Ground zero (a zero). C'era una volta a Manchester [IVC #31]
A Old Trafford si è giocato un derby in tono minore, con il City in grande difficoltà tecnico tattica e lo United in piena crisi di identità calcistica (e aziendale). Riflessioni sulla Premier League.
«Non credo che così a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n'ebbe tema.»(Dante Alighieri, Purgatorio, XXIII, vv. 25-27)
Turno interlocutorio in Serie A, con un nulla di fatto che tipicamente a questo punto va a vantaggio di chi sta davanti. Ma è ancora lunga. Mi dà l’occasione, tuttavia, di parlare d’altro.
Non ricordo a memoria mia un derby Manchester in tono minore come quello andato in scena questa domenica.
Da una parte un Manchester City apparentemente a fine ciclo e mai così in difficoltà tecnico tattica dal secondo anno dell’era Guardiola in poi. Nemmeno nel 2019-20 quando arrivò lontano dal Liverpool e dai suoi standard: quella squadra era in flessione, questa pare in disarmo.
Il primo anno di Pep, va ricordato, non fu facile. Io li ricordo i colleghi inglesi che gli chiedevano a tutte le conferenze stampa quando avrebbe cambiato il suo modo di giocare perchè “in Inghilterra non si gioca così”, con quel tono saccente tipico di chi il gioco del calcio lo ha inventato. Lui l’anno dopo rispose facendo 100 punti.
Il Manchester United dal canto suo è dentro uno psicodramma che va ben oltre il campo. Due licenziamenti di massa per oltre 400 persone lasciate a casa. Un faraonico progetto stadio da miliardi che nel breve non farà che indebitarlo senza apprezzabili effetti di bilancio, in una fase peraltro di incertezza dei costi e delle prospettive.
C’è molto di più della mancata svolta di Ruben Amorim in questa squadra che faticherà ad arrivare a 50 punti in questa stagione.
Lo 0-0 finale è evocativo di due condizioni reali da ground zero. Ground zero - zero.
Ma è anche un campanello d’allarme per la Premier League. Non sempre il reddito (che nella lega calcistica si traduce principalmente in incassi annuali) esprime la ricchezza o la solidità economica.
Dopo 30 anni la Premier League presto potrebbe sentenziare contro il ManCity e sostanzialmente dirci che gli ultimi 10 anni sono stati fasulli, dominati da un club che ha vinto barando e che la lega non è riuscito a fermare prima. Sapete cosa ne penso (ne ho scritto spesso, ma in particolare qui, qui e qui).
Sia chiaro, giustizia va fatta sempre. Ma non sempre le conseguenze si limitano a quello che accade al reo. A volte la famiglia intera ci va di mezzo.
Al contempo, la squadra che ha dominato i primi due decenni (mai sotto il terzo posto in epoca Ferguson) sta peggiorando da tutti i punti di vista.
Ho sempre visto con un occhio critico il fatto che il Manchester United vedesse crescere i propri incassi (sponsor in particolare) oltre i propri meriti di campo, nell’ultimo decennio.
Ma d’altro canto c’è una cosa che va detta: anche se dalle parti di Salfort, Trafford e Stretford vi racconteranno che insomma, il City ha barato, la realtà è che gli investimenti in questi anni allo United non sono mai mancati e quindi se non ha vinto quel che ha vinto prima è per due ragioni:
per la prima volta ha avuto un competitor che investiva quanto e più di lui in città (che è diverso da avere lo stesso competitor basato a Londra come in precedenza);
non ha saputo spendere le centinaia di milioni a disposizione opportunamente, e non ha saputo pianificare. E quindi pianga se stesso.
Gli anni 10 dopo l’addio di Sir Alex sono stati quelli dei “New York Knicks del calcio”: big spender big losers, come li chiamava un amico mancuniano di fede opposta.
La seconda metà degli anni 20 può essere qualcosa di ancora peggiore perché oggi il club è lontanissimo dal benché minimo standard minimo accettabile, ed aggiunge alla crisi tecnica l’evidenza di come un fondo di private equity che opera secondo le sue logiche (licenziamenti, immobiliarismo finanziario spinto, scarsa attenzione al prodotto in sè) nel calcio può diventare addirittura deleterio.
Sia chiaro, non è la prima volta che il City e lo United sono lontane dal titolo. C’è stato un triennio, dal 2015 al 2017 in cui il titolo finì lontano dal Nord, ed un pub di Tibs Street appese un poster alle finestre: quando rivedremo la corona tornare a Nord? Includendo anche il Liverpool nel trittico delle future vincitrici attese.
Ma quelle società presentavano una progettualità diversa, meno stanchezza, uno stress da risultato certamente inferiore. La risposta infatti fu quella dell’ingaggio dei Duellanti, come li chiamò Paolo Condò in un suo fortunato libro.
