[35] Come sarà lo sport nel 2030?
Il 21 dicembre prossimo è fissato il pronunuciamento della Corte di Giustizia Europea sul caso SuperLega. Una data che potrebbe segnare uno spartiacque secolare nel mondo dello sport
Quando nello scorso mese di settembre i mondiali di basket hanno visto in contemporanea l’assenza della gran parte dei migliori giocatori al mondo, tra i quali cito in ordine sparso Curry, Antetokuompo, Jokic, Tatum, Embiid, giusto per fare qualche nome, nessuno si è scandalizzato.
Per settimane si sono susseguiti i forfait, tutti con giustificazioni che mettevano in primis l’accento dalla necessità di recupero fisico e mentale in vista della nuova stagione NBA, anche senza la presenza di recenti infortuni rilevanti agli stessi atleti.
Nonostante questo la vittoria della Germania è stata celebrata come una grande impresa sportiva ed il paese sogna un futuro roseo per il movimento.
Il basket, il più europeo tra gli sport americani, gode ad ogni latitudine della libertà che lo sport a stelle e strisce garantisce ai propri atleti.
Non vi è nessuna convocazione coercitiva, nessun ricatto federale.
Nessuno si è mai permesso di minacciare gli atleti come accaduto quando venne pubblicata la bozza del progetto Superlega.
Tutti, con la massima libertà, gestiscono la propria carriera, la propria salute fisica e mentale, il proprio calendario sportivo.
Non siamo nel regno di Bengodi (tra poco vedremo perché), ma di certo siamo in un mondo migliore di quello in cui si decidono assegnazioni di tornei internazionali a tavolino e in cui club e atleti hanno l’obbligo di perdere i propri giocatori per 3-4 mesi all’anno (riferimento al calcio) o anche di più (la pallavolo quest’anno è arrivata a ben 5) per lasciarli alle nazionali.
Per questo, quando il 21 dicembre prossimo la Corte di Giustizia europea si pronuncerà sul cosiddetto “Caso Superlega” lo sport europeo (ma in definitiva, mondiale) vivrà un momento cruciale che aprirà gli scenari su quello che sarà lo sport nel 2030.
E da quel momento in poi è lecito aspettarsi anche che il Parlamento Europeo (che pure in questa fase storica ha di certo grandissimi temi sui quali concentrarsi) apra una fase legislativa per delineare quel che sarà lo sport del futuro nell’Unione.
Da una parte le politiche federali, uniformate ad un modello in cui il sistema basato sul concetto di nazione la fa da padrone.
Dall’altra un mondo libero, che può riscrivere le proprie regole su basi più rispettose delle dinamiche attuali che vanno dalla produzione di valore economico attraverso lo sport professionistico, alla tutela della salute mentale e fisica degli atleti, financo alla promozione sportiva sul territorio, ma senza tenere in ostaggio chi ha potenzialità e ambizioni internazionali.
Un mondo non senza rischi, ma di certo con enormi opportunità.
Uno sport forse meno ordinato e meccanicistico dell’attuale ma possibilmente più libero ed economicamente sostenibile.
Questa settimana è uscito l’ultimo numero di Postilla, la newsletter di organizzazione aziendale e altro che curo per Officina strategia. In questo numero si parla tra le altre cose di una lezione di coaching del tecnico di Vbf Friedrichshafen (pallavolo tedesca) Mark Lebedew. E non solo. Potete iscrivervi qui.
Arabia Saudita 2034
Mentre attendiamo di sapere quale sarà il futuro, l’Arabia Saudita si è praticamente aggiudicata il mondiale del 2034 per assenza di alternative, in seguito al ritiro dell’Australia.
Il mondiale del 2034 sarà con tutta probabilità il secondo a disputarsi in inverno. Con buona pace delle legittime richieste dei club, delle leghe e di tutti gli sportivi.
E questo, sia ben chiaro, non rappresenterebbe un problema in sé nella misura in cui nessuno viene poi obbligato a interrompere manifestazioni o a liberare atleti che devono forzosamente partecipare a quella manifestazione.
Se la FIBA decidesse ad esempio un anno di fare i mondiali in contemporanea con i playoff NBA nessuno si sognerebbe di fermare il campionato americano al contrario di quello che accade alle leghe europee (nessuna esclusa) quando la FIFA invade i loro calendari.
Insomma, la FIFA fa programmazioni a 10 anni e oltre (tra le altre cose ha anche pubblicato le date di tutte le pause nazionali da qui al 2030, con l’annuncio della fusione in una sola pausa dei due international break di settembre e ottobre), ma siamo così sicuri che il calcio (e lo sport tutto) saranno in futuro come li abbiamo conosciuti finora?
Non è tutto oro…
Il punto ovviamente non è quello di passare dalla dittatura federale alla dittatura delle leghe.
Ed in tal senso credo vada commentata la notizia secondo la quale, in vista del prossimo ciclo di diritti tv l’NBA starebbe pensando ad una “participation rule” che di fatto impedirebbe la rotazione di alcuni giocatori chiave (se non dichiaratamente infortunati) con l’obiettivo di proteggere il valore dei diritti tv.
Una regola tutta da scrivere, sia chiaro, ma che apre ad un tema nuovo.
L’NBA sta contrattando il prossimo decennio, che potrebbe portare ad un clamoroso accordo da 75 miliardi di euro, più che triplo rispetto al precedente.
Tuttavia le recenti problematiche legate nella MLS alla non partecipazione di Lionel Messi (la cui presenza ha fatto lievitare sia i prezzi dei biglietti, sia gli abbonati al Season pass di Apple Tv) ad alcune partite dell’Inter Miami, hanno aperto il dibattito sulla necessità che gli attori principali siano presenti sulla scena, quando non infortunati.
E di questo parlavo poco fa quando accennavo a rischi e opportunità: ogni volta che si riconoscono un potere o una libertà vanno riconosciuti contrappesi per non affidarsi ciecamente nelle mani di un nuovo satrapo che finisca alla lunga per sostituire il precedente.
Diritti umani à la carte
Facciamo un passo indietro, a Arabia Saudita 2034, per dire che naturalmente la candidatura ha già sollevato polemiche.
La settimana scorsa Human Rights Watch si è lamentato del fatto che la FIFA non sta applicando le proprie regole riguardo alla candidatura dell’Arabia Saudita, in particolare l’articolo 7 della sua politica sui diritti umani.
L’articolo afferma:
La FIFA si impegnerà in modo costruttivo con le autorità competenti e le altre parti interessate e farà ogni sforzo per sostenere le proprie responsabilità internazionali in materia di diritti umani.
Minky Worden, direttore delle iniziative globali di Human Rights Watch, ha dichiarato:
La possibilità che la FIFA possa assegnare all’Arabia Saudita la Coppa del Mondo del 2034 nonostante il suo spaventoso record di diritti umani violati e la porta chiusa a qualsiasi monitoraggio fa apparire gli impegni della FIFA nei confronti dei diritti umani come una farsa.
Opinione personale. Non sono tra coloro che credono che i boicottaggi sportivi risolvano il problema. Sono ideologicamente contrario ai muri e non credo che i muri giusti siano diversi dai muri che i miei valori ritengono sbagliati.
Sono anzi convinto che solo l’apertura e il dialogo, anche e soprattutto in materia di sport, rappresentino la via per il miglioramento.
Per questo ho evidenziato, poco sopra, “la porta chiusa a qualsiasi monitoraggio”. Perché credo che la FIFA non possa acriticamente aprire le porte a chi chiude le porte a quelli che la FIFA dichiara essere i propri valori di inclusività.
Ed insomma, a 11 anni dai mondiali del 2034 mi auguro che la FIFA ponga qualche condizione di avvicinamento a quell’evento, perché la strada è lunga, ma la moneta non può essere l’unico modo per misurare ed accettare una candidatura.
In tutto questo marasma io trovo sempre davvero esilarante che tanti giornali si stiano occupando della affluenza di pubblico al campionato saudita. Come se ci fosse in Arabia Saudita qualcuno veramente interessato al fatto che i sauditi vadano allo stadio. Mah…
Il ritiro di Sinner
Quel che è successo a Parigi Bercy, con Jannik Sinner ritiratosi dopo aver dovuto giocare in piena notte un match finito alle 2.30, ci riporta ad uno dei temi iniziali di questa newsletter.
Non è una novità nel circuito/circo tennistico, ma non mi va di ignorarla per il suo significato intrinseco.
La salute psicofisica degli atleti non può non essere una priorità assoluta nel futuro dello sport.
Non esistono modelli virtuosi se con essi la narrazione non passa dalla celebrazione eroica dello sforzo costi quel che costi ad una più umana presa di coscienza dei limiti psicofisici di qualsiasi atleta, anche il più resistente e completo.
Recentemente su Apple Tv il documentario relativo alla vita e alla carriera di Boris Becker ha riportato questo tema al centro dell’attenzione (il tedesco ha sofferto per anni di dipendenza dai sonniferi) e messaggi come quello lanciato dall’ex campione, e dal campione altoatesino questa settimana, non possono cadere nel vuoto.
Vendesi West Ham
Una quota di minoranza del West Ham (25%) è stata messa in vendita da Vanessa Gold, figlia dell’ex co-presidente David Gold, morto il 4 gennaio di quest’anno.
Si tratta della terza quota minoritaria di un club che va sul mercato in pochi mesi dopo quelle del Liverpool (da Fenway a Dinasty equity) e del Manchester United (dalla famiglia Glazer a Jim Ratcliffe).
Attualmente il West Ham è in mano a quattro diversi investitori. Oltre a Gold anche David Sullivan (39%), Daniel Kretinsky (27%) e Tripp Smith (8%).
Secondo Sky News UK diversi fondi sono stati sondati riguardo a un potenziale accordo, che probabilmente valorizzerà il West Ham intorno ai 700 milioni di euro.
Segnalazioni
La scorsa settimana Fubolitix era dedicata in particolare alla crisi dei media sportivi.
Come a volte accade la pubblicazione mi porta poi a contatto con nuove persone e altre pubblicazioni che si rivelano particolarmente interessanti.
In questo caso ho trovato di particolare interesse la newsletter di Lelio Simi, su Substack, che si chiama Mediastorm e si occupa in realtà di media tout court.
Ma che alla fine ci riporta al tema di fondo ovvero l’economia dell’attenzione, perchè la vera posta in palio è il tempo delle persone, a prescindere dal tema dei contenuti (sportivi o meno).
Interessanti in particolare due interventi:
Anche se in generale ogni articolo di Lelio Simi merita una attenzione superiore alla media, ovvero un taccuino e una matita per prendere nota di qualche punto di discussione che viene affrontato.
Outro
La notizia italiana più importante della settimana è stata sicuramente la cessione del prossimo ciclo di diritti tv della Coppa Italia a Mediaset per 58 milioni di euro a stagione con un incremento di 10 milioni a stagione (+21%).
Decisiva anche la Supercoppa con 4 squadre, ma non solo.
Anticipo ora quello che sarà il dibattito (solito, da dieci anni a questa parte) nel mese di gennaio. Ma perché la Serie A non fa la Coppa Italia come la FA Cup?
Semplicemente perché nessuno ha interesse a toccare l’unico prodotto che indubbiamente cresce (in valore economico) e funziona per portarlo in un terreno sconosciuto.
E perché la Coppa Italia funziona? Perché la formula attuale garantisce dai quarti di finale ogni anno una serie di sfide tra Juventus, Milan, Inter, Napoli e Roma: le 5 squadre che insieme coprono l’85% del tifo in Italia. Tre delle quali a diffusione nazionale e due a forte caratterizzazione locale.
Tutt’al più ci si potrebbe chiedere se questi 58 milioni (circa il 5,8% del miliardo che viene chiesto per la Serie A) siano una cifra congrua per un torneo che, appunto, vede ogni anno sfide (peraltro con il fascino dell’eliminazione diretta) che finiscono puntualmente nella top 10 degli eventi televisivi più visti dell’anno.
La mia impressione è che su questo format si possa fare molto di più in chiave futura.
Per questa settimana è tutto.
Ci sentiamo sabato prossimo.
Restiamo in contatto!
Chiusa straordinaria sulla Coppa Italia, come sempre