[26] Il calcio mondiale dopo Uefa e Fifa
Dalla Superlega a Tebas, passando per De Laurentiis, le federazioni europea e mondiale sono criticate da tutti e proprio per questo sul piano politico nessuno riesce ad intaccarne il ruolo
Questa settimana ho dedicato un mini thread su Twitter a Javier Tebas, presidente de La Liga spagnola.
Tebas - che recentemente è entrato nella nuova Unione dei club europei, che rappresenta le istanze delle società medio piccole - ha detto in una intervista al quotidiano olandese AD, che: «è sbagliato garantire 4 posti in Champions League ai maggiori campionati europei».
E ancora: un quarto club spagnolo non è un miglioramento per la Champions League, ed al contempo che: I club che giocano in competizioni europee guadagnano così tanto che si viene a creare un divario molto grande con il resto dei club nel proprio paese.
Tebas esprime concetti corretti e verificabili, direi noti, che non spostano minimamente il suo potere in Spagna.
La sua uscita stupisce fino ad un certo punto, e non ha un fondamento solo politico.
Dal punto di vista tattico è evidente che Tebas parla così oggi perché deve accreditarsi a rappresentare a livello europeo i club medi e piccoli riunitisi nell’Uce, giustamente definita da Calcio e Finanza “l’Eca dei club medi e piccoli”.
In altre parole Tebas sta cercando di replicare su base europea quello che è il fondamento del suo potere in Spagna: mettere insieme la moltitudine per tenere in scacco le grandi. Piaccia o meno il metodo ha un suo fondamento visto che si basa su organismi (come le leghe) dove ogni club vale uno e quindi lo strapotere economico di pochi è contrastato dalla consistenza numerica dei restanti al momento del voto sulle varie delibere e scelte strategiche.
Il problema, come sempre, è quello di capire a quali principi si vuole uniformare il calcio europeo. Cosa può uscire dall’iniziativa di Tebas?
Apriamo una parentesi.
Oggi in Europa ci sono almeno 4 entità distinte che esprimono visioni diverse.
La prima.
L’Uefa. È nata nel 1954 a Basilea, in Svizzera.
Gestisce dal 1955 la Coppa dei Campioni, poi Champions League.
Inizialmente lo ha fatto su base federale: una federazione, una squadra.
Poi, dopo una prima fase ibrida, ha varato (dal 2000) una formula che federale non è, e che - al di là dei correttivi - le permette oggi di governare sulla base di un patto tale per cui i mercati televisivi maggiori, che proporzionalmente corrispondono anche ai 4 paesi col valore medio dei club più alto (Inghilterra, Spagna, Germania e Italia), hanno 4 squadre garantite in Champions. Le altre si accodano.
Questo modello - l’abbiamo detto spesso - ha creato già negli anni 2000 il divario tra i club di questi paesi e gli altri.
Nessuno può dire il contrario, Tebas lo dice fuori dai denti e non gli si può dare torto. Una settimana fa il parlamentare Ue Sandro Gozi (LibDem) faceva lo stesso discorso e diceva sostanzialmente (semplifico): non basta che l’Uefa parli di calcio del popolo, deve venire a Bruxelles a dimostrarcelo.
La seconda.
L’Eca è nata formalmente nel 2008 ma ha le sue radici nel G14, il gruppo di club esistito tra il 1998 e il 2008 che metteva insieme i club maggiori d’Europa.
I 14 erano: Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Liverpool, Inter, Juve, Milan, Marsiglia, Psg, Bayern, Bvb, Ajax, Psv, Porto. Nel 2002 avrebbero poi accolto Arsenal, Bayer Leverkusen, Lione e Valencia.
Nel 2008 al momento della fondazione i club sono diventati 220, ma per sua natura l’Eca è sempre stata vista come la rappresentante degli interessi dei grandi.
Quando nell’aprile 2021 è stata varata la SuperLega le dimissioni di Andrea Agnelli hanno portato all’elezione di Nasser Al-Khelaifi, presidente del PSG, e da allora l’Eca è passata da interlocutore critico dell’Uefa a principale supporter.
Oggi possiamo dire che è grazie a questo asse strategico se l’Uefa sta contentendo le proteste e conferma il suo ruolo di potere.
La terza.
La Superlega. Nata come iniziativa per promuovere un nuovo torneo, nell’aprile 2021, ha avuto una rapida riduzione da 12 a 3 membri (ad oggi non è chiarissimo cosa ne è di quell’organismo fondatore sul piano giuridico).
Oggi resta in vita attraverso l’attività di lobbying di A22 sports guidata da Bernd Reichert, in attesa del pronunciamento finale della Corte Ue sul monopolio Uefa.
La quarta.
L’Uec - che forse dovremmo chiamare in italiano UCE, essendo unione dei club europei - è nata due settimane fa e si propone di aggregare attorno a sé le istanze dei medio piccoli.
Javier Tebas ne é esponente di spicco insieme ai presidenti di altre squadre.
Tebas e l’Uce dicono cose che tutti sappiamo.
Tebas lo dice oggi perché ha i margini di manovra per mettersi a capo dei club medio piccoli di altre federazioni.
E qui torniamo al discorso nel merito.
Perché lo dice oggi, e non anni fa? Perché la SuperLega, esponendosi, gli ha fatto un assist. Ha mostrato che il re (l’Uefa) é nudo, ha fatto capire - portando l’Uefa alla Corte Ue - che il sistema é contestabile, ha avviato una iniziativa che presto potrebbe aprire le porte a nuovi sistemi organizzativi.
Se noi interpretiamo le parole di Tebas (che evidenzia i limiti nell’avere 4 squadre spagnole in Champions, e dice che la loro presenza crea divario e non migliora il calcio nazionale) e proviamo a dire quello che lui non dice, arriviamo ad una conclusione logica.
Ad essere messa in discussione è soprattutto la distribuzione delle risorse operata dall’Uefa che premia i club direttamente, mentre sarebbe interesse delle federazioni che buona parte di quelle risorse andassero direttamente alle Leghe stesse.
Si ipotizza tacitamente nei premi di partecipazione quella che è stata la rivoluzione dei diritti tv: dal diritto individuale al diritto collettivo. Guardacaso la riforma chiave che ha penalizzato per la prima volta Real Madrid e Barcellona e da cui deriva il potere di Tebas e la sua presa sui medio piccoli club spagnoli.
Se vogliamo, Tebas fa un ragionamento che potrebbe anche piacere a quei parlamentari Ue che hanno votato una risoluzione pro Uefa sostenendo che lo sport europeo va promosso valorizzando i movimenti nazionali.
Una settimana fa il parlamentare Ue di Renew Europe, Sandro Gozi (Tuttosport), aveva dichiarato, ergendosi come voce fuori da quel coro del Parlamento europeo, che: dal punto di vista del modello europeo dello sport, l’Uefa deve meglio chiarire come l’attuale struttura garantisce il raggiungimento degli obiettivi dei trattati europei: inclusione, merito, sostegno ai piccoli club e al calcio non professionistico.
Tebas, che è uomo di destra, porta questa istanza sul suo campo ideologico, un modello dirigista che veda le nazioni al centro della distribuzione.
Gozi, come normale per un liberal democratico, si era fermato lasciando gli esiti finali ad una successiva libera trattativa tra le parti (club, leghe, federazioni).
Registriamo pure quel che ha detto Aurelio De Laurentiis qualche settimana fa sulla stessa Uefa: “Siamo contro l’Uefa, siamo schiavi di un ministero del calcio”, non perché le sue parole abbiano una qualche rilevanza nel dibattito, ma perché si dimostra che oggi chiunque si sente autorizzato a contestare apertamente la federazione europea.
Il paradosso di tutto ciò? La Federazione europea, mai debole come in questi momenti, ha comunque un vantaggio dalla sua debolezza.
Come? Esattamente come un partito di maggioranza relativa (quindi che non esprime più del 50% delle preferenze), che é stato al governo per un secolo, e trae vantaggio dal fatto di avere il potere (la distribuzione delle risorse) nelle sue mani mentre fuori tutti lo contestano.
Fino a che i tutti rimarranno sulle barricate gli uni contro gli altri quel partito continuerà a dominare.
In questi casi solitamente - se il suddetto partito non ha la forza per varare una riforma strutturale convincente - la fine del sistema può arrivare solo per via giudiziaria.
E infatti il rischio maggiore per l’Uefa é proprio il pronunciamento alla Corte Ue (che a questo punto credo arriverà a fine stagione).
Ma attenzione, perché se alla via giudiziaria non segue una fase legislativa (ovvero una attività regolamentatrice del Parlamento europeo) in cui si riscrivono i principi, si sfocia solo in una caotica Seconda Repubblica in cui i tribunali fanno da arbitri, il caos da padrone e nessuno si riconosce più in regole sistemiche ma solo in regole di comodo.
Sul mio mini thread di Twitter ho immaginato questi scenari futuri ed i principi di base. Non é questa la sede per andare oltre, ci saranno sviluppi da seguire e di cui parlare nelle prossime settimane.
Quel che conta dire qui è che noi oggi siamo abituati ad un sistema logico e sussidiario, su base federale, che discende dalla Fifa alle Federazioni nazionali ed ha una sua coerenza di fondo (con correttivi di mercato, come le già citate regole di entrata in Champions league che conosciamo), ma questo potrebbe non essere lo scenario futuro, con uno o più sistemi concorrenti a diversi livelli che andrebbero a spacchettare il calcio.
Come già accade in altri sport.
Può piacere o meno, ma è sempre più evidente a tutti che il calcio, che ha una innegabile dimensione culturale e sociale, ne ha anche una imprenditoriale e industriale.
E i due ambienti difficilmente si conciliano.
Napoli Campione d’Italia
Complessivamente la vittoria dello Scudetto vale circa 26 milioni di euro per il Napoli tra diritti tv della Serie A e della Champions League. Cifra a cui andrà sommato il premio per la partecipazione alla Final Four della Supercoppa italiana. I calcoli come sempre li ha fatti molto bene Calcio e Finanza.
È stata una vittoria ampiamente imprevedibile l’estate scorsa, quando nessuno pensava che il Napoli potesse migliorare nettamente il suo rendimento a fronte di un sostanziale crollo dei competitors (Milan e Inter) e del non avanzamento della Juventus.
Un successo che credo sia meritatissimo sul campo, e che come sappiamo avrà alcune appendici giudiziarie (il caso Osimehn), che cito qui non per senso della polemica ma perché per il bene del calcio italiano serve che l’onestà sbandierata da Aurelio De Laurentiis sia certificata a tutti i livelli.
A Napoli campione d’Italia ho voluto dedicare la copertina di questo numero ed anche l’Outro di oggi. Complimenti e congratulazioni.
Al di là di quello che possiate pensare voglio aggiungere qui che quando lo scudetto esce dal circuito Juventus - Milan - Inter, è sempre una buona notizia per il calcio italiano.
Fu cosí per Roma e Lazio all’inizio del secolo, è cosí oggi.
Significa che il gioco, il campo, ha una sua logica sportiva che va oltre i veleni, e che l’ha sempre avuta e che ce l’ha anche quando vincono le strisciate. Significa che evocare il vento del Nord a convenienza è sbagliato. Significa che questi risultati sono possibili.
Significa che possiamo credere che nel calcio vince il migliore.
Tutto ciò non ci mette al riparo dal malaffare, ma ci dice che dentro questo calderone di rivalità, odi, ricorsi, burocrazia, politica e veleni e vi è pur sempre la dea eupalla come diceva Gianni Brera, che ci può ancora regalare emozioni legate a vittorie e sconfitte.
Sia quando si vince che quando si perde.
Non sarà abbastanza, ma di certo non è poco.
L’orologio fermo
…batte l’ora giusta due volte al giorno.
E cosí anche l’Uefa sembra aver capito che il Salary Cap è l’unica via per un calcio sostenibile e diverso, che guardi ai costi più che ai ricavi.
In una intervista a Il Sole 24 Ore l’ad dell’Inter Alessandro Antonello ha spifferato a Marco Bellinazzo che appunto la federazione europea starebbe pensando a “una possibile soglia di salary cap in valore assoluto a cui tutti i club indipendentemente dal fatturato dovranno adattarsi”.
Interessante, naturalmente, sarà capire i confini di questo tipo di operazione e come questo si possa applicare dentro paesi diversi, con fiscalità diversa e competizioni diverse. Ma certamente una apertura in questo senso rappresenta un passo in avanti.
Anche se il successivo porterebbe direttamente al superamento delle competizioni Uefa per come le conosciamo.
I nodi al pettine dei diritti tv
Ci sono diverse partite aperte in tutto il mondo sulla cessione dei diritti tv che meritano di essere analizzate. Naturalmente quella della Lega Serie A, ma anche al contempo due vicende apparentemente secondarie ma altamente significative: la cessione dei diritti della EFL - English Football League (Championship, League One e Two inglesi) e quella del mondiale femminile che si svolgerà in Australia a fine luglio.
Spoiler: tutte le strade portano alla tv di lega.
I diritti tv del calcio inglese professionistico extra Premier league. La EFL ha preferito proseguire con Sky (Sportspro Media) e con la propria piattaforma iFollow anziché cedere i diritti a Dazn che aveva offerto 200 milioni all’anno.
iFollow è una piattaforma nata nel 2017 che offre le partite ai tifosi con forti limitazioni sul territorio inglese a 140 sterline a stagione o 10 sterline a partita (11,44 euro).
I tifosi che vivono in Inghilterra possono vedere solo le 8 partite infrasettimanali delle loro squadre, spendendo quindi 80 sterline (91,51 euro).
Balza all’occhio il prezzo molto alto della singola partita. Ma in Inghilterra si ragiona cosí da sempre (anche per la Premier League). Le gare vengono vendute a peso d’oro (o perlomeno, questa è la percezione che si ha raffrontando i prezzi) secondo il ragionamento per cui sarebbe inutile svendere e gonfiare i ricavi nell’immediato col rischio (praticamente certo) di scoprire poi che certi prezzi di vendita non coprono i costi di produzione.
Piccola parentesi personale: conosco molto bene la genesi di questa piattaforma perché dal 2015 al 2017 ho lavorato a Manchester alla precedente formula di sottoscrizione (che non prevedeva i match live) a Stream AMG.
Se avete pazienza di leggere qui trovate nel dettaglio i ricavi stagione per stagione di iFollow.
In altre parole: da anni la EFL sta promuovendo quella che di fatto è una tv di Lega con grande attenzione all’equilibrio costi ricavi, con una apprezzabile trasparenza sui numeri e cercando di non andare a toccare quello che é storicamente il primo valore di un club, i ricavi da stadio, che rischierebbero di essere intaccati se tutte le partite andassero in tv.
Per questo la lega non si è fatta ingolosire dall’offerta DAZN preferendo le certezze. La motivazione? Semplice: non andare a toccare un sistema che garantisce entrate reali rischiando di entrare in una bolla che potrebbe scoppiare dopo il primo ciclo.
I diritti tv del mondiale femminile. Di tutt’altro segno invece è la strategia FIFA per la cessione dei diritti tv del Mondiale Femminile.
Gianni Infantino in settimana (per la seconda volta) ha minacciato un blackout delle trasmissioni in alcuni dei principali mercati europei per il torneo in programma dal 20 luglio al 20 agosto in Australia e Nuova Zelanda.
Le partite, va ricordato, si giocheranno prevalentemente in orario mattutino.
Su Twitter il giornalista, specializzato in sport business ,del New York Times Tariq Panja ha dedicato un thread all’argomento in cui esordisce subito con la domanda diretta (e provocatoria ma realista): “Non riesco a capire che sta succedendo. Ora ha FIFA+ e un account YouTube, perché non vendere direttamente al consumatore?”
Panja fa notare come alcune tv hanno fatto anche offerte per le partite relative alla propria nazionale “in cui ci sarà un buon pubblico” ma il problema sono le altre partite, soprattutto nella fase a gironi.
Non si capisce del resto perché le tv dovrebbero essere di fatto costrette a pagare un intero torneo quando l’interesse sarà - comprensibilmente - limitato a una decina di partite, grosso modo.
E sempre Panja chiude con una considerazione: “La situazione attuale è un barometro del valore di mercato per prodotti che non sono stati testati prima. Nelle edizioni precedenti, i tornei erano raggruppati insieme ai diritti per la Coppa del Mondo maschile”.
Chiaro che la vicenda ha implicazioni tutte relative a ragioni di mercato e non ad altro, come in parte furbescamente ed in modo strisciante si vuol far passare.
Scenario. È sufficiente unire i puntini. Tutti in questi anni si sono mossi per attrezzarsi in vista di ipotetiche tv di lega. La FIFA ha la piattaforma FIFA+, l’EFL ha iFollow, la nostra Serie A - lo posso testimoniare essendo stato in visita a Lissone - ha un centro d’avanguardia che già produce le partite per il mercato arabo (su Youtube) e che potrebbe essere aperto alla produzione diffusa in tutto il mondo (servono, ovviamente, ulteriori significativi investimenti in personale per varie funzioni, ma questo é un discorso a latere).
Recentemente anche la nostra Federazione (la FIGC) ha fatto trapelare la notizia secondo cui sarebbe pronta a varare una piattaforma streaming per trasmettere le partite delle nazionali giovanili e della femminile, dopo aver ricevuto offerte considerate non congrue dalla Rai.
Solo l’EFL, tuttavia, è nelle condizioni di fare una politica dei piccoli passi, di rinunciare ai lauti incassi (che sono ricavi, non già guadagni) dai maggiori broadcaster, preferendo una crescita progressiva del business anziché un boom che poi potrebbe rivelarsi bolla.
È il tema che dominerà i prossimi anni, perché una cosa pare chiara: fra un paio d’anni ricorreranno i 30 dal primo campionato di Serie A interamente trasmesso in diretta tv, e se pensiamo alla vagonata di soldi che sono stati immessi nel sistema calcio (senza apprezzabili utili da parte di chi vi ha investito) e lo stato attuale del movimento, viene da piangere.
Esoneri facili, retrocessioni altrettanto
Qualche settimana fa avevo parlato del record di esoneri in Premier League (ben 13) in questa stagione.
Sul tema è tornato iNews con un approfondito pezzo di commento in cui il principale responsabile di questa turbolenza é individuato nel campionato altamente competitivo che sta mettendo in difficoltà club con un recente passato in zone nobili della classifica come Leicester e Everton.
Facendo un passo oltre, e per ulteriore chiarezza, io credo che sia bene dire che la Premier League, il campionato più ricco al mondo, é organizzata benissimo ed altamente spettacolare. Ma che a questa ascesa sta corrispondendo anche una ascesa degli indici di rischio che ci porta a dire che il modello organizzativo oggi non è il migliore possibile, e che - come già accaduto per la WSL femminile - presto potrebbe tornare in auge il tema del campionato chiuso.
Con buona pace del vademecum governativo inglese pro calcio del popolo.
Kings League
In Spagna riscuote sempre più successo il torneo esibizione creato da Gerard Piqué che vede protagonisti molti nomi noti del calcio spagnolo (Iker Casillas é presidente di una delle squadre, Sergio Aguero presidente - giocatore) chiamato Kings League.
È di questa settimana la notizia che il suddetto torneo in Spagna sta generando su TikTok più views dei principali campionati europei mentre su Twitch rappresenta il canale più visto.
Cosa possa rappresentare in prospettiva questo modello, non lo so. Ma registrarne l’ascesa é doveroso per capire cosa sta diventando l’entertainment, soprattutto per le nuove generazioni, alla luce di questa chiara eco calcistica del format di Piquè.
Outro
“Quando ho detto che dovevamo lottare per vincere lo Scudetto mi hanno attaccato dicendo che stavo parlando di qualcosa di troppo grosso e al di là delle possiblità”.
Luciano Spalletti ha detto anche questo dopo aver condotto il Napoli al suo terzo scudetto.
E io credo che per riconoscere la grandezza di quello che Spalletti ha fatto nel lavoro quotidiano con questa squadra, e nei risultati settimana dopo settimana, senza se e senza ma, sia bene leggere questo articolo di Dario Pergolizzi su L’Ultimo Uomo che ci racconta il Napoli suo campo, che ha vinto, anzi stravinto, lo scudetto 2022/23.
Lasciamo da parte per un attimo ogni altra implicazione e godiamoci la bellezza del calcio. Questo é il momento dell’onore al merito. Chapeau!
Noi ci sentiamo la settimana prossima.
Restiamo in contatto.
A presto!