[30] Benedetti sauditi!
Qual'è il vero obiettivo del fondo PIF nel calcio? E come si deve porre il calcio italiano davanti alla nuova realtà emersa dal calciomercato estivo 2023?
Buongiorno e ben ritrovati nella newsletter settimanale in cui vi racconto quello che accade nel calcio e nello sport business.
Quella di questa settimana è un’edizione speciale in cui vi voglio offrire i contenuti della lezione che ho fatto questa settimana al Master in Sport Management de Il Sole 24 Ore.
Abbiamo parlato di presente e futuro del calcio partendo da quanto accaduto quest’estate, con molta curiosità e tante domande da parte di una classe assai motivata e reattiva.
Potete anche voi dire la vostra o fare domande utilizzando i commenti qui sotto. Buona lettura.
Nell’estate 2023 il campionato saudita ha investito - dato Transfermarkt - 891 milioni di euro (ovvero il saldo tra acquisti e cessioni) per rinforzare le proprie squadre.
In particolare le 4 gestite dal fondo sovrano PIF sono risultate tra le prime 20 per spesa: l’Al Hilal secondo dietro al Chelsea, l’Al Ahli ottavo, l’Al Nassr decimo, l’Al Ittihad diciottesimo.
Il campionato che più spende rimane la Premier League inglese con un saldo acquisti - cessioni di 1,2 miliardi che si somma ai 4 miliardi di saldo negativo totale del triennio 20-23.
Ma il dato saudita si somma ad un altro dato storico: per la prima volta Serie A, Liga e Bundesliga hanno chiuso tutte e tre in attivo una sessione di mercato.
La Serie A italiana che nel triennio covid aveva chiuso a -270 milioni di euro (seconda per spesa dietro alla Premier League inglese) ha realizzato un saldo positivo di 170 milioni.
La Liga Spagnola ha chiuso a +150 milioni dopo un sostanziale pareggio nel triennio precedente (-7 milioni).
La Bundesliga, più virtuosa, ha chiuso a + 300 milioni dopo un triennio precedente già positivo (+44 milioni) con risultati annuali negativi influenzati soprattutto dalle spese del Bayern Monaco.
Ci sono quindi alcuni totem retorici da sfatare.
Il primo.
Da un punto di vista economico finanziario l’arrivo dei Sauditi è una benedizione per il calcio europeo d’elite. Lo è, in particolare, per l’Italia che - dati del report FIGC 2023 - ha perso 3,6 miliardi di euro nell’ultimo triennio (1,3 + 1,4 + 0,9) ed ha visto l’indebitamento complessivo salire a 5,6 miliardi di euro.
Il secondo.
Sul piano competitivo il fatto che questi campioni finiscano in un torneo esterno all’organizzazione Uefa rappresenta non un rischio ma una sorta di garanzia.
Il vero terremoto il calcio europeo lo ha vissuto con la sentenza Bosman del 1995 che nel medio lungo periodo è stata tra le principali cause che hanno permesso di concentrare un talento mai visto prima in pochi club che hanno poi dominato la scena nell’ultimo ventennio.
Quanto accaduto nell’estate 2023 non va ad intaccare la competizione interna semplicemente perché più che di concentrazione di talento possiamo parlare di dispersione di talento verso l’esterno del sistema calcio europeo sotto l’egida dell’Uefa.
E qui dobbiamo chiarire un altro aspetto.
Tutti abbiamo letto e sentito le condanne ai calciatori che vanno in Arabia Saudita tacciati di essere mercenari in un campionato tecnicamente inconsistente.
Ma questa è la storia del calcio mondiale da sempre.
Non è mai esistita una stratificazione di valore su base tecnica. Il calcio mondiale invece è sempre stato un calcio di blocchi la cui consistenza tecnica è stata determinata da quella economica.
In altre parole: il campionato italiano era il migliore del mondo quando aveva la maggiore disponibilità a perdere soldi (anni 80 e 90). I movimenti spagnoli, inglesi e tedesco depurati dagli investimenti economici (sul mercato, in strutture e formazione dei calciatori) non hanno nulla di superiore a tutti gli altri.
Non è un caso se tra gli effetti della globalizzazione del calcio c’è ad esempio una redistribuzione dei valori delle nazionali, ora che tutti possono sostanzialmente accedere anche in età adolescenziale alle migliori tecniche di allenamento e formazione calcistica.
In una prospettiva italiana rimangono quindi due scenari da capire.
Il primo riguarda i sauditi stessi. Cosa vogliono realmente dal calcio?
Permettetemi di citare Frank Underwood, protagonista interpretato da Kevin Spacey di House of Cards
“I soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni; il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli. Non riesco a rispettare chi non vede questa differenza.”
I sauditi nel calcio vogliono il potere. Vogliono il dominio, attraverso le disponibilità economiche, del sistema.
L’acquisto di campioni serve a dire all’Europa del calcio esistiamo. Serve a mettere l’Arabia Saudita, forse l’intero Golfo Persico, sulla cartina geografica dello sport più popolare del mondo.
Se siete interessati ad approfondire il termine geopolitica ed il suo significato vi lascio qui un podcast da ascoltare.
Stiamo parlando di un paese il cui fuso orario è GMT+3 mentre il nostro è GMT+2 e Londra sta a GMT+1. Non un dettaglio. Non stiamo parlando di Jakarta o Pechino, dove la Champions League la devono guardare alzandosi di notte.
Stiamo parlando di un paese politicamente fuori dall’Europa ma geograficamente più vicino a noi di quanto New York non lo sia da Los Angeles (1/2 fusi orari di differenza contro i 3 delle due metropoli americane).
Io non credo che i sauditi vogliano fare la SuperLega a casa loro come qualcuno scrive. Io credo che la vogliano fare a casa nostra.
Intanto è bene sapere (o informarsi su) cosa è successo nel golf, sport in cui recentemente il circuito saudita LIV si è fuso con quello americano, la PGA, proprio dopo un’operazione di mercato condotta da Liv che pare molto simile alle acquisizioni di calciatori in atto quest’estate.
E credo che quando chiedono gentilmente all’Uefa un posto in Champions League sappiano bene che non lo avranno, ma la loro non è una richiesta, è un avvertimento!
E qui dobbiamo far riferimento alla nostra di identità culturale: c’è una cosa che nessuno potrà mai rubare alla vecchia e scalcinata Europa: i suoi oltre 400 milioni di abitanti e la loro diffusa passione per le squadre delle loro piazze, che vanno da Lisbona a Berlino, da Parigi a Napoli, passando per Madrid, Milano, Monaco, Amsterdam, Roma.
Vi pare cosi impossibile un torneo da 10 miliardi di euro in cui alle migliori franchigie europee si possano aggiungere le grandi città del Golfo? Un torneo in stile NBA con Milano, Madrid, Lisbona, Amsterdam, Berlino più Doha, Ryiad, Dubai.
Fare una Superlega a casa loro per vedersela sul divano di uno stadio da 100 persone con quattro amici sceicchi facendo pagare 5 anziani del paese è qualcosa che somiglia più al calcio dei campanili italiano delle serie minori dove i paesini senza tifosi vogliono andare in Serie A grazie ai soldi delle tv e dell’impresario locale.
Io credo che gli sceicchi siano più lungimiranti ed abbiano ambizioni internazionali.
Vogliono governare i sistemi, non i club.
La posta in gioco siamo noi, le nostre piazze che sono gente, passione e in termini economicisti anche mercato. Un mercato che ancora influenza molto più di quanto si pensi le cose del mondo.
Perché lo fanno? Devono acquistare pezzi di cultura europea (lo sport in primis) per barattare cosi la sopravvivenza a casa loro delle loro economie imperniate sul privilegio di casta.
Non stupisce se da nove mesi l’Europa attende il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Superlega, sollevato da un tribunale spagnolo contro l’Uefa. Aprire il mercato sportivo oggi significa farsi trovare impreparati alle lusinghe di chi a quel punto potrebbe comprarsi il sistema calcio, non solo i singoli calciatori.
Il secondo riguarda il nostro calcio e la reazione a quanto accaduto.
Il problema purtroppo è nel DNA del nostro calcio, che si sviluppa e cresce intorno al calciomercato.
Dopo aver varato la prima regolamentazione sul professionismo nel 1929 (ed averla subito ampiamente disattesa) come reazione al crescente fenomeno del mercato calciatori, il nostro è diventato l’unico paese al mondo in cui il calciomercato è un luogo fisico (esiste qualcosa di simile solo in Messico, ma per imitazione), inventato nei primi anni cinquanta da Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo, che invitava i presidenti di Serie A nel suo hotel Gallia, a Milano.
I nostri stessi miti calcistici si fondano sul calciomercato: il Grande Torino fu un club leggendario creato non promuovendo i migliori giovani dal settore giovanile, ma facendo una cosa mai vista prima, acquistò i migliori giocatori in tutto il Nord Italia a prezzi record per quegli anni.
Mi piace sempre ricordare - per contestualizzare la dimensione geografica del calciomercato di quegli anni - che nel 1967 (20 anni dopo) il Celtic Glasgow fece il primo storico triplete della storia con una squadra di gente tutta nata a Glasgow.
Inutile, quindi, continuare a evocare lo strapotere economico della Premier League come alibi per la nostra competitività internazionale persa.
Quello che dobbiamo chiederci è piuttosto perché negli ultimi dieci anni ovvero dal 2014 ad oggi (ultime dieci edizioni di Champions ed Europa League) 7 club spagnoli hanno ottenuto 21 piazzamenti nelle prime 4 e 13 coppe in totale, contro 6 club inglesi arrivati 18 volte in semifinale per 5 coppe vinte in totale.
È la Spagna a dire che il nostro calcio è inefficiente e deficitario. Perché la Spagna ha risorse simili alle nostre.
Due dati dicono la differenza tra Spagna e Italia.
Negli ultimi 5 anni i club spagnoli - dati Transfermarkt - hanno investito in giocatori provenienti dall’estero 1/3 degli italiani.
Nello stesso lasso di tempo il minutaggio dei giocatori cresciuti nel vivaio in prima squadra è stato 4-5 volte (in base agli anni) superiore nella Liga rispetto alla Serie A.
Sono le differenze di un calcio basato sulla creazione del talento (quello spagnolo) rispetto ad un calcio basato sull’acquisizione del talento sul calciomercato (quello italiano).
L’errore peggiore sarebbe quello tutto italiano di pensare di imporre un modello per via legislativa. Purtroppo, volenti o nolenti, o i nostri club cambiano la loro vocazione sportiva spontaneamente, con convinzione, sposando per scelta un modello diverso, o il calcio italiano - incapace di competere economicamente con le superpotenze mondiali - sarà condannato ad un declino ancor più marcato.
Ciao Giovanni, finalmente sei tornato!
Ottima analisi! Manca un'analisi sullo sportwashing, ma capisco la scelta di affrontare l'argomento da un solo lato, troppe sfaccettature rischiano di far andare fuori tema. Complimenti!