La Premier League si apprestava ad entrare in un’era d’oro (nel 2016-17 iniziò il famoso ciclo d’oro dei diritti tv che vide crescere del 70% gli incassi generali rispetto al triennio precedente). Ed è passato quasi un decennio e quella spinta è finita ma i club non sono più solidi.
Oggi Manchester sembra lo specchio di una Premier League che somiglia alla nostra Serie A a fine anni ‘90, un pachiderma con tanti problemi economici, una rissosità interna molto alta e tanti club sul piede di guerra nei confronti di una Lega che come il mitico Erisittone per placare la propria fame rischia di finire per mangiare se stessa.
Una Premier League attaccata dall’interno, dai suoi stessi club, come dall’esterno, ovvero dalle altre leghe inglesi, che in guai economico finanziari ci sono per davvero, che vorrebbero tornare alla piramide sotto l’egida della Football Association, e anche da quel governo che sventola continuamente lo spauracchio dell’authority ma che poi (anche per contraddizioni ideologiche interne) non ha coraggio di varare il cosiddetto regolatore indipendente.
L’avreste mai detto? Anche i ricchi piangono. A partire dai più ricchi.
Note a margine
Statistiche Opta prese da SportMediaset.
Male nella ripresa. L'Inter ha mostrato una tendenza preoccupante nelle trasferte recenti, con una sola vittoria nelle ultime sei partite fuori casa in Serie A. Questo suggerisce una difficoltà nel mantenere la concentrazione e la solidità difensiva nei secondi tempi, specialmente in contesti lontani da San Siro, ma anche un problema legato alla gestione delle energie e alla tenuta mentale nelle fasi finali delle partite. Massimiliano Farris, sostituendo lo squalificato Simone Inzaghi, ha sottolineato l'impatto della congestione del calendario e della stanchezza accumulata dalla squadra a causa di una serie di partite impegnative, inclusa la semifinale di Coppa Italia contro il Milan. Io trovo incredibile che il tema atletico sia preponderante su quello tecnico, ma questo è il calcio che ci offrono e ce lo teniamo.
Il famigerato approccio. Il Milan ha recentemente evidenziato una preoccupante tendenza a subire gol nei primi minuti delle partite, trovandosi costretto a inseguire il risultato. Ma a voler ben vedere il problema non sembra essere nuovo: secondo dati raccolti fino a novembre 2024, il Milan è la squadra che ha subito più gol nei primi 5 minuti di gioco nelle ultime tre stagioni di Serie A (dal 2022/23), con un totale di 10 reti incassate in questo intervallo temporale. Questa tendenza a iniziare le partite in svantaggio rappresenta un campanello d'allarme, sebbene la capacità di rimontare dimostri carattere e resilienza, affrontare sistematicamente situazioni di svantaggio può compromettere le ambizioni della squadra e aumentare la pressione sui giocatori.
Aux Champs Elysee. Si ripete la solita storia, finisce marzo, il PSG vince il campionato francese e qualcuno comincia a dire che adesso si può concentrare sulla Champions league e forse è l’anno buono. Salvo poi accorgersi che il risultato migliore l’ha ottenuto nel 2020 quando oltre al vantaggio di un non campionato hanno anche sfiancato gli altri che nel frattempo giocavano. E comunque è sempre bello poter constatare che a questo punto della stagione i parigini sembrano i favoriti a diventare Campioni d’Europa. Succedesse quest’anno a vincere sarebbe, credo, il peggio PSG dell’ultimo decennio. Ecco, forse per questo si può credere che possa accadere.
Outro.
Maledetti rigori
Detto e ribadito che io i rigori li abolirei, o quantomeno li farei tirare dal limite dell’area, perché spostano troppo (0.79 xg) rispetto all’occasione che in genere si crea per ottenerne uno, c’è un interessante dibattito inglese in corso sul valore dei penalties nella corsa al titolo.
L’analisi scientifica di Taimoor Chatoor va letta attentamente (in inglese) ma ci conferma sostanzialmente quel che i tifosi non vogliono sapere ma i numeri ci dicono sul peso dei rigori.
Due cose in particolare:
la mera presenza in area non è un fattore decisivo per prendere i rigori, conta piuttosto il come si entra in area. I contropiedisti hanno chances in più perché è nell’attacco in velocità che si genera l’occasione di un penalty;
l’indice di correlazione tra presenza in area e rigori ottenuti durante una stagione è positivo ma debole (0.29) ovvero, appunto: stare in area è fondamentale (del resto non si prendono i rigori da fuori area, semplice no) ma non basta,
tra avere tanti rigori e vincere il titolo non c’è correlazione (non in Inghilterra, e nemmeno in Italia).
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni