Il gioco d'azzardo è ovunque, conoscerlo è importante
Il mondo del calcio è intrecciato con l’industria delle scommesse: due terzi delle squadre di 31 massimi campionati europei hanno almeno un accordo di sponsorizzazione con società di betting.
Questa newsletter è da tempo attenta all’evoluzione della disciplina sul gioco d’azzardo, un mercato che può avere effetti ed influenze diretti ed indiretti sul mondo dello sport.
Recentemente in particolare ho espresso la mia opionine a proposito del dibattito parlamentare sul ritorno delle pubblicità al gioco d’azzardo in Italia, a proposito della quale ho detto in questo numero di Fubolitix:
Non ho mai pensato che questo provvedimento spostasse di una virgola l’enorme problema sulla ludopatia, per la quale, piuttosto, mi concentrerei preventivamente sul debellare la presenza capillare di macchinette slot su tutto il territorio italiano pressoché in qualsiasi bar di paese. Mi pare una cosa molto più grave, se si vuole seriamente porre un freno.
Rimango convinto della mia opinione, ma il mio non vuol essere benaltrismo. L’individuare una priorità a mio modo di vedere non significa negare che ci sia anche un problema secondario assai grave.
Ed a tal proposito Charles Livingstone, membro del gruppo di esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul gioco patologico, ha dichiarato che maggiore è l’esposizione alla pubblicità sul betting, maggiore è la probabilità di iniziare a giocare.
L’industria investe milioni nella pubblicità perché serve a reclutare nuovi giocatori. Il motivo? I clienti migliori sono quelli che finiscono al verde. Le aziende devono costantemente trovare nuovi scommettitori per sostituire quelli che hanno perso tutto.
Partiamo da un dato: due terzi dei club hanno sponsor legati al gioco d’azzardo.
Vietare le scommesse è la soluzione? Io credo di no.
Penso piuttosto che ci siano problemi sociali che nascano da vizi o atteggiamenti o abitudini talmente radicate da essere inestirpabili nella natura umana. Per lo meno nel breve termine. A tal proposito metto sullo stesso piano tre fenomeni diversi ma egualmente dibattuti per la loro natura controversa: scommesse, prostituzione, droga.
Sono tre mondi diversi, tutti similarmente legati al malaffare, molto diversificati per approcci ed effetti sulle persone attive o passive che siano.
Cos’hanno in comune secondo me? Che provare a normarli attraverso il proibizionismo in generale non risolve il problema ma aumenta solo il perimetro di gioco per mafie e illegalità.
Torniamo alle scommesse.
Una nuova inchiesta ha rivelato quanto il mondo del calcio europeo sia profondamente intrecciato con l’industria delle scommesse. Secondo i dati raccolti da Investigate Europe e condivisi con il Guardian, due terzi delle squadre di 31 massimi campionati europei hanno almeno un accordo di sponsorizzazione con società di gioco d’azzardo.
Nel momento in cui la Premier League si prepara a vietare le sponsorizzazioni da parte di aziende di scommesse sulle maglie da gioