e garantendo una presenza costante nel panorama sportivo professionistico, replicando modelli di successo di altre leghe.
Epilogo
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Questa settimana si è parlato di un clamoroso proposito di Barcellona e Real Madrid che vorrebbero chiudere le loro academy dedicate al basket perché ultimamente sono sempre più saccheggiate dalla NCAA americana in grado di offrire accordi migliori e istruzione universitaria di alto livello ai giovani talenti attratti dai contratti NIL (Name, Image, Likeness) che permettono loro di guadagnare fin da subito (ne parlai in Sport e social media, la rivoluzione silente).
Tra i giocatori recentemente partiti figurano Kasparas Jakucionis e anche l’italiano Dame Sarr (Barça), Ismaila Diagné, Jan Vide ed Egor Demin (Real Madrid). Questa fuga di talenti, unita ai costi elevati di gestione dei vivai e alla difficoltà di trattenerli fino al debutto professionistico, ha spinto i club a considerare la riallocazione delle risorse direttamente verso le prime squadre.
Il tema della formazione dei talenti anche fuori dal campo sta diventando sempre più centrale nello sviluppo sportivo. Io ne avevo parlato a metà aprile in Calciatori e scuole private, l'ultimo investimento della Premier, raccontando come in Inghilterra si sono accorti che il bravo coi piedi che non va bene a scuola, in un mondo complesso come il nostro non può più esistere.