[46] Il brand "Serie A" é fumo negli occhi?
I vertici di Lega parlano di partite all'estero, ma dietro a Juventus, Milan e Inter l'immagine del calcio italiano è quella degli spalti vuoti di Fiorentina - Napoli in Supercoppa.
Berlino, 10 febbraio 2024
Diciamolo una volta per tutte.
Se il calcio è arrivato a questo punto l’Uefa ha grossissime responsabilità e colpe.
Da Nyon possono accampare tutte le scuse che vogliono ma la genesi dell’attuale sistema è loro.
Quando nel 2000 la Champions League è stata allargata alle terze e quarte classificate, una Federazione che ha a cuore il modello Federale avrebbe dovuto redistribuire i soldi alle Federazioni che poi avrebbero premiato sia i club partecipanti che i non partecipanti, in nome della mutualità e del modello federale.
Ed invece in quel momento è saltato il banco.
Per scongiurare già allora una Superlega autonoma, che le avrebbe fatto perdere potere, l’Uefa decise di bypassare le Federazioni e redistribuire direttamente ai club.
Ai tempi di Michel Platini, poi, riformò le coppe per dare più posti alle piccole federazioni (inventando ad esempio i due percorsi Campioni e Classificate per qualificarsi alla Champions) col fine di tenersele buone.
A fine anni 2000 in Inghilterra il dibattito era concentrato sugli effetti nefasti di questo atteggiamento: per quasi un decennio solo 4 squadre (un terzo rispetto ai decenni precedenti) si erano qualificate ai primi 4 posti del campionato inglese potendo contare sempre su premi molto maggiori degli altri club.
Sono serviti gli sceicchi (l’acquisto del Manchester City è del 2008) per mettere in discussione quella gerarchia tecnica con l’allargamento delle Big 4 (in ordine alfabetico Arsenal, Chelsea, Liverpool e Manchester United).
Il resto lo ha fatto il megacontratto televisivo partito nel 2016/17 che di fatto ha messo tutti i club di Premier in pole position rispetto ai club europei.
In tutti i paesi il numero di squadre che hanno vinto i campionati è diminuito dal 2000 in poi rispetto ai 20 anni precedenti.
E lo stesso è accaduto in campo europeo con lo strapotere di 4 paesi (Spagna, Inghilterra, Germania e Italia, in ordine di successi nelle coppe) a cancellare la precedente alternanza.
Nel 2012 poi l’Uefa ha varato il Fair play finanziario, che ha avuto alcuni meriti di breve periodo (il contenimento delle perdite di molti club, un miglioramento medio generale della situazione) ma che nel medio e lungo periodo ha cristallizzato le posizioni dei top club europei rendendo l’attuale top 10 di fatto inattaccabile.
Non è un caso se il rischio secessione sia stato contenuto in questo ventennio con un crescente potere riconosciuto all’Eca, l’associazione dei club, che guardacaso da un quinquennio è socia di Uefa Competitions Sa, la società che gestisce le competizioni europee.
Il banco è saltato nel 2021, e da quel momento in poi l’Uefa recita la litania del calcio del popolo in maniera abbastanza ipocrita visto quello di cui è stata responsabile nelle due decadi precedenti.
Il vero colpo di Ceferin, in quel momento, fu quello di mettere Nasser Al-Khelaifi, presidente del Psg (che a giorni alterni è sponsor, figura istituzionale e presidente di club), uno che i piccoli club dovrebbero vedere come il nemico numero uno e che invece hanno votato come loro presidente, a capo dell’associazione dei club, svuotandola di qualsiasi significato.
Fare esercizio di memoria è sempre molto utile.
In vista dell’imminente causa miliardaria della Superlega contro gli abusi di potere della Federazione Europea, serve per capire che non siamo davanti al dilemma dell’uovo o della gallina, ma ad un sistema calcistico che ha padri, madri e figli.
Ed a proposito del quale è bene che tutti si prendano le proprie responsabilità e facciano i conti con le proprie azioni.
