[14] Giustizia sportiva, una crisi globale
Dopo le vicende che riguardano la Juventus, anche in Spagna e Inghilterra si sono aperti due casi (Barcellona e Manchester City) che evidenziano un malessere profondo nella gestione delle controversie
Diverse vicende di attualità confermano l’impressione che il sistema calcistico europeo emerso dalla Legge Bosman del 1995, passato dal compromesso sulla Champions League varato nel 2000 e regolamentato dal Fair play finanziario del 2012 stia entrando definitivamente in crisi.
La novità é che per la prima volta non si discute solo di modelli di business, ma ad essere fortemente sotto osservazione é il sistema di gestione della giustizia sportiva, che - non solo in Italia ma anche in Inghilterra e Spagna - sta vivendo momenti di tensione tra club, federazioni e mondo della politica.
Il quadro é frastagliato e del tutto non ideologico, con i tifosi che di volta in volta si schierano con gli uni o con gli altri. Del resto al tifoso giustamente interessa solo poter godere e soffrire con la propria squadra. Questo, tuttavia, lo rende strumentalizzabile e sostanzialmente in preda degli eventi.
Ne parlo con dovizia di particolari più avanti, in questo numero di Fubolitix, con l’obiettivo dichiarato, come sempre, di non dividere il mondo tra buoni e cattivi, ma di registrare quanto accade e provare ad offrire uno scenario interpretativo il più possibile esaustivo.
Chiudete quella porta
Il weekend in cui l’America celebra il Super Bowl, ed il mondo rimane a guardare interrogandosi sul successo planetario di qualcosa che in fondo é solo americano, impone alcune riflessioni.
Ho provato a semplificarlo con un tweet:
La realtà, al di là della percezione negativa che le leghe chiuse, senza promozioni e retrocessioni, generano nell’immediato, é che negli Sport Usa la competizione e l’alternanza al vertice é sempre più marcata che nel calcio europeo.
Ed Warner, autore della newsletter Sport Inc., questa settimana ha offerto una riflessioni in tal senso applicata al rugby inglese.
Si tratta di un contenuto (in inglese) che vale la pena leggere, ma del quale riporto qui quanto detto dal capo allenatore dell’Hull Fc (rugby league) Tony Smith, perché mi pare si possa applicare a molti sport:
"Non credo che produrremo così tanti fantastici giovani giocatori in questo paese finché avrai promozioni e retrocessioni come è ora. Non sono mai stato contrario a promozioni e retrocessioni, ma deve essere basato su criteri molto più grandi. Un club con un buon modello di business dovrebbe essere promosso nella massima serie e devi dimostrarlo in molti modi, e se qualcuno frena la concorrenza, se ne va".
Potrebbe sembrare un discorso liberista o capitalista, in realtà é il suo esatto contrario: una difesa patrimoniale quasi Sovietica. Tornerò a parlarne nelle prossime settimane, perché il tema é destinato a rimanere di stretta attualità.
Superlega: un passo avanti e uno indietro
Giovedi mattina in un comunicato comparso sul suo sito ufficiale, A22 che, é bene ricordarlo, é il veicolo societario che i club rimasti a promuovere la Superlega hanno messo in campo per fare lobbying, ha parlato per la prima volta della necessità di una vera e propria piramide del calcio europeo, e non di una sola lega.
Ne ho parlato diffusamente sul canale Youtube Colpo Gobbo, con Antonello Pira.
Del fatto che le riforme vanno fatte pensando ad una piramide e non ad una singola Lega sono convinto da anni.
Ne scrissi per la prima volta il 25 novembre 2016.
Apprezzo il fatto di non essere più solo. Ben arrivati.
In linea di principio quanto affermato é assolutamente condivisibile. Tuttavia, in una intervista a l’Equipe uscita il giorno prima, l’ad di A22 Bernd Reichert dice due cose a mio giudizio preoccupanti.
Le società non potranno dedicare più del 55% del loro budget agli stipendi e vogliamo anche vietare sponsorizzazioni gonfiate
Due temi - ed é un peccato - palesemente buttati nell’arena per lisciare il pelo al tifoso medio, che odorano di populismo.
Di fatto Reichert fa capire che l’impianto sostanziale del Fair play finanziario, con un finto salary cap basato non su un limite di spesa, ma su un tetto variabile in % rispetto al fatturato, al momento non é oggetto di discussione, evitando di attaccare il FPF proprio sul punto più discusso e discutibile.
E risulta del tutto privo di sostanza l’argomento secondo cui la Superlega si riproporrebbe di amministrare questa fotocopia del FPF in maniera migliore dell’Uefa.
A questo punto, legittimamente, é sempre meglio pretendere l’originale che una copia.
Se le cose staranno cosí possiamo già dire che i burocrati hanno vinto a prescindere.
Perché il vero dubbio che resta sulla Superlega é la capacità dei club promotori di trovare un momento in cui i loro interessi di bottega passino in secondo piano ed arrivi una attività costituente e lungimirante in grado di far decollare il progetto.
Attendiamo fiduciosi, ma i precedenti non lasciano ben sperare, anzi.
De Laurentiis su giovani e diritti tv
Periodicamente il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, esprime le proprie idee a 360 gradi sul calcio andando a ruota libera su molti temi.
Questa settimana lo ha fatto in una interivista alla Bild.
I temi di fondo sono due: coinvolgimento dei giovani e diritti tv.
Sul primo (giovani) rimando a questo mio tweet.
Sul secondo (diritti tv), De Laurentiis fa confusione e non aiuta a capire. Dice il presidente del Napoli: “Dobbiamo essere in grado di vendere i nostri match direttamente ai nostri fan, su molte piattaforme diverse. Che sia via satellite, via digitale o su Internet tramite Netflix, Paramount, DAZN, Sky, Apple, Discovery, Disney+, eccetera”.
La contraddizione é evidente.
Vendere direttamente significa fare un canale di lega (B2C), investire (o accettare l’ingresso di fondi in una media company che apportino i capitali, B2B2C) e rendersi autonomi (salvo poi legittimamente subaffittare alcune gare a terzi, senza esclusiva).
Vendere a molte piattaforme diverse, per quel che si può capire, é l’esatto contrario ovvero una forma diversa di intermediazione (B2B) che non veda più l’esclusività come valore. Il tema della non esclusività, peraltro, pare essere al centro del dibattito tra i club di Serie A per il prossimo triennio di diritti tv.
L’obiettivo noto é il famoso miliardo annuale dei diritti domestici e il rischio di contrazione degli investimenti nel prossimo ciclo assai probabile.
L’impressione é che volutamente De Laurentiis (che per sua storia professionale conosce la questione dei diritti più di chiunque altro in Lega Calcio) confonda i piani per tenere il dibattito aperto, schierandosi senza schierarsi. Del resto lui stesso si é recentemente espresso contro i fondi.
Il tema dell’ingresso dei fondi (strettamente legato al canale di lega) rimane comunque centrale, e con l’uscita di scena di Andrea Agnelli é destinato a tornare in campo nei prossimi mesi con più forza, salvo passi in avanti sostanziali (non alle porte) della Superlega (che a quel punto potrebbe anche disincentivare gli investitori, visto un quadro futuro più incerto).
Il tema della distribuzione diffusa, invece, rappresenta un’incognita. Potrebbe potenzialmente interessare a piattaforme già presenti sul mercato come Sky e Dazn. Ma perché mai i vari nuovi potenziali player (Paramount, Disney, Apple) abituati a ragionare in termini di esclusività e fasce orarie avrebbero interesse ad investire su partite offerte altrove da competitor che partono in netto vantaggio essendo entrati sul mercato diversi anni prima?
Difficile sbrogliare la matassa, a meno che questo non significhi spezzare talmente il prodotto da rendere necessari 5 abbonamenti per seguire la propria squadra (perché alla fine i tifosi questo pagano: le 38 partite della loro squadra più qualche big match tra le top5), con buona pace dell’interesse primario del pubblico.
Intanto Lotito
Il parlamento ha approvato un emendamento a firma Claudio Lotito che dà il via libera alla proroga da 3 a 5 anni anche per i contratti per i diritti tv dello sport in corso “ove sussistano ragioni economiche” e “previa indagine di mercato finalizzata a verificare se altri operatori possano offrire condizioni migliorative”.
In precedenza la Legge Melandri era stata modificata allungando i termini (da 3 a 5 anni) ma solo dal prossimo ciclo. La mossa chiaramente rappresenta un momento chiave per garantire alla Serie A per i prossimi 3 anni gli stessi introiti televisivi avuti negli ultimi 2.
Chi parla e chi lavora.
La crisi della giustizia sportiva
Ci sono 3 casi di giustizia sportiva, in Spagna, Inghilterra e Italia, che - pur con natura e contenuti totalmente diversi - vanno letti e capiti per quello che realmente possono rappresentare.
1.
Della vicenda Juventus - plusvalenze, che ha portato ai 15 punti di penalizzazione ai bianconeri, molto si é detto in attesa del giudizio del Coni. Ma al di là degli esiti non si possono non ricordare le parole del ministro Andrea Abodi: “Dovrò proporre un intervento per migliorare trasparenza, efficienza, giustizia sportiva e modelli di gestione dello sport professionistico”.
Più volte la politica negli ultimi 20 anni é entrata in campo per regolamentare il calcio. E le cose non sono mai migliorate, anzi. Mai, tuttavia, un ministro dello Sport era entrato in questi termini sul tema della Giustizia sportiva.
2.
Il secondo caso riguarda il Manchester City ed il nuovo filone giudiziario che lo vede opposto alla Premier League in tema di presunte irregolarità finanziarie del club.
Io ho ricostruito la vicenda per chi fosse interessato ai dettagli giuridico sportivi (nel video), ma quello che maggiormente conta evidenziare in questa sede é lo scenario politico nel quale la stessa si é innestata, e sul quale il City non ha taciuto.
Nell’aprile 2021, in seguito all’esplosione e all’implosione del caso Superlega, il governo inglese (che da allora ha cambiato 3 primi ministri, sempre conservatori e quindi poco propensi all’attivismo regolatorio in nome di una ispirazione liberista quantomeno sul piano ideologico) si é attivato per intervenire nell’amministrazione della giustizia sportiva in Inghilterra, annunciando il varo di un libro bianco che in estrema sintesi avrebbe l’effetto di limitare l’autonomia della Premier League in materia.
L’intervento aveva una logica (di consenso) per Boris Johnson, non era visto troppo favorevolmente da Liz Truss, ed al momento é finito nell’agenda di Rishi Sunak ma ufficialmente il Governo inglese sta aspettando il momento migliore per ufficializzarlo.
Paradossalmente sono più i Labour, all’opposizione, a caldeggiarlo.
Dentro questa cornice, non rappresenta solo una malignità l’idea che, con la pubblicazione dei 105 capi d’accusa nei confronti del Manchester City, la Premier League abbia voluto mettere sul tavolo un tema in grado di sostenere l’idea che il libro bianco non sia necessario perché la Lega inglese si può governare efficacemente anche senza ingerenze politiche esterne.
3.
Un terzo caso di cui si parla meno, ma che può avere un impatto ancor più determinante, riguarda il Barcellona. Ne fa una bella ricostruzione Lorenzo Longhi nella sua newsletter mensile Calcerò, che vi consiglio di seguire e leggere.
La vicenda riguarda la squalifica di Robert Lewandowski che é stata sospesa da un tribunale ordinario in seguito a ricorso del club che in precedenza aveva perso in sede di giustizia sportiva (vale la pena leggere i dettagli qui). Vicenda ovviamente apertissima con ricorsi e controricorsi, che non vede il solitamente loquace Javier Tebas tra i principali interessati a esternare le proprie opinioni.
La morale della storia.
Le considerazioni che mettono insieme questi tre casi le lascio alle valutazioni fatte dallo stesso Longhi nella newsletter.
“É evidente - si legge - come i bastioni economici, finanziari e anche legali di un calcio fondamentalmente novecentesco, quello delle federazioni, siano oggi più deboli da difendere essendo cambiato notevolmente il contesto”.
Ed alla fine si torna sempre alla Superlega.
Citando sempre Longhi: nell’editoriale dell’ultimo numero di RDES, la Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, dedicato alla Super League e al parere dell’Avvocato Generale Athanasios Rantos, si legge che «azioni come quelle poste in essere dalla European Super League Company, indipendentemente dal loro esito, testimoniano un malessere di fondo fra gli sports stakeholders e palesano la evidente contraddizione tra calcio reale e quello ideale che, oltretutto, complica l’analisi dello sport a livello europeo».
In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Europea in primavera, di una cosa si può stare certi: anche se l’idea uscirà sconfitta, tornerà presto. E, per capire quando e in che modo, dare un’occhiata ai tribunali può essere utile.
Outro
Ammetto di avere un debole per le pubblicazioni di 66thand2nd, ma non posso questa settimana non lasciarvi con un consiglio di lettura: “Gianluca Vialli, l’uomo nell’arena” di Marco Gaetani. Un libro che fa il paio con quello dello stesso autore dedicato a Roberto Mancini.
Anche per questa settimana é tutto.
Restiamo in contatto.
A presto!
Caro Giovanni credo che proprio quel dubbio, che tu scrivi in grassetto in questa newsletter, della capacità dei club promotori della SuperLega di superare i loro interessi di bottega e di pensare in termini più estesi e lungimiranti al progetto sia realmente l'anello debole del progetto. Lo dico da tifoso juventino che mal ha sopportato il modo maldestro in cui il tutto è stato presentato oramai due anni fa. Ed avendo seguito con interesse tutti i tuoi video sul tema, non ultimo quello apparso sul canale YouTube di Colpo Gobbo, non sono così sicuro che l'idea così affascinante che tu esponi di una Lega sovranazionale ed Europea (fai spesso l'esempio dell' Hertha Berlino e di altre grandissime città europee che attualmente non giocano in Champions League) sia la stessa che avevano ed ancora hanno in testa i promotori di questo progetto.