[45] L'esilarante trionfo del calcio del popolo
La nuova Champions va in conflitto con la English Football League, la Premier si tiene i soldi. Pure le donne si slegano dalle logiche federali. Ma guai a parlare di Superlega con gli inglesi
Berlino, 3 febbraio 2024
Quando fai il giornalista sportivo all’estero ti senti un po’ come Francesca Schiavone e Flavia Pennetta dopo il successo di Jannik Sinner agli Australian Open.
A prescindere da quello che fai, hai fatto o farai di rilevante, il trionfo del maschio nell’immaginario collettivo sarà sempre infinitamente più grande del tuo Roland Garros 2010 o dello US Open 2015.
E non puoi dare nemmeno la colpa al maschilismo.
Ma te ne fai una ragione.
Ho trovato molto buffo il dibattito di questa settimana su cosa sia un evento sportivo di interesse nazionale, nella declinazione italiana, causato dal fatto che la finale degli Australian Open non sia stata trasmessa in chiaro.
Innanzitutto per l’abitudine tutta italiana di arrivare il giorno dopo. Ma va beh, quello non lo estirperemo mai.
Poi per una malcelata cultura radicalmente antisportiva, opportunistica nella migliore delle ipotesi, che sta dentro tutti i ragionamenti sentiti.
La Gazzetta ha pubblicato l’elenco attuale degli eventi sportivi (e non) che l’AgCom considera “di interesse nazionale”:
le Olimpiadi estive ed invernali; la finale e tutte le partite della Nazionale ai Mondiali ed Europei di calcio, oltre a tutte le gare ufficiali degli azzurri; la finale e le semifinali di Champions ed Europa League con squadre italiane; il Giro d’Italia; il Gran premio d’Italia di Formula 1 e MotoGp; le finali e le semifinali dei Mondiali di pallacanestro, pallanuoto, pallavolo, rugby alle quali partecipi l’Italia; gli incontri del Sei Nazioni di rugby con gli azzurri; la finale e le semifinali di Coppa Davis, Fed Cup (ora Billie Jean King Cup) e Internazionali d’Italia di tennis con la presenza dell’Italia o di italiani; il campionato mondiale di ciclismo su strada; il Festival di Sanremo; la Prima alla Scala di Milano; il concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia.
Proprio un paio di settimane fa avevo parlato di come lo stesso dibattito si fosse aperto in Inghilterra con le finali del mondiale di freccette al posto del tennis.
Il Regno Unito, principale mercato delle freccette, ha visto nel frattempo un aumento di popolarità nel 2024 grazie al Campionato Mondiale di Darts, soprattutto per l'impressionante debutto del 16enne Luke Littler (battuto poi in finale). “Uno a cui anche i calciatori di Premier League chiedono selfie” scrive SportsProMedia. La sua ascesa ha generato un ampio interesse, suscitando discussioni su varie piattaforme mediatiche. Sono emerse, tra le altre, richieste di trasmettere la finale in chiaro, simili a quelle fatte per eventi a pagamento in passato.
E su queste richieste riprendo quanto scritto da Steve McCaskill su SportsProMedia:
Pur riconoscendo l'importanza dello sport in chiaro va difeso il diritto di Sky a mantenere l'esclusività.
C’è sostanzialmente - in questa opinione di marca anglosassone - la volontà di difendere il valore stesso dell’evento, e le imprese che in esso investono da anni.
Il mercato! Questo sconosciuto.
Gli stessi broadcaster, del resto, non avevano esitato a mettere Schiavone e Pennetta in chiaro.
Questo non perché sentissero un improvviso spirito patriottico, ma perché l’evento si piazzava a metà del guado: non era un fatto commerciale in sé (ovvero capace di attrarre nuovi abbonati interessati a quello specifico match) ma un ottimo veicolo di marketing (ovvero di promozione in vista di clientele future).
Nessun interesse nazionale, insomma, solo l’interesse proprio meglio servito dalla trasmissione in chiaro.
Quello che personalmente mi sorprende è l’idea, che ripeto trovo radicalmente antisportiva, che un evento sia “di interesse nazionale” non per la sua importanza in sé, ma perché l’Italia o un italiano lo possa vincere.
Molto facile equivocare il termine “interesse”.
Parliamo di interesse tout court, in senso commerciale televisivo, nel senso di capacità di quell’evento di attrarre audience?
O parliamo di interesse strettamente collegato al termine nazionale, che connettendo le due parole di fatto ribalta il concetto stesso di interesse, laddove interesse commerciale diventa antitetico a interesse nazionale e spiega che è interesse della nazione dare a quell’evento la massima diffusione possibile, a prescindere dal suo valore economico, perché renderne facile la reperibilità eleva l’identificazione della gente tra le altre cose, ad esempio, nei colori azzurri o nello spirito unitario del Paese.
Capita quindi che in quella lista si dica che del calcio non si butta niente mentre nella pallavolo l’evento merita solo se si arriva alla final four.
Il che piazza il concetto di interesse in un campo più che altro sovietico, ovvero con il solo effetto di svilire il valore commerciale di un evento perché praticamente tu broadcaster investi in un evento che puoi tenere a pagamento fino a che il successo di quell’evento non diventa tale che ce ne freghiamo del tuo interesse e ti imponiamo di metterlo in chiaro.
Come se a uno scommettitore si dicesse: ok, adesso tu scommetti, se perdi ti accolli la perdita, invece se vinci la condividi col popolo.
Nel tennis trionfano i varenniani (quelli che sanno tutto dello sport del momento, come quelli che insegnavano ippica ai tempi del cavallo Varenne) e quindi l’interesse diventa nazionale se Sinner fa la finale, non prima.
Nella pallamano siamo scarsi, quindi nessuno si permette di dire che forse anche quello sport ha qualcosa da dire alla nazione, infatti nell’elenco la pallamano non c’è, perché chi l’ha fatto non ha ragionato in termini di principio, ma di opportunismo.
E che dire delle paralimpiadi? Perché non stanno nell’elenco? Hanno qualcosa meno delle Olimpiadi sul piano del valore sportivo delle imprese viste da un punto di vista dell’interesse nazionale?
Mi pare, tutt’al più, che sul piano narrativo e valoriale un oro paralimpico offra addirittura più spunti di uno olimpico…
Quel che manca è una enunciazione di principio su cosa sia “interesse nazionale”.
Ma del resto l’Italia é un paese in cui ormai aggiornare la Costituzione è diventato un hobby per parlamentari annoiati. Infatti lo fanno in media una volta ogni quattro anni e l’ultima volta con tanto toni trionfali dei populisti di destra e di sinistra pure lo sport ci hanno messo dentro, quando invece lo sport andava messo seriamente dentro le scuole, con piani operativi, non con vuoti proclami costituzionali a la carte.
Secoli dopo, siamo sempre il paese delle grida manzoniane.
Onestamente, se questa definizione di interesse nazionale la dobbiamo desumere dalla lista, quella che ne esce è un’idea indigeribile, ipocrita nella migliore delle ipotesi.
Antisportiva.
Ah, in tutto questo il CdR di Rai Sport si è lamentato che la testata non abbia mandato nessuno in Australia. Come se questo spostasse in qualche modo qualcosa su quanto siamo stati informati sull’evento.
Ma qui sarebbe lunga aprire il capitolo su come la Rai debba spendere i soldi pubblici nell’acquisizione di diritti. Io ad esempio sono convinto che il suo ruolo non debba essere concorrenziale rispetto agli altri attori sul mercato, ma di valorizzazione, dando spazio a qualcosa che magari oggi va supportato ma domani svilupperà una audience in grado di far camminare un determinato sport / evento con le proprie gambe.
Benvenuti nel 1934.
E buona lettura.
Giovanni
Questa settimana
1. Puma-Barcellona
Dialogo aperto tra Puma e Barcellona su un rinnovo monstre della sponsorizzazione tecnica dei blaugrana, che potrebbe arrivare fino a 200 milioni l’anno. Accordi di questo genere sono la dimostrazione del fallimento del modello economico sportivo europeo. Anche il Barça come già il Manchester United, vede sostanzialmente aumentare i propri ricavi da sponsor nel momento peggiore del club. A quanto pare le aziende cercano nei momenti peggiori di sostenere i club - in chiave anticiclica, diremmo - per fare in modo che questi non perdano posizioni e appeal. I contratti, che dovrebbero diminuire a causa dei minori ritorni d’immagine (legati anhe alle vittorie), tendono ad aumentare in chiave anticongiunturale per sostenere l’approvigionamento tecnico delle società interessate.
2. Cose tedesche
La settimana scorsa abbiamo parlato del Friedrich Ludwig Jahn Sportpark. Questa settimana ci spostiamo a Sud Ovest della città, a Lankwitz, dove il BFC Preussen progetta di costruire una nuova arena sportiva. L'ambizioso progetto costerà circa 70 milioni di euro. Oltre al nuovo stadio verranno costruiti un hotel sportivo, un nuovo edificio funzionale, due palazzetti dello sport, un campo da beach volley e un asilo nido. Modello apprezzabile perché unisce la struttura sportiva ricreativa e quella sociale, sotto l’egida di un club di calcio.
3. L’impatto del calcio
“Il calcio è davvero un’industria importante per l’Italia?”. Un bel pezzo dell’Ultimo Uomo prova ad andare oltre le frasi fatte. In particolare chiarisce un aspetto non sempre chiaro nel dibattito:
Stilare una classifica per capire dove piazzare il calcio tra le attività produttive italiane è difficile e forse anche inutile, ma di certo non rientra tra le prime: quando si indica un impatto pari allo 0,63% del PIL nel 2022, infatti, non si prende come dato di riferimento il valore della produzione (3,4 miliardi di euro), bensì il contributo diretto, indiretto e indotto di 11,1 miliardi di euro. Ciò significa che in questo 0,63% del PIL rientrano anche 12 settori merceologici coinvolti nella “catena di attivazione del valore” del calcio italiano.
L’invito è a leggere tutto il pezzo di Benedetto Giardina, che va anche sul tema “Pro e contro del Decreto Crescita in Serie A” a cui accennavo anche una settimana fa.
4. Money league
Come ogni anno Deloitte ha pubblicato la Football Money league e come ormai succede da 10 anni a questa parte la realtà del calcio europeo si presenta cristallizzata, a meno di proprietà che immettono nelle loro società ingenti capitali sotto forma di ricavi (come Psg e ManCity), per il resto i club nelle prime 10 posizioni se la cantano e se la suonano da soli spostandosi di 2-3 posizioni massimo di anno in anno, una volta in su una volta in giù. Dal decimo posto in giù la differenza la fanno esclusivamente i ricavi Champions, ma anche quando un club (vedi il Milan e l’Inter quest’anno) scala posizioni, poi la salita si ferma perché la realtà è che i fatturati crescono nella migliore delle ipotesi in maniera proporzionale.
5. Gli europei di Pallamano
Il Guardian ha dedicato un bel pezzo al successo degli Europei di Pallamano che si sono conclusi una settimana fa in Germania, e lo stesso ha fatto Rivista Undici. I numeri sono stati molto interessanti a partire dalle oltre 50 mila persone alla gara inaugurale a Dusseldorf. Va ricordato che in Germania la Bundesliga di handball ha richiamato lo scorso anno una media di 4.800 spettatori a partita (la capacità media dei palazzetti è di 6.600 persone), per dire di uno sport che attira quasi il triplo in media (ad esempio) della pallavolo italiana.
L’Uefa si mangia i piccoli club inglesi
Una delle cose più colorite della narrazione del presidente dell’Uefa Aleksander Ceferin è quando, in ossequio al suo ruolo autonominato di difensore del calcio del popolo, prova a farsi umano tra gli umani e racconta di persone normali che lo sostengono fermandolo per strada.
Celeberrima era la casalinga antisuperlega di Lubiana, di recente abbiamo scoperto che Ceferin ha anche amici al bar che vogliono essere più informati sul nuovo format della sua Champions league.
Come se poi il calcio sloveno fosse protagonista nell’Europa calcistica dell’Uefa e quindi nei bar di Lubiana fossero preoccupati per il futuro del blasone europeo di Olimpia, Maribor e Koper e della loro competizione con le big europee…
Ma, pettegolezzi a parte, il presidente dell’Uefa sembra meno allineato con chi invece questo calcio del popolo e dei piccoli club lo organizza e rappresenta.
La nuova Champions League dell’Uefa infatti andrà ad occupare date che precedentemente erano appannaggio di altre competizioni.
In Inghilterra, ad esempio, della Coppa di Lega inglese.
Questo torneo, per chi non lo sapesse rappresenta una delle più importanti attività (in termini di ricavi da sponsorizzazioni) della EFL, la English Football League, ovvero l’organizzazione che raggruppa i campionati dal secondo al quarto livello del calcio inglese (Championship, League One e League Two).
Celebre fu nel 2021 il grido di dolore dell’EFL contro la Superlega che avrebbe distrutto il torneo privando la lega di importanti risorse. Erano i giorni dei tifosi in piazza e del calcio del popolo portato al populistico trionfo.
Due anni dopo sarà invece la Champions League a creare il cortocircuito visto che ben 3 turni tra cui le semifinali del torneo saranno in contemporanea con i turni della nuova formula della massima competizione europea.
Un curioso epilogo no?
Significa, tra le altre cose, che se un club inglese attivo in Champions dovesse arrivare (come spesso accade) anche in semifinale di Coppa di Lega a quella partita manderà la squadra primavera (in Inghilterra chiamata EDS, da Elite development system, sostanzialmente l’ex campionato riserve).
Una cosa peraltro già successa nel 2019 quando il Liverpool mandò i ragazzi a giocare contro l’Aston Villa, perché la prima squadra era a giocare la Club World Cup della FIFA. A dimostrazione che quando devono fare i propri interessi FIFA e UEFA uguali sono, se ne fregano di chiunque perché parafrasando Alberto Sordi loro sono loro e gli altri non sono…
Fin qui l’EFL si è rifiutata di rivedere la formula ed al contempo la Premier League (massima espressione del calcio del popolo, come sappiamo) si è rifiutata di sostenere i club minori con devoluzioni di solidarietà aggiuntive.
Davvero un curioso epilogo per chi ha esultato contro la Superlega ed ora strangola i suoi simili delle categorie inferiori.
La realtà del calcio “del popolo” inglese, quello delle categorie minori che vivono nell’ombra della Premier League, è tutt’altro che florida (ed è ben descritta qui).
Nel frattempo anche il calcio femminile inglese si appresta a varare una sua lega indipendente dalla propria federazione (la famosa FA, Football Association).
La nuova WSL infatti - come la Premier League - sarà indipendente dalla Football Association.
È l’ennesima dimostrazione che il calcio per sviluppare le proprie potenzialità ha la necessità di uscire dalle logiche federali. Cosa che gli inglesi furono i primi a fare nel 1992 con la Premier League e che si apprestano a ripetere.
Il problema alla fine è solo di confini, e quindi di politica: gli inglesi fanno in patria quello che non vogliono che altri facciano a livello europeo.
Questo perché il Regno Unito concepisce il suo legame con altri Paesi solo dentro i canoni dell’imperialismo.
Quando al dominio sostituisci il dialogo, l’isola si chiama fuori. Per anni è sempre stata l’ultima ad essere convinta delle istanze europeiste, e poi se ne è andata con la Brexit.
Non si può negare che il suo atteggiamento abbia generato una certa pragmatica efficienza in grado di far fiorire modelli come quello della Premier League, ma rimane un interlocutore inaffidabile quando si tratta di ragionare di partnership possibili, da pari a pari.
Nel frattempo, meraviglia, il calcio femminile inglese discute ad esempio se le retrocessioni siano una buona cosa e parla apertamente di tornei chiusi. Anche se la Nikki Doucet (l’amministratore delegato canadese della Lega) fin qui dice che alla fine promozioni e retrocessioni rimarranno.
Tra le altre cose, tuttavia, si appresta a varare una lega con una doppia divisione (qualcosa di simile alla Bundesliga) in termini di divisione dei diritti tv, che quindi vada in qualche modo ad evitare i problemi creati da retrocessioni e promozioni col meccanismo perdente (a tutti i livelli, in Inghilterra come in Italia) del paracadute.
Ed anche se per ora il tema viene dribblato l’impressione è che se dalla prima alla seconda divisione femminile inglese le retrocessioni e promozioni saranno automatiche, probabilmente quelle al di fuori di questi due livelli saranno soggette a parametri non solo sportivi.
Ma nessuno urla allo stupro del merito, quando le cose accadono dentro i confini politici che i populisti riconoscono.
Non c’è che dire, nel paese in cui lo slogan del calcio del popolo ha chiamato in piazza i tifosi, a distanza di due anni le istanze superleghiste stanno trovando il miglior modello applicativo possibile.
Il problema, come detto, è tutto di confini, perché in definitiva si ammette in patria quello che si nega a livello comunitario.
Outro
Qualche settimana fa un bel pezzo uscito su Domani ha raccontato il successo delle newsletter.
Lo stesso giornale ha parlato anche di “Come salvare la vita al tuo podcast”.
Questo sostanzialmente perché non è facile portare avanti attività come una newsletter o un podcast che sostanzialmente succhiano tempo in quantità elevata e alla lunga danno risultati limitati in termini di personal branding e spesso nulli in termini economici.
Per questo ho deciso questa settimana di suggerirvi tre newsletter che secondo me vale la pena leggere e seguire, ed a cui vi invito ad iscrivervi.
La prima è Calcio Analytics di Aldo Comi (Ceo di Soccerment). Esce sporadicamente ma ha sempre grandi spunti.
La seconda è Bosman di Luigi Di Maso (direttore di Social media soccer). Simile alla mia da un punto di vista degli argomenti, ma lui è molto più democristiano di me. Il fatto è che Luigi vede le cose da una prospettiva italiana e molto da insider, l’ultimo numero sull’Arabia Saudita ad esempio merita una lettura.
Infine siccome questa newsletter tratta anche di media e giornalismo, una vera istituzione in questo senso è Media Storm di Lelio Simi.
Noi come sempre ci sentiamo tra una settimana!
A presto.