[27] Juve: l'arroccamento della giustizia sportiva
Verso le sentenze definitive, continuano a rimanere i dubbi su modalità e merito di una condanna che sembra ormai inevitabile più per il clima creato che per la sostanza di quanto emerso.
Il 22 maggio verrà emessa la sentenza che con tutta probabilità decreterà il futuro immediato della Juventus, ma anche la classifica del campionato di Serie A, irrimediabilmente segnato dalle vicende giudiziarie dei bianconeri.
Vicende che avranno naturalmente un loro percorso anche oltre, in particolare nei tribunali ordinari, ma che per quel che interessa ai tifosi (soprattutto delle altre squadre), finiranno lì, perché in fondo la punizione sportiva per il tifoso è l’unica cosa che conta.
Nel frattempo sono uscite le motivazioni dell’ultima sentenza e naturalmente ci sono stati diversi commenti.
Tra gli altri, come spesso accade ne scrive l’avvocato e tifoso milanista Cataldo Intrieri su Linkiesta.
La sentenza Juventus rivela un paio di torsioni pericolose sul principio di legalità: una sul fair value e la liceità delle operazioni a specchio, l’altra sul fatto che il club è stato condannato per fatti diversi da quelli per cui era stato in origine incolpato.
Il passaggio più importante secondo me è nelle conclusioni dello stesso Intrieri:
il caso non è chiuso: oggi va registrato l’arroccamento dell’ordinamento sportivo su se stesso ed è facile intuire il messaggio in filigrana ai grandi club che volessero coltivare eccessive ambizioni di autonomia. È da vedere quanto la cittadella resisterà al mondo di fuori che bussa. E non è un discorso che possa limitarsi ai bilanci.
In altre parole: la giustizia sportiva sta difendendo sé stessa al suo interno, ma quanto questa difesa sia legittima ed accettabile all’esterno è tutto da vedere.
Perché un tifoso del Brescia deve volere la SuperLega
Nei giorni scorsi mi sono trovato dentro una conversazione surreale dopo questo mio tweet postato mentre guardavo Real Madrid - Manchester City.
Guardatela bene questa partita perché in nome del calcio del popolo ve ne stanno negando almeno 20 all’anno così. E al Bernabeu anche il guardiolismo ha un sapore un tantino diverso…
Al netto della maleducazione che gira sempre su Twitter dove il linguaggio aggressivo pare essere l’unico possibile per sostenere un’idea, mi hanno colpito i messaggi che sostengono una presunta incoerenza fra il mio “tifo” per il Brescia calcio e l’eventuale nascita di una SuperLega.
Posto che lo scenario ipotetico è sempre difficile da prefigurare, e premesso che dopo 20 anni di giornalismo faccio molta fatica a inquadrarmi dentro la categoria del tifo - anche se si tratta della squadra della mia città che iniziai a seguire l’1 novembre 1984 quando (per un non indimenticabile Brescia - Ancona 0-0) mio padre mi portò per la prima volta allo stadio - ci tengo qui a evidenziare alcuni punti per cui a mio modo di vedere il tifoso di una società di dimensioni provinciali avrebbe solo vantaggi nella svolta superleghista del calcio, o se preferite la comparsa di leghe chiuse che riequilibrino i valori interni alle competizioni:
la possibilità di competere per il massimo obiettivo, non solo per piazzamenti d’onore o salvezze. E di poterlo fare realisticamente, non in astratto, con programmazione, identità, narrazione e qualità
la possibilità di competere con società economicamente dimensionate come la mia, esempio: la rivalità con l’Atalanta aveva senso a inizio anni 2000 quando ci somigliavamo sul piano della forza economica, ma oggi il contesto è diverso, se perdi amen, che vuoi dire loro? Hanno fatto bene in questi anni, bravi
la possibilità di avere una società economicamente sana e non con la continua spada di damocle delle retrocessioni a condizionarne il futuro, la sostenibilità, l’esistenza
la possibilità di vedere il mio club sviluppare una propria identità di gioco al di là del fatto che in B fai l’80% di possesso e in A giocoforza il 20 (banalizzo, capiamoci), con una logica di lungo periodo, di sviluppo, di reale possibilità di primeggiare
nel mio modo di intendere il calcio la bellezza del seguire una squadra sta nelle giornate passate con gli amici: il bar prima della partita, lo stadio, la pizza post partita, ed è curioso che in questo senso uno dei migliori ricordi che ho risalga ad un Milan - Inter 3-4 del 2006/07 in cui passai una giornata davvero bellissima con un gruppo di amici abbonati ad una squadra di cui mi interessa relativamente zero, ma una bella giornata di calcio e amicizia
la partita del Brescia per me era un appuntamento fisso quando eravamo in A, lo è rimasta quando siamo retrocessi in B e dissi agli amici al pub: “beh almeno l’anno prossimo abbiamo qualche vittoria in più da festeggiare” (è durata poco ma oh, nessuno è perfetto), lo sarà in C e non cambierà se dovessimo fallire e ripartire dalla D. È la mia squadra e la seguo a prescindere, finché scenderà in campo
Piccola parentesi finale/personale: sono bresciano, amo il Brescia, lo seguo sempre. Ma ciò non cambia che quando avevamo Roberto Baggio facevamo 13 mila spettatori di media in Serie A. Questi siamo. Sorrido quando in riferimento alla Serie A leggo che quella è la categoria in cui dobbiamo stare, quella “che la città merita”. Ma quando mai? Siamo seri! Che vuol dire meritare? Siamo il club italiano con più stagioni trascorse in B, possiamo migliorare ovviamente, ma non possiamo raccontarci una storia diversa dalla realtà!
Quando parlo di bacino d’utenza vedo potenzialità inespresse, una provincia che conta oltre 1 milione di abitanti, ma non posso biasimare chi, investendo su una piazza, ci consideri alla stregua di realtà minori. Non a caso ho sempre detto che il modello gestionale a cui guardo è quello dell’Empoli, che rappresenta una realtà inferiore ma con un trascorso molto più gratificante di noi negli ultimi 30 anni.
Andremo in C? Piangeremo il primo giorno, ci rialzeremo il secondo e poi torneremo allo stadio.
Purtroppo, e mi perdonerete per questo, sono un “tifoso sui generis” la cui onestà intellettuale viene molto prima di qualsiasi altra passione. E purtroppo credo che dopo una certa età se i paraocchi del tifo sono il tuo solo metro di giudizio beh, hai un problema.
Società vincenti che scompaiono
Voglio fare i complimenti al Cast Brescia, società di Eccellenza che ha vinto la Coppa Italia di categoria dopo che nel 2004 ci era riuscito l’AC Salò Valsabbia. Curioso che entrambe le finali quest’anno come 19 anni fa, sono state vinte per 1-0 dalla squadra bresciana in campo.
È la quarta società bresciana a vincere quel torneo dopo Breno (1990), Quinzano (1994) e appunto Salò (2004).
Una vittoria che mi ha riportato con la mente agli anni in cui quel club vinse, venne promosso in D e io ebbi l’onore di fare la telecronaca. La potete risentire nel video qui con una premessa, se dovessi rifarla sarei molto più misurato nei toni, ma butterei giù dagli spalti l’inascoltabile commentatore tecnico al minuto zero.
Ovviamente c’è un ma. L’anno prossimo il Cast Brescia, società lampo già nata da una fusione, e pronta a chiudere, come un temporary store qualsiasi, e con tutta probabilità non esisterà più. I dirigenti andranno a fare calcio altrove.
Fanno bene, sia chiaro, è legittimo e giusto che sia cosí, pienamente nelle loro facoltà. Anzi, addirittura logico. Fare di necessità virtù credo sia una delle cose che meglio ci contraddistinguono come italiani, non solo nel calcio.
È un qualcosa che credo tutti a livello locale abbiamo visto: squadre che salgono ma che ad un certo punto non se la sentono di sostenere i costi crescendi delle categorie, e che a volte si ridimensionano mentre altre semplicemente mollano.
E quindi mi viene una domanda.
Siamo cosí sicuri che una dimensione provinciale, regionale, interregionale, professionistica nazionale e internazionale, con circuiti chiusi in cui entrare sulla base di disponibilità, bacini d’utenza, programmazione sia qualcosa di negativo per chi ha voglia di fare calcio e lo vuol fare con un’idea dimensionata alle proprie possibilità?
Siamo sicuri che a creare affezione ad una squadra, identità, abitudine a seguirla sia questo incontrollato saliscendi con compravendite di categoria più che una strutturazione di medio lungo periodo che crei rivalità, storie, ricorsi storici, identità?
Ovviamente sapete da che parte sto. Ma mi pare davvero curioso che mentre ai livelli alti si discute di piramide a quelli più bassi c’è già chi praticamente ha inventato le franchigie personalizzate aprendo e chiudendo a proprio piacere.
Ma fino a che avremo un dibattito lunare che non guarda alla realtà delle cose non ci resterà che prendere nota dell’esistente.
Il modello nel calcio
Dopo il successo dello scudetto del Napoli ho letto molti interventi, opinioni ed analisi su quello che viene ora considerato un modello.
In questi anni vado a memoria ho sentito parlare di modello Juve, Ajax, Athletic Bilbao, Chievo, SudTirol, Brentford, Real Madrid, Liverpool, Leicester, Napoli, Tottenham, Feralpi Salò, Manchester City, Barcellona e altri.
Grosso modo ogni volta che qualcuno fa qualcosa di rilevante si scomoda il modello.
Mi limito a alcune osservazioni sparse:
il momento peggiore per parlare di modello è quando una squadra vince
se proprio lo si deve fare si deve considerare il modello nel lungo periodo, non nel breve, altrimenti scoprirete che il Leicester campione d’Inghilterra 2016 meno di 10 anni dopo lotta per non retrocedere, era o non era un modello? Boh.
il modello che ha sue peculiarità interne non può essere mai analizzato senza considerare il contesto, ovvero le caratteristiche di sistema, esterne al club
l’abuso del termine modello a mio modo porta con sé molti difetti già propri dell’abuso del termine fallimento (a cui ho dedicato un post qualche giorno fa)
quando si evoca il modello bisognerebbe premettere che nel mondo esistono modelli negativi e modelli positivi
infine, quando si evoca il modello in positivo, bisogna premettere sempre per quale scopo si trova valido il modello, perché una cosa è dire che il Napoli con il suo modello veleggia stabilmente nei primi 5-6 posti di Serie A da un decennio, con il picco di quest’anno e qualche picco al contrario, una cosa dire che il modello Napoli è vincente in assoluto e porta sempre al primo posto
paradossalmente pure un presunto “modello Juve” che avendo portato a 9 titoli di fila potrebbe essere visto come assoluto, incontra i suoi limiti, sia sul campo (i mancati trionfi europei) che fuori (la sterzata che ha portato ad un errato utilizzo delle plusvalenze nella programmazione tecnica del club)
se tutti adottassero lo stesso modello esisterebbero comunque vincitori e sconfitti perché al primo posto storicamente ci arriva uno solo, a prescindere dal modello. E questo accade a volte per non belligeranza. Un esempio? La prima Juve di Lippi vinse il campionato con il maggior numero di sconfitte per una squadra campione in Serie A. Cos’era? Un modello o non belligeranza?
Lo streaming degli altri (sport)
Nella stagione 2023/24 in Germania farà il suo esordio una nuova piattaforma streaming che si chiamerà Dyn e sarà dedicata agli sport alternativi al calcio ovvero: basket, pallamano, hockey, pingpong e pallavolo. Il lancio è previsto il prossimo 23 agosto e il primo evento trasmesso sarà la Supercoppa di pallamano.
L’iniziativa è di Axel Springer (il più grande gruppo media europeo) e Christian Seifert, l'ex capo della German Football League (DFL).
La piattaforma avrà i campionati nazionali tedeschi maschili di tutte queste discipline oltre a molti altri (l’elenco per chi interessato è in questo mio tweet).
Il prezzo sarà di 14,5 euro al mese, 12,5 per la formula scontata. Curioso che l’azienda, parlando delle proprie strategie, abbia più volte detto che non farà ricorso ad alcuna formula lancio con prezzi scontatissimi.
L’obiettivo è quello di dare sin da subito un prezzo che sia sostenibile in base alle proiezioni fatte. Una scelta strategica non da poco.
Alcuni dati. La competizione più costosa è la Handball Bundesliga per il quale (battendo Sky) sono stati pagati 10 milioni a stagione (e il contratto durerà 6 stagioni, fino al 2029). Tutti gli altri eventi avranno valori di molto inferiori e ad un calcolo spannometrico credo che alla fine non si andrà oltre i 20 milioni annui di costi per i diritti. Diversi tornei sono stati acquisiti in partnership. La Bundesliga di pallavolo nelle ultime due stagioni è stata trasmessa da Spontent, un canale Twitch che fino alla pandemia era di fatto un canale amatoriale su base volontaria (organizzava tornei di beach volley) e incassava dalle donazioni dei tifosi (alcuni tornei di punta durante il secondo lockdown raccolsero oltre 30 mila euro).
Le stime aziendali parlano di un obiettivo a 200 mila abbonati dal solo mondo della pallamano (per un fatturato da abbonamenti che dovrebbe a quel punto garantire 30 milioni l’anno).
Giusto per fare un parallelo, DAZN che in Italia ha speso oltre 800 milioni per la serie A offrì il primo abbonamento a 19,99 euro. Salvo poi aumentarlo di molto per l’evidente insostenibilità della formula.
Questo lancio si presta a mio giudizio ad alcune riflessioni sul mondo dello streaming non solo in Germania ma in generale in tutta Europa. Ed anche nel mondo media (giornali inclusi).
Dopo una fase iniziale di esperimenti per lo più a basso costo, ci stiamo avviando ad una seconda stagione dello streaming dove le piattaforme sono più consapevoli sul prezzo giusto da offrire per essere sostenibili nel lungo periodo e fare ricavi.
È finita la retorica dell’abbattimento dei costi. Lo streaming costa tanto quanto le trasmissioni tv, o meglio, il cambiamento (da tv aerale o satellitare a trasmissione via Internet) non determina un sostanziale abbattimento dei costi.
Mi pare che nel lungo periodo il prezzo di un abbonamento mensile si stia di molto avvicinando al costo di un biglietto partita singolo per una zona popolare (a Berlino ad esempio i posti in piedi della pallamano costano tra 12 e 22 euro in base alla rilevanza del match). Ma su questo mi riservo di fare migliori ricerche.
Il tutto - spiace - con buona pace dei tifosi che spesso non si rendono conto di cosa si stanno lasciando alle spalle, ovvero un mondo in cui i servizi venivano offerti a prezzi che magari a loro saranno sembrati alti, ma che raramente hanno garantito lauti guadagni ai broadcaster.
Ci sarà tempo per ulteriori riflessioni, ma che ci sia un cambiamento in atto mi pare nei fatti incontestabile.
Una NBA del volley
Siccome ormai vedo Superleghe ovunque :) questa settimana ho dedicato un articolo su ivolleymagazine al tema di come un torneo chiuso a livello UE sarebbe necessario per valorizzare alcune realtà (nella fattispecie la società di pallavolo di Berlino, dove vivo) che sono penalizzate dal sistema attuale.
Io resto fortemente convinto che il futuro dell’Unione Europea, dell’unità soprattutto sociale e culturale, passi moltissimo attraverso lo sport. E che quindi la realizzazione di competizioni di livello comunitario sia decisiva.
Outro
Facciamo un passo indietro.
Il direttore di Calcio e Finanza, Luciano Mondellini, una settimana fa analizzando lo scudetto del Napoli e gli elementi caratterizzanti della gestione del presidente Aurelio De Laurentiis ha fatto una digressione interessante sul tema stadi.
Di fatto viene chiamata in causa la vicenda di Milan e Inter, e sostanzialmente Mondellini dice che dobbiamo considerare molte variabili quando parliamo di questi impianti e che una formula unica non esiste, e che non è detto che alla fine i ricavi da stadio in un paese come l’Italia risulteranno cosi determinanti (alla Juve, esempio a caso, l’aumento c’è stato all’inizio ma non possiamo dire che nel lungo periodo sia stato un vero game changer).
Mi pare un interessante contributo al dibattito (monodirezionale) sul tema stadi in questi anni. In un vecchio video avevo anche io sollevato il tema, parlando di 3 stadi inglesi che non sono di proprietà del club che ci gioca dentro.
L’editoriale di Calcio e Finanza (che vi invito a leggere) sviluppa invece ulteriormente la questione, in particolare dicendo esplicitamente:
non si vuole asserire nella maniera più assoluta che Inter e Milan sbaglino nella loro volontà di dotarsi di un impianto più moderno, ma soltanto fare notare come la questione debba essere valutata in mille e più aspetti prima di imbarcarsi in uno dei più costosi progetti immobiliari che il capoluogo lombardo abbia mai visto nella sua storia. E che come non è detto che la ricetta Napoli possa andare bene per Milano, non è nemmeno detto che la ricetta britannica sugli stadi possa funzionare pedissequamente nel capoluogo lombardo siccome Milano non è Londra e che l’Italia non è l’Inghilterra.
Per questa settimana è tutto.
Restiamo in contatto.
A presto!