Avversario e competitor sono due cose diverse
Un tifoso di calcio che legittimamente vuole essere quello e non altro fatica a capire i confini tra sport e business, ma chi è chiamato a organizzare e decidere deve aver ben presente i perimetri
Quando qualche anno fa scoppiò il caso Negreira, con le accuse di corruzione arbitrale che investirono il Barcellona, il presidente della Liga spagnola, Javier Tebas - che di Real Madrid e Barcellona è il peggior nemico, essendo il suo potere basato sul voto maggioritario dei club medi e piccoli - si affrettò a dire che nella peggiore delle ipotesi si trattava di reati prescritti che non avrebbero avuto alcun impatto sul massimo campionato iberico.
Era la versione un po’ più intelligente del “tutelare il brand” di graviniana memoria, una delle uscite più infelici del nostro calcio dal punto di vista dei tifosi, ma con una sua logica intrinseca, pur difficile da spiegare ad un tifoso che non ha l’obbligo di sentirsi null’altro che un tifoso, e che legittimamente ragiona da tifoso.
Nei giorni scorsi ho intervistato Enrico Polo e Maurizio Maschio, che sono due imprenditori, fondatori dell’Imoco, capaci di creare nella pallavolo femminile il club più vincente della pur gloriosa storia italiana di questo sport.
Hanno detto tante cose che vi invito ad andare a leggere (parlano di ricavi, diritti tv, ma anche di idea Superlega o Eurolega come la volete chiamare, nel volley) e che possono essere più o meno condivise.
Tra queste, ne dicono una su cui invece mi voglio soffermare.
Esisterà una Imoco sostenibile, che possa prescindere dall’azienda, dopo i suoi fondatori?
«Non lo sappiamo, c’è un nostro competitor che parla spesso della possibilità di chiudere in parità. Speriamo abbia ragione, noi ci crediamo poco».
So cosa state pensando, ma no voglio qui parlare di sostenibilità.
Ho riflettuto invece sul termine “competitor” utilizzato per identificare il presidente di una squadra avversaria sul campo.
E torno al titolo: c’è un errore storico nello sport europeo che è l’aver organizzato lo sport su base associativa (prima nascono i club poi le leghe) e non su base devolutiva (le leghe creano club, ovvero franchige) come in America.
L’idea è prima di tutto economica. Il paese che ha affermato più di tutti l’economia di mercato nel mondo organizza lo sport in maniera praticamente sovietica.
Il paese dove tutto avviene su base associativa (anche il diritto di voto, che è la base della democrazia, perché per esercitarlo dovete voi iscrivervi alle liste, mentre da noi l’inclusione è automatica) riconosce una diversità allo sport spostando il centro d’interesse nella collettività (la lega) e non nel singolo.
A tal proposito vi consiglio di leggere La Democrazia in America, di Alexis de Tocqueville, che personalmente mi ha cambiato la vita.
È quindi profondamente sbagliato non distinguere avversario da competitor. I club sportivi dovrebbero rendersene conto
Quando Luciano Moggi a fine anni ‘90 scelse il basso profilo su passaportopoli (salvo pentirsene dopo calciopoli) non lo faceva per magnanimità, ma perché sapeva bene che il business dipendeva dalla tenuta del sistema. Tenne, in altre parole, lo stesso atteggiamento di Tebas sul caso Negreira.
O ancora, quando dopo aver raso al suolo l’avversario, nessuno ebbe da eccepire sulla trasformazione (triplice) della pena alla Juventus da retrocessione in B con 30 punti di penalità a 17 e poi a 9, non lo fecero per magnanimità, ma perché la Juve in B danneggiava anche loro, e 30 punti significava con tutta probabilità condannare i bianconeri ad una possibile seconda stagione tra i cadetti o ad un mercato ancor più penalizzante.
Piaccia o meno ai tifosi: l’avversario non è un competitor.
Il competitor se fa meglio di te ti toglie quote di mercato, l’avversario invece porta con sé un concetto di antagonismo che finisce al fischio finale, ma che se sa lavorare bene sul piano commerciale e dello sviluppo può certamente essere un alleato col quale puoi ottenere molto di più della semplice somma delle parti.
Questa cosa come detto è molto chiara nel mondo dello sport statunitense che si organizza per tutelare la distinzione di questi due concetti in vari modi.
impone tetti salariali
sterilizza le voci (diritti tv, sponsor di maglia) che creano le maggiori divaricazioni in termini di ricavi tra i club
gestisce le franchigie partendo da una piattaforma comune
Lascia, in altre parole, minori spazi di manovra ai club stessi, affinché nessuno possa avere un brand più forte di quello della lega stessa.
Inoltre, e questo è fondamentale, non mischia mai il lato sportivo con quello economico, tenendo ben separate le conseguenze giuridiche civili e penali degli atti commessi dai proprietari delle franchigie da quelle sportive.
In America nessuno riscrive le classifiche. E non lo dico con il cuore rotto dall’emozione di quello che sta succedendo al mio Brescia in queste ore, ma con la consapevolezza che ogni volta che un club salta in aria è il sistema a subire una sconfitta pesante e gravissima.
Che si tratti di Brescia, di Sampdoria, di Reggina o di Juventus, Inter e Milan.
Perché potete festeggiare legittimamente il fallimento del vostro avversario come se fosse un competitor o peggio un nemico, ma da domani sarete un po’ più poveri anche voi, perché la vostra lega sarà meno attrattiva, i vostri derby non si giocheranno e l’interesse storico andrà via via scemando.
