[28] Altro che Stadio Juve, Giorgetti vuole smontare la Giustizia Sportiva
Il ministro dell'Economia: "Va ripensato tutto, non è possibile che gli organi di giustizia sportiva vengano nominati dal vincitore delle elezioni federali" ma i giornali fingono che il tema sia altro
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Una settimana fa avevo dedicato parte di questa newsletter a dirvi perché il tifoso di un club minore, nella fattispecie di Serie B, dovrebbe sperare che prima o poi i grandi club diano vita alla Superlega.
Quanto da me scritto ha preso poi ancor più valore alla luce di una intervista rilasciata dal presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio (Cosenza Channel) che - parole sue - ha lanciato questo appello:
Ribadiamo, ancora una volta, l’appello affinché, in attesa della annunciata riforma dei campionati, si proceda immediatamente ad una modifica dell’attuale format del torneo cadetto ampliando il numero delle squadre partecipanti fino a 22. La Serie B vede ogni anno ben sette squadre lasciare la categoria, tra promozioni e retrocessioni, un caso unico a livello internazionale che causa un eccessivo turn over.
La sostenibilità economica della nuova struttura potrebbe essere garantita da un diverso e più vantaggioso accordo sulla distribuzione dei diritti tv. Il nuovo format renderebbe il Campionato degli italiani ancora più bello e avvincente.
Guarascio non entra nel dettaglio di come vedrebbe questa distribuzione dei diritti tv, ovvero da dove pescare le maggiori risorse. Un passaggio sostanziale ma per ora secondario.
Quel che fa la differenza qui è capire due cose: l’opportunismo del presidente del Cosenza e quel che in realtà non dice (per convenienza).
C’è una cosa che piccoli e grandi club hanno in comune, ed è la volatilità del loro business, legato moltissimo ai risultati del campo. In altre parole le decine di milioni che un grande club perde non andando in Europa possono essere fatte equivalere proporzionalmente ai milioni, in unità, che un club minore perde andando in B o in C.
Per questo Guarascio suggerisce un allargamento a 22 squadre, che è un palliativo furbo: cerca di tenere il suo club in categoria a tavolino immaginando che un allargamento ne possa allungare la permanenza.
Ma Guarascio non dice - per convenienza - che il suddetto palliativo avrebbe bisogno di una dose più massiccia di realismo, ovvero quello di una lega chiusa in grado di garantire a tutti i Cosenza d’Italia che avessero le caratteristiche sportive, strutturali e patrimoniali per entrare in una lega chiusa, di poter lavorare con una progettualità di medio - lungo periodo che permetta loro di prescindere dai risultati nel breve attuando una pianificazione di ampio respiro.
Sostanzialmente Guarascio non lo fa perché non gli conviene aprire un vaso di pandora che spaccherebbe anche gli interessi di chi ha convenienza ad una B a 22 e spera di lasciarla presto, nel giro di uno o due anni, ma per andare in A anziché in C.
SuperLega, ribaltamento possibile
Venerdi 12 maggio su Lawinsport, che è un’autorevole sito dedicato all’approfondimento di temi giuridici in campo sportivo (in inglese), è stato pubblicato un articolo curato da Maike Herrlein e dal professor Moritz Lorenz dal titolo: “Perché è probabile che la Corte di giustizia europea devi dal pronunciamento dell’avvocatura generale Ue”.
In sostanza gli autori prefigurano quanto già accaduto 28 anni fa in occasione della sentenza Bosman, quando la Corte si discostò nettamente dal pronunciamento dell’avvocatura.
I punti chiave:
vero che l’avvocatura ha stabilito che Fifa e Uefa hanno norme restrittive, e che le stesse sono coerenti con gli obiettivi che le federazioni si pongono
tuttavia, al contempo (e questo è anche quanto scritto dall’avvocato Felice Raimondo sul suo blog all’uscita del pronunciamento) l’Uefa viola le norme UE quando impedisce ai rivali di entrare nel mercato (che è diverso dall’entrare o uscire dall’Ue)
per questo motivo già al 15 dicembre veniva fatto notare che la stessa avvocatura chiede all’Uefa di meglio codificare le condizioni di uscita di chi lo ritenesse, cosa che era passata in secondo piano nella narrazione giornalistica ma non sfugge a chi mastica maggiormente il diritto
i principi Ue consentirebbero solo di concedere all'UEFA il diritto di approvazione preventiva su aspetti tecnico-sportivi e di integrità fisica ed etica dei giocatori (e qui permettetemi, soprattutto sull’integrità fisica, l’Uefa e la Fifa coi loro calendari dovrebbero spiegarci molte cose) ovvero un puro ruolo Federale di federazioni che al contempo sono anche organizzatori di tornei
infine, nello specifico, gli autori dell’articolo sostengono che il paventato “modello europeo di sport” sia un po’ vago nelle parole di Ranthos. E sul tema tornano alla mente le parole di Sandro Gozi (parlamentare Ue di Renew Europe) laddove dice nella famosa intervista ripresa da Tuttosport: “Dal punto di vista del modello europeo dello sport, l’Uefa deve meglio chiarire come l’attuale struttura garantisce il raggiungimento degli obiettivi dei trattati europei: inclusione, merito, sostegno ai piccoli club e al calcio non professionistico”.
Insomma, alla fine torniamo sempre all’inizio: non basta sventolare la bandiera del calcio del popolo, bisogna anche dimostrarlo.
3000 sul campo
A proposito di stranezze della Giustizia Sportiva voglio parlarvi di una questione legata alla pallamano che mi ha lasciato alquanto perplesso, ma che non mi suona come nuova.
Riguarda Hans Lindberg, un giocatore delle Füchse Berlin, squadra che seguo stabilmente da quando vivo qui a Berlino, che sta per centrare il record di marcature nella Bundesliga tedesca di Handball.
Lindberg - che peraltro è stato campione del mondo con la Danimarca nel 2019 - ha giocato sedici stagioni in Bundesliga e nelle prossime settimane dovrebbe superare Kyung-Shin Yoon dalla vetta della classifica dei marcatori all time del campionato tedesco.
Il coreano ha 2.905 gol riconosciuti mentre Lindberg attualmente è a quota 2.893.
In realtà il danese di gol ne ha già segnati 3.037, ma la giustizia sportiva gliene ha cancellati 144 a causa del fallimento del club in cui ha giocato per metà stagione nel 2015/16, l’Amburgo.
In quella stagione Lindberg si trasferì a Berlino a metà campionato segnando 8 reti e fermandosi poi subito per un infortunio. Ma appunto, la prima metà della sua stagione fu cancellata e le statistiche ufficiali riportano solo 8 marcature per lui.
Lindberg segna oltre 100 reti a stagione e quindi è del tutto probabile che il traguardo ufficiale delle 3000 venga superato nella prossima stagione, quando “der Hans” - nome che i tifosi urlano per celebrare ogni suo gol - giocherà per l’ultima volta a Berlino prima di tornare in Danimarca e dedicarsi allo sviluppo del club che lo ha lanciato.
Ovviamente Kyung-Shin Yoon, che presto verrà sopravanzato, ha dichiarato: “Se verrà il momento mi congratulerò con lui dal profondo del mio cuore”.
In questi casi, si sa, i campioni dello sport preferiscono guardare alle statistiche che fanno loro più comodo anziché alla realtà sancita dal campo.
Rimane tuttavia la domanda: fino a che punto è giusto che la giustizia sportiva riscriva questo tipo di statistiche? Ovvio che in cuor suo, Lindberg, si senta già giocatore da oltre 3000 reti sul campo.
Ricorda nulla?
Le parole del ministro Giorgetti
Il caso Lindberg mi fa un perfetto assist per andare al tema che fa da titolo a questa newsletter.
Nei giorni scorsi il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo ad una domanda sul caso Juve ha affermato (Gazzetta dello Sport):
se la Juventus, e dico se, ha fatto un falso in bilancio perché togliere i punti? Se ragionassimo come Agenzie delle Entrate le sequestrino lo stadio che nel caso della Juve è un bene di proprietà.
Come spesso accade in questi casi i giornali non resistono dalla tentazione di decontestualizzare le parole, interpretarle alla lettera e fare titoli acchiappaclick che accendono gli animi ma non aiutano a comprendere quanto detto e quanto sta accadendo.
In particolare, è vero che Giorgetti dice “sequestro dello stadio”, ma la sua è evidentemente una metafora per dire dell’incoerenza della giustizia sportiva con il vero tema della violazione, e soprattutto della necessità di preservare quanto accade in campo intervenendo nello specifico in ambiti più prettamente finanziari o patrimoniali per punire un certo tipo di reati, qualora verificati.
È un atteggiamento - di cui spesso parlo in questa newsletter - che vediamo ovunque: in Spagna quando Tebas, pur nemico del Barcellona, si affretta a minimizzare sul caso Negreira, in Inghilterra quando sul Manchester City, indagato da quattro anni dalla Football Association, giustamente non trapela alcuna indiscrezione.
Ovunque tranne in Italia.
Quel “se la Juventus, e dico se”, pronunciato da Giorgetti, ha un significato chiaro: suggerisce ad esempio che prima dell’intervento a gamba tesa della giustizia sportiva andrebbero celebrati i processi ed emesse le sentenze, senza alcuna fuga in avanti - che peraltro altera in maniera molto più palese e tangibile, gli equilibri nella competizione - come quelle a cui abbiamo assistito quest’anno.
E il fatto che a dirlo sia un esponente di Governo è cosa particolarmente significativa, anche grave se vogliamo. Ed in questo la mancanza ancor più grave del giornalismo sportivo è quella di titolare sullo stadio, che nel discorso è posto a mo di esempio, e non ad esempio sulla bordata che il ministro riserva all’intero istituto della giustizia sportiva, in maniera ancor più netta di quanto fatto in questi mesi da Andrea Abodi, suo collega con delega allo Sport.
È bene qui ricordare quindi le parole, inequivocabili, di Giancarlo Giorgetti:
Purtroppo si sta verificando una situazione parossistica con i tifosi che fanno il tifo per i giudici sportivi. Mi rendo conto che il tema è delicato, ma certo va ripensato tutto. È evidente che il sistema di giustizia sportiva negli anni 60 e 70 non può più funzionare. La terzietà c’è ma non è possibile che gli organi di giustizia sportiva vengano nominati dal vincitore delle elezioni federali. E poi ci sono consiglieri di Stato, avvocati dello Stato che sono impegnati in processi sportivi, ma ognuno deve fare il suo mestiere.
Purtroppo invece di titolare su quel “se”, ad esempio “Giorgetti: sbagliato penalizzare la Juve per un processo in corso”, oppure (mia opinione) su quest’ultimo passaggio: “Giorgetti: Giustizia sportiva, va ripensato tutto”, si è scelto il sequestro dello stadio.
Giudicate voi.
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Gli scacchi
Pare che in tutto il mondo molte persone durante il lockdown si siano avvicinati agli scacchi o ne abbiano perfezionato la loro conoscenza.
Gli scacchi sono a tutti gli effetti uno sport, peraltro molto moderno in quanto capace di affermare la parità di genere in tutte le sue forme, e sempre più diffuso a livello mondiale.
Qualche mese fa Chess.com ha dedicato una attenta analisi alla accresciuta popolarità degli scacchi, attribuendola a 6 fenomeni distinti.
il lockdown
il successo di canali Twitch come PogChamps, nato a giugno 2020 con xQc e altri 15 streamer già famosi per eSports come League of Legends.
il successo della serie Netflix The Queen’s Gambit che può essere accostato a quanto accaduto anche nella Formula 1 con qualcosa di simile
l’attenzione di alcuni media come Sporting News che già dall’aprile 2020 avevano notato il trend
la relativa semplicità delle regole (si tratta in fondo di imparare i movimenti di 6 pedine) e la presa che il gioco ha avuto sui bambini.
E su questo ultimo punto devo ammettere di essermi interessato alla materia avendo visto i figli di due amici (una famiglia di origine venezuelana ed una con padre statunitense e madre russa, lo dico per enfatizzare le estrazioni culturali cosi lontane) non ancora in età scolastica, giocare e vincere con passione e spirito agonistico.
La possibilità, poi, di poter giocare in presenza come online, anche contro “intelligenze artificiali” per usare un termine di cui ultimamente si abusa, rappresenta un ulteriore punto di forza nel percorso fatto dal mondo degli scacchi fin qui e da qui in avanti.
Outro
Questa settimana voglio consigliarvi qualcosa di non strettamente legato allo sport, ed è un podcast che personalmente adoro.
Perché consigliare un podcast di politica internazionale in una newsletter sullo sport business? Per lo stesso motivo, credo, per cui un calciatore si deve allenare non solo in campo ma anche in pista e palestra.
Non avrei mai pensato di diventare un appassionato di podcast (magari una volta vi dirò quali sono quelli che seguo regolarmente), ma ammetto che Globo, il podcast del Post curato da Eugenio Cau sulle cose del mondo, è diventato un appuntamento per me imperdibile.
In particolare vi segnalo la terzultima e penultima puntata (ma non perché l’ultima, in cui si parla della Georgia e dell’escalation imperialista di Vladimir Putin negli ultimi 15 anni, sia da meno).
Il mio consiglio è di partire da queste due puntate: un’intervista a Nathalie Tocci (live, il che è un’eccezione per il podcast) sulla necessità di una crescente indipendenza dell’Europa dagli Usa e un’intervista a Andrea Graziosi che forse vi motiverà anche ad acquistare il suo libro Occidente e Modernità.
Credo che molti di voi, approcciando Globo a partire da queste due puntate, saranno interessati anche a risalire all’inizio della serie ed ascoltarsi tutte le 28 puntate fin qui realizzate.
Noi, come sempre, ci sentiamo tra una settimana.
A presto!