Questa settimana
1. Superlega vs Uefa
CF in settimana ha dato notizia della causa da 3 miliardi che la Superlega vuole intentare nei confronti dell’Uefa. È un passaggio quasi inevitabile dopo il trionfo del 21 dicembre scorso, ma soprattutto un’azione - mi par di capire - che la società che vuole avviare un nuovo campionato europeo per club sta avviando per tenere occupata l’Uefa sul fronte legale mentre prova a riorganizzarsi per ripartire.
2. Stati vs Superlega
Nel frattempo la Francia attraverso il suo presidente Emmanuel Macron si è fatta promotrice di una dichiarazione congiunta (a cui l’unico paese non partecipante è stata la Spagna) che mirerebbe a garantire un «collegamento tra le performance annuali nelle competizioni nazionali e tutte le competizioni europe». La dichiarazione viene chiaramente letta in chiave anti-Superlega, ma basta riflettere un attimo per capire come le rivendicazioni dei paesi membri abbiano un limite, e quel limite è rappresentato dalla sentenza del 21.12.23 che sancisce la libertà dei club come aziende indipendenti di organizzare le competizioni come vogliono.
3. I sauditi come i cinesi?
Il Telegraph ha scritto un pezzo in cui dice che sostanzialmente l’Arabia Saudita rischia di fare la fine della Cina, alla voce investimenti nel calcio. Con tutto il rispetto per l’autorevolezza della testata inglese non si possono trascurare due aspetti: il primo è che l’Arabia Saudita è più vicina all’Europa di quanto New York non lo sia a Los Angeles, e questa contiguità geografica non è certo un dettaglio. Il secondo è che serve un certo grado di miopia per pensare che i sauditi abbiano come obiettivo quello di fare un campionato saudita di calcio. La posta in palio è ben più alta ed il modello è quello che sta succedendo nell’Eurolega di basket pronta ad accogliere un club del Qatar. E dal 21 dicembre 2023 in poi tutto è possibile. Tempo al tempo.
4. Il risiko dello streaming
In settimana sono state annunciate due nuove iniziative in tema di streaming. La prima è la piattaforma, ideata dall’European broadcasting union, si chiama Eurovision Sport e trasmetterà 14 discipline diverse per un totale di oltre 43mila ore di sport all’anno (CF). La seconda viene dall’America ed è una joint venture tra Disney, Fox e Warner Bros, presto ribattezzata “la Netflix dello sport”. Dopo l’annuncio della jv l’aggregatore statunitense Fubo Tv (da cui questa newsletter prende parte del nome) ha perso il 23% in Borsa. Il mercato della trasmissione live degli eventi sportivi è in grande turbolenza, alla ricerca di una sostenibilità che al momento non si intravede all’orizzonte. Un settore chiave, nello sport, perché direttamente collegato coi consumi degli sportivi. Ma siamo solo all’inizio di una lunga traversata, senza nemmeno sapere se alla fine ci sarà una terra promessa.
5. Sportivi azionisti
Uno dei motivi per cui l’Europa dovrebbe guardare sempre più allo sport USA come ad un modello è il fenomeno degli sportivi azionisti. Recentemente il sindacato dei giocatori della NFL avanzato una proposta attraverso la quale potrebbe, come accade in NBA (basket) e PGA (golf), dare la possibilità ai propri giocatori di diventare azionisti dei propri club. Questo accade perché il modello statunitense protegge i valori dei club, che diventano veri e propri asset con una scarsa volatilità a differenza del modello europeo, che sarà anche più inclusivo, ma presenta un rischio d’impresa (e una facilità di fallimento) che meriterebbero una riflessione seria.
6. I costi del volley
L’amministratore delegato di Br Volleys Berlin, Kaweh Niroomand, ha dichiarato a Tagespiel che l’accesso ai quarti di Champions League (poi avvenuto) della sua squadra: “Avrebbe permesso di coprire i costi sostenuti per la partecipazione al torneo”. Significa che di fatto più della metà dei club che giocano la fase a gironi di Champions League di volley (5 da 4 squadre ciascuno) non si ripagano le spese. Mi pare l’ennesima dimostrazione della necessità di una seria revisione del modello sportivo europeo che tanto piace agli Stati membri.
Il valore del brand Serie A
In una recente intervista rilasciata alla newsletter Bosman - scritta dal direttore di Social Media Soccer, Luigi Di Maso - il giornalista de Il Sole 24 Ore, Marco Bellinazzo, ha dato un suggerimento alla Serie A.
È fondamentale essere presenti in nuovi mercati con una competizione come la Supercoppa.
Le prossime 3 edizioni che si disputeranno qui vanno ben calibrate sfruttando l’esperienza di questa edizione che ci ha consegnato una lezione: ci sono 3 brand del calcio italiano conosciuti e seguiti nel mondo arabo e sono Juventus, Inter e Milan.
Sarebbe quindi opportuno per ora andare a rigiocare la prossima edizione quando almeno 2, se non tutte e 3, saranno qualificate per la competizione.
Difficile non essere d’accordo con Bellinazzo su questo punto. Sostanzialmente ci sta dicendo di sfruttare il contratto che prevede 4 edizioni su 6 (ora 3 su 5) in Arabia Saudita. Se ci saranno Milan, Juve e Inter si va a prendere i soldi, altrimenti versione povera in Italia. Easy.
Ma qui nascono due considerazioni.
La prima è che quando l’NBA fa i tornei all’estero, siccome all’estero ci manda il brand NBA e non le squadre, e i palazzetti li riempie a prescindere, le selezioni vengono fatte per fasce, con criteri di rotazione ed estrazione: un anno ti becchi i Celtics, un anno i Lakers, un anno un altro top club e poi una squadra di seconda, terza e quarta fascia.
Questo la Serie A non potrebbe farlo, pena la svalutazione quasi totale della sua presenza all’estero, dove i promotori esigono la presenza delle strisciate.
La seconda è che se per andare a incassare i milioni (23 a edizione) degli arabi dobbiamo aspettare Juve, Milan e Inter in contemporanea, come logicamente suggerito da Bellinazzo, significa che alla fine gli arabi non stanno pagando la Serie A ma una roulette che punta su quei club.
Inoltre, dal punto di vista dei ricavi si certifica che quei club hanno un vantaggio incolmabile sul resto della Serie A.
L’amministratore delegato della Serie A, Luigi De Siervo, fa bene a giocarsi ogni volta la carta del fatto che in Italia da qualche stagione vince un club diverso ogni anno. Sta giustamente sfruttando la congiuntura favorevole, qualche anno fa non avrebbe potuto.
Il problema è che poi la verità di come girano i soldi é un’altra, e in quel torneo (che comunque giustamente premia il merito sul campo) i ricavi li massimizzi solo se hai le tre top e già un Fiorentina - Napoli finisce per essere giocata davanti a spalti vuoti.
In questo contesto la Serie A prova a mettere sul tavolo qualche idea per crescere in maniera più spedita.
La prima è il passaggio a 18 squadre che pare aver fatto passi avanti in settimana. La seconda è firmata dal presidente della Lega Calcio, Lorenzo Casini, che parla in ordine sparso di Serie A autonoma dalla Federazione come la Premier League e format a 20 squadre ma con una formula diversa (giuro non so di cosa stia parlando ma preferisco non immaginare), finendo per scontrarsi con il presidente FIGC, Gabriele Gravina che parla di “distrazione di massa”.
Trovo come sempre stucchevole che in Italia le riforme le si vogliano fare chiacchierando coi giornalisti, confinate al chiacchiericcio mediatico, anziché lavorando per presentare scenari completi e inattaccabili sul piano legale.
Idee peraltro con nessun fondamento economico, come quella di cambiare il format della Coppa Italia perché “lo chiede la ggente”, quando invece la coppa domestica è l’unica competizione che di volta in volta aumenta i suoi valori di vendita in termini di diritti tv.
In tutto questo trovo invece buffo il trattamento riservato in tutti questi dialoghi alla Serie B, che al momento é una categoria strangolata tra la A e la C, una terra di nessuno che di volta in volta deve adattarsi alle esigenze di chi le sta sopra e sotto.
Mi pare che continui a mancare un necessario reality check.
Oggi i campionati nazionali se guardati all’esterno presentano fortissime diseguaglianze e le prospettive non portano ad un riequilibrio delle diseguaglianze ma in tutt’altra direzione.
Lo stesso vale per lo scenario esterno.
Il gap economico con la Premier League non è colmabile se non attraverso alcuni shock che portino il campionato inglese a sperperare il vantaggio accumulato.
Sul piano sportivo vi è un modello vincente, ed è quello spagnolo, i cui club hanno stravinto in Europa negli ultimi 15 anni senza per questo dover straspendere, anzi: risanandosi economicamente nel frattempo.
Il brand Serie A, insomma, oggi appare come un qualcosa di vuoto e di poco contestualizzato, con zero possibilità di cambiare la propria posizione nello scenario, disuguaglianze crescenti e una situazione
Outro
Il 4 febbraio scorso Facebook ha compiuto 20 anni.
Molto si è scritto, e pure l’Economist ha dedicato una copertina al tema, titolando: “La fine dei social media”.
Non ho trovato particolarmente illuminanti le analisi lette all’interno. Mi ha invece ispirato molto la puntata di Globo (che potete ascoltare qui), il podcast de Il Post che sta al numero uno dei miei podcast preferiti, che ha approfondito maggiormente il rapporto Social Media - Politica.
Ho la fortuna di aver vissuto direttamente tutta la fase di maturazione di Internet come l’abbiamo conosciuto. Dai modem 56k che facevano la comparsa nelle nostre case a metà anni 90 fino ai giorni nostri.
Per come la vedo io Facebook non ha inventato i social media (qualcuno ricorda MySpace?) ma ha influenzato due rivoluzioni clamorose nel nostro modo della gente di stare online:
ha sdoganato l’uso del nome e cognome sul web: prima di Facebook eravamo tutti nickname. E con il nome e cognome ha sdoganato una valanga di dati personali mai visti prima.
ha fatto sul web qualcosa che era anti-web: prima di Facebook Internet era uno sconfinato spazio in cui ci si perdeva (o non si sapeva dove andare), mentre dal 2006 in poi il fenomeno social media ha riprodotto nell’esperienza digitale le cerchie e le amicizie di ciascuno, aspetto che poi è andato via via scemando, portando online le questioni quotidiane, le chiacchiere, i gossip da sala d’attesa del parrucchiere.
Dopo 20 anni sento il peso di quello che ho visto accadere.
Non a caso recentemente ho cancellato tutte le principali piattaforme (Facebook, Instagram, Twitter, Youtube) dal mio smartphone, dopo essermi accorto di quanto tempo mi stessero rubando con contenuti di nessun valore pratico che valessero uno scambio alla pari col mio tempo. Mantengo i profili per questioni di praticità e necessità lavorativa, ma sto riflettendo anche su quello.
Come già mi è capitato di dire qui, il miglior social media per me al momento è l’email, sulla quale ricevo messaggi e newsletter che leggo con interesse e mi danno i contenuti da me richiesti, oltre a prestarsi ad un consumo più lento e ragionato.
A volte per fare passi avanti se ne devono fare alcuni indietro.
Ci sentiamo tra una settimana.
A presto!
Ciao Giovanni, riflessioni sempre interessanti! Sposo il pensiero sui social media della tua outro, recentemente ho fatto lo stesso cancellando le app dallo smartphone. Ho due domande, se posso.
La prima è, non pensi che i canali social media di lega possano contribuire al successo di un brand “lega sportiva”, oppure pensi che siano uno strumento completamente inutile? (Mi chiedo, nel caso del basket da te citato, hanno avuto in questo senso un ruolo di rilievo nel successo del brand NBA?).
La seconda domanda è sul modello spagnolo. Forse mi sono perso un numero della tua newsletter in cui lo approfondivi, ma a me sembra che di soldi le ispaniche ne abbiano messi, anche parecchi, per arrivare ai loro successi europei, mi sbaglio? Cosa ha fatto la lega spagnola per meritare una menzione di merito nella tua newsletter? 😄😄😄
Buona settimana, ciao Martino (BS Sole 24 ore sono stato tuo “alunno”) buona domenica, io vado a infangarmi nei campi dell’eccellenza lombarda in nome del calcio del popolo