È un tema lungo su cui tornerò anche domani.
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Note a margine.
Nervi tesi. Il 21 maggio 2025, il Comitato Esecutivo UEFA si riunirà a Bilbao prima della finale di Europa League tra Tottenham e Manchester United. Durante l'incontro si discuterà anche della protesta avvenuta al Congresso FIFA in Paraguay, dove i delegati UEFA hanno abbandonato l'evento a causa del ritardo di tre ore dell'inizio, dovuto alla priorità data dal presidente FIFA Gianni Infantino a un viaggio in Medio Oriente con l'ex presidente USA Donald Trump. UEFA ha criticato la gestione dell'evento, sottolineando la mancanza di rispetto verso le federazioni presenti. I rapporti tra FIFA e UEFA non sono mai stati così tesi per non dire compromessi, ma alla base c’è la gestione affaristica di entrambi, che anziché fare da federatori dello sport (ovvero da enti regolatori) hanno deciso di entrare mani e piedi nella torta privilegiando il loro ruolo di organizzatori, ovviamente con tutto quello che questo significa in termini di potere.
Il ritorno. Sette anni dopo la retrocessione che spense il leggendario “orologio del Volksparkstadion”, l’Amburgo torna finalmente in Bundesliga. In un pezzo brillante firmato da Lewis Ambrose, collega con cui ho avuto il piacere di lavorare a OneFootball, viene raccontata con ironia e profondità la discesa tragicomica di un club simbolo del calcio tedesco. Merita la lettura ma anche una riflessione: sette anni di Serie B lottando sempre per risalire pur non riuscendoci sarebbero impossibili da noi, ma non in Germania dove i diritti tv vengono divisi con maggior bilanciamento tra Bundesliga e 2.Bundesliga. Chiedere alla Samp (che nel piano di risanamento aveva la risalita in A al primo anno come precondizione) per recensioni.
Intanto in Messico. C’è un caso interessante da monitorare che viene dal Centro America. Undici club della seconda divisione messicana (Liga Expansión MX) hanno presentato un ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport (CAS) di Losanna contro la Federazione Messicana di Calcio (FMF) e i 18 club di Liga MX, chiedendo il ripristino del sistema di promozione e retrocessione sospeso nel 2020 per sei stagioni a causa della pandemia. I club denunciano l'intenzione di rendere permanente il modello di lega chiusa, simile alla MLS, e criticano la mancanza di comunicazione da parte della FMF, che ostacola la pianificazione di investimenti e infrastrutture. Contestano inoltre la proprietà multipla di club, evidenziando il caso di Club León escluso dal Mondiale per club per conflitto di interessi. Una decisione del CAS è attesa entro fine 2025, ma sarà naturalmente molto interessante capirne i profili giuridici, perché potrebbe sancire una sorta di illegittimità delle leghe chiuse, davanti alla quale rimarrà da spiegare invece come questa cosa possa rimanere possibile nel lungo periodo negli USA, che da queste rivendicazioni sembrano immuni.
Outro.
Sport e Azienda
A margine dell’intervista di cui vi ho detto sopra ho avuto un cordiale scambio di opinioni con Maurizio Maschio che più volte durante i quasi 90 minuti di dialogo ha sostenuto (al pari del suo socio, Enrico Polo) che la sostenibilità nello sport è una chimera.
La loro è una analisi dell’esistente ineccepibile:
La realtà - spiegano - è che non c’è mai stato un anno in cui abbiamo potuto spendere meno. Negli ultimi 8 anni il prezzo di una giocatrice top è cresciuto di 6 volte.
Quel che io sottolineo, piuttosto, è la capacità di chi lo sport lo finanzia di andare oltre ed immaginare scenari diversi, per il bene dello sport stesso, o forse delle loro finanze in primis, ma di fatto uno scenario futuro che non è ineluttabile ma che al contrario dipende inscindibilmente dalle scelte di merito che loro, e i loro colleghi, faranno sull’organizzazione futura di questo sport.
A partire, evidentemente, dalla distinzione che è sostanza molto più che pura filosofia, tra competitor e
L’altra riflessione che vi lascio qui invece riguarda il parallelo tra gestire oggi un club di pallavolo e gestirne invece uno di calcio.
Nel primo l’impegno sta nei termini di una frazione del proprio fatturato aziendale. Detto così la sostenibilità sarebbe - a meno che non si seguano strade illogiche - intrinseca al metodo: non spendo più di quanto non sia legittimo spendere in base alla mia dimensione aziendale.
Nel secondo vediamo invece una finanziarizzazione crescente che spinge a operazioni kamikaze (la descrive bene Mario Gerevini, sul Corriere, lo stesso Gerevini che confutava le parole del mitico Manenti ai tempi del fallimento Parma… proprio lui) al punto da lasciare interdetti su come questo possa realmente accadere a imprenditori navigati che non hanno certo la fama degli sprovveduti.
La sostanza rimane questa: chi oggi ha un’impresa sana e solida con tutta probabilità sta molto attento ad entrare nel calcio mani e piedi e rimarrà un passo indietro rispetto ad un mondo in cui tutto appare sempre più opaco.
Anche per oggi è tutto. Domani torniamo sull’ennesimo caso di calcio caos a fine stagione. A presto!
Giovanni