Gli eSports sono nel caos, quindi la situazione è eccellente
La realtà dopo i fasti della pandemia, Beckham cede al ribasso, dopo i layoff l'industria prova a ripartire, l'Italia in un vicolo cieco normativo. Ma i calciatori investono sempre di più nel settore.
Berlino, 18 ottobre 2024
Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente
(Mao Zedong)
Durante la pandemia, ricorderete, tutti erano diventati esperti di eSports e ci raccontavano il futuro roseo di un settore che - come sempre accade nelle narrazioni sommarie di questi casi - poteva solo crescere e generare opportunità senza rischi.
A quasi quattro anni di distanza il settore dei videogiochi è entrato in una crisi profonda e c’è una difficoltà oggettiva nel capire da dove ripartire.
Nonostante questo i calciatori stanno spendendo tempo e investendo come non mai, come fatto notare in settimana da un articolo di The Athletic.
L’elenco degli sforzi - in particolare da parte di stelle della Premier League - è davvero copioso e interessante.
Diogo Jota: Fondatore del team Luna Galaxy, con più di 90.000 follower sui social media e oltre $450.000 in guadagni da tornei. È anche un giocatore competitivo di FIFA ed è stato il numero 1 al mondo in FIFA 21 Ultimate Team.
Sergio Aguero: Ha fondato KRU Esports e ne è CEO. Il suo team ha guadagnato oltre $692.000 in tornei. Aguero è anche una star di Twitch, con 4.8 milioni di follower.
Lionel Messi: Partner di KRU Esports, ha collaborato con Aguero per espandere la visibilità del team a livello globale.
Casemiro: Ha fondato Case Esports nel 2020, che si concentra su Counter-Strike. Il suo team ha guadagnato oltre $111.000 in 39 tornei.
David de Gea: Ha fondato Rebels Gaming (tra gli investitori anche Bruno Fernandes e Juan Mata) che compete principalmente in League of Legends. Il suo team ha guadagnato $77.000 da 27 tornei.
David Beckham: Co-proprietario e volto di Guild Esports, ha firmato un contratto di 5 anni da £15 milioni. La sua immagine contribuisce a rafforzare la notorietà del team.
Virgil van Dijk: Brand ambassador e azionista di Tundra Esports, che ha squadre di successo in giochi come Dota 2 e Fortnite.
Gabriel Jesus: Appassionato di Counter-Strike, coinvolto attivamente nel mondo degli esports, nonostante un temporaneo ban nel 2024 per accuse di uso di cheat software.
Neymar: Grande appassionato di Counter-Strike e supporter del team brasiliano FURIA. Ha anche partecipato a partite esibizione all’Esports World Cup in Arabia Saudita nel 2023.
I calciatori continuano a investire negli esports per diverse ragioni.
Nel settore degli esports si sentono a loro agio, e loro stessi vedono opportunità lucrative, sia in termini di investimenti che di sponsorizzazioni.
C’era un bel pezzo di Finimize settimane fa a proposito degli investimenti nello sport e nei settori “che si conoscono”. Non sono al 100% d’accordo (sottovalutare i rischi è ancor più facile proprio per questa presunta competenza) ma merita comunque di essere letto.
Molti calciatori vedono negli esports un modo per connettersi con un pubblico più giovane, appassionato di giochi.
La sinergia tra sport tradizionali e esports consente di
espandere i propri brand
diversificare le entrate
Il coinvolgimento negli esports può contribuire a migliorare la loro immagine e reputazione nel mondo digitale.
Ed è soprattutto a quest’ultimo punto che guarderei con attenzione.
La loro presenza non va confusa. Si tratta soprattutto di marketing, della costruzione di una propria audience, della fidelizzazione della fanbase.
Il tema è parallelo rispetto alla crisi dentro la quale l’intero settore è piombato dopo le grandi aspettative del periodo pandemico e post-pandemico.
Il settore dei videogiochi affronta una grave crisi, con un aumento dei licenziamenti e una cultura di lavoro tossica. La priorità è passata dalla creazione di giochi coinvolgenti al profitto a breve termine.
Questa settimana (per la precisione mercoledì 16 ottobre 2024), ad esempio, Guild Esports, co-fondata da David Beckham, è stata acquisita da DCB Sports LLC per soli $130.000.
L'accordo include tutti i beni e le passività di Guild, che sarà ribattezzata "Guild Esports and Gaming Ltd." Mentre la società originale cambierà nome in "Cassel Capital PLC" e Jasmine Skee, CEO di Guild, si è dimessa dopo quasi due anni.
La società ha affrontato gravi difficoltà finanziarie, con una perdita significativa di valore dalla sua fondazione, e questa acquisizione rappresenta un ultimo tentativo di salvataggio.
Quello che è accaduto va analizzato con attenzione.
Il settore è stato attraversato da due fenomeni: prima una crescita che ha portato ad alto turn over di personale (frequenti cambi di azienda) e poi un momento di difficoltà che ha portato a licenziamenti.
Ne avevo scritto, peraltro, in Percorsi, il terzo numero del Commentario di Officina Strategia in un articolo che parlava di aziende in senso più ampio titolato: “Dalla big resignation al mass layoff” in cui evidenziavo come il periodo pandemico e post sia stato attraversato da fenomeni tanto impattanti quanto controversi e di segno decisamente opposto.
Riflesso: la perdita di talenti e team coesi ha portato a una diminuzione della qualità dei giochi.
E questa più in generale è una riflessione che di questi tempi tutte le aziende dovrebbero fare.
La velocità non ha aiutato. Per avere successo è fondamentale creare esperienze di gioco divertenti e coinvolgenti, coinvolgere la comunità nel processo di sviluppo attraverso feedback e accesso anticipato, implementare modelli di monetizzazione che rispettino i giocatori.
E per fare questo serve solo una cosa: il tempo. Una logica ipercapitalistica orientata ai risultati nel breve è la peggiore risposta a questa esigenza inevitabile.
Offrire retribuzioni giuste e opportunità di crescita professionale, favorire un ambiente di lavoro collaborativo, comunicare onestamente con i giocatori riguardo ai processi e alle sfide dello sviluppo e mettere i giocatori al primo posto, ascoltando il loro feedback e adottando pratiche di marketing etiche.
Non sono solo parole che suonano bene, ammantate di retorica, ma strategie ineludibili di cui peraltro parla con competena di campo anche chi ha avuto un’esperienza diretta nel settore.
Poco male per noi italiani.
Quel che abbiamo descritto è uno scenario internazionale all’interno del quale l’Italia (magra consolazione) rimane ai margini.
Del resto non è bellissimo poter dire “non ho avuto un mass layoff” se non hai mai avuto alcuna ondata di assunzioni. Ma tant’è.
E qui si inserisce invece un tema che potrebbe essere un buon punto di partenza per provare a ribaltare lo scenario. Ne parlava il presidente dell’Osservatorio italiano eSports Luigi Caputo in una intervista a Wired nel maggio scorso.
Perché come abbiamo visto il settore sopra è fatto da una parte software (i giocatori ed i suoi testimonial) e da una parte hardware (l’industria che produca i videogiochi), ed entrambe hanno bisogno tra le altre cose di un ambiente sportivo regolamentato che faccia parlare di sé e attiri investimenti e capitali, non solo appassionati.
L’Italia oggi ha un vasto pubblico interessato agli esports (6 milioni di persone), ma le istituzioni sono lente a riconoscere e regolamentare il settore. Questo crea ostacoli per gli investimenti e lo sviluppo di tornei strutturati.
Come lamenta Caputo: non esiste una definizione giuridica chiara per le competizioni esports, i pro player o i contratti correlati.
Le normative esistenti equiparano eventi esports al gioco d'azzardo quando ci sono premi in denaro, il che scoraggia sponsor e organizzatori.
L'assenza di regolamentazione porta problemi pratici per le sale LAN e le competizioni, rendendo complicato per gli operatori mantenere attività sostenibili. Eventi come la chiusura delle sale LAN nel 2022 hanno dimostrato come il sistema normativo sia obsoleto rispetto all'innovazione del settore.
Gli esports non sono solo intrattenimento, ma possono creare posti di lavoro significativi, come pro player, allenatori, streamer e content creator. Tuttavia, la mancanza di un sistema normativo solido frena queste opportunità.
Altri paesi europei come Francia, Germania, Spagna e Regno Unito hanno normative specifiche che facilitano lo sviluppo del settore esports, rendendolo un mercato fiorente. San Marino è un esempio di avanguardia, avendo adottato il primo codice europeo dedicato agli esports.
E qui arriviamo al link tra software e hardware: il successo di una lega o di una competizione dipende molto dalle case produttrici di videogiochi. La mancanza di uno standard per l'accesso alle licenze limita la pluralità e la crescita delle competizioni.
Un sistema unificato di licenze aiuterebbe a rendere più sostenibile il settore.
In Italia, il modello degli eventi esports non ha ancora raggiunto il livello di spettacolarità di paesi come Francia o Corea del Sud, dove i tornei esports sono eventi culturali e sociali oltre che competitivi. Da noi gli eventi più seguiti, come i tornei di EA Sports FC, attirano un pubblico limitato.
Nonostante il boom durante il lockdown, il settore ha subito una "selezione naturale", con molti operatori che hanno cessato l’attività. Gli investimenti delle aziende sono in crescita, ma non abbastanza da sostenere un panorama competitivo.
In conclusione la priorità per il futuro degli esports in Italia è creare una normativa chiara e moderna che dia al settore una base solida su cui crescere e prosperare. Ma al momento non si vedono politici illuminati all’orizzonte.
Note a margine.
Piracy Fail. La piattaforma nazionale contro la pirateria, è intervenuta sabato 19 ottobre per bloccare diversi accessi a domini che trasmettevano contenuti illegali.
Tuttavia, tra i diversi domini bloccati, stavolta c’è stato anche quello di un colosso come Google, in particolare di Google Drive che in Italia ha avuto dei problemi a partire dalla serata di sabato e che sono proseguiti anche nella mattinata di domenica 20 ottobre. Massimiliano Capitanio, commissario dell'AgCom, ha commentato l'errore del blocco di Google Drive, avvenuto durante l'operazione Piracy Shield contro la pirateria online. Capitanio ha definito l'errore grave ma ha sottolineato la mancanza di collaborazione da parte di Google e Cloudflare, criticando la presenza di app illegali sui loro servizi.
Brand sostenibili. [questa nota non è sponsorizzata, la metto perché credo fortemente in questo tema essendo io stesso un runner vegano] Hylo Athletics, un marchio di scarpe da corsa sostenibili, ha recentemente lanciato il "Local Champions Fund", un fondo che sostiene iniziative locali che promuovono l'accesso al movimento fisico, creano connessioni sociali e proteggono l'ambiente. L'azienda si impegna a devolvere l'1% dei suoi ricavi annui per finanziare progetti che incentivano la corsa e il movimento nelle comunità, con un forte focus sull'impatto sociale e ambientale. I progetti possono ricevere fino a £1000 o $1000 ciascuno, e il processo di valutazione dura circa 30 giorni. Le scarpe Hylo Impact sono realizzate con materiali sostenibili, come nylon bio-based e schiume eco-compatibili, con l'obiettivo di ridurre al minimo l'impatto ambientale senza sacrificare la performance.
Pure la MLS. Oltre a Beppe Marotta, nelle ultime ore pure il commissioner della MLS, Don Garber, si è unito al coro di chi vuole una revisione del calendario calcistico, esprimendo preoccupazione soprattutto per l'impatto sulle squadre e i giocatori. Ha criticato l'introduzione del nuovo formato del Mondiale per Club FIFA, che prevede 32 squadre e dura quasi un mese, sostenendo che il sovraccarico di partite può danneggiare i giocatori. La cosa è piuttosto curiosa perché viene da un torneo, la MLS, che fin qui è sempre sorprendentemente riuscita a slegarsi da alcune logiche: due esempi, mentre in Europa le mancate retrocessioni sono considerate lesa maestà calcistica, la FIFA non ha nulla da eccepire sugli USA, inoltre (questa si, davvero clamorosa), nononstante la Copa America disputatasi negli States tra giugno e luglio la MLS non ha dovuto fermarsi. Un po’ come se da noi si fosse continuato a giocare durante Qatar 22. Nonostante questo il calendario non va bene neppure a loro… è proprio il caso di dire “Houston abbiamo un problema”.
Outro.
Intanto i Sauditi…
Si torna a parlare di club Sauditi in Champions League.
“Non ho idea di quanto sia possibile, ma sarei sciocco a dire che non mi piacerebbe”, ha ammesso l’amministratore delegato dell’Al Hilal Esteve Calzada al The Summit, evento che si è svolto nell’ambito del Leaders Week London.
La nostra aspirazione è quella di portare il nostro prodotto di fronte a quante più persone possibile, e la Champions League è probabilmente la competizione per club più importante al mondo.
Chi segue questa newsletter da tempo sa che avevo ampiamente pronosticato questa evoluzione.
In “E allora i Sauditi”, newsletter del 15 luglio 2023, scrissi:
Vi pare cosi impossibile un torneo da 10 miliardi di euro in cui alle migliori franchigie europee si possano aggiungere le grandi città del Golfo? Un torneo in stile NBA con Milano, Madrid, Lisbona, Amsterdam, Berlino più Doha, Ryiad, Dubai.
Fare una Superlega a casa loro per vedersela sul divano di uno stadio da 100 persone con quattro amici sceicchi facendo pagare prezzi fuori mercato a 5 anziani del paese è qualcosa che somiglia più al calcio dei campanili italiano delle serie minori dove i paesini senza tifosi vogliono andare in Serie A grazie ai soldi del feudatario locale. Gli sceicchi, fidatevi, sono più lungimiranti ed hanno ambizioni internazionali. Vogliono governare i sistemi, non i club.
Oggi che la Superlega è morta (ma le cui idee sono più vive che mai), l’attenzione si sposta sulla Champions League, ma la sostanza non cambia: i Sauditi non stanno acquistando fior di giocatori per farli correre nel deserto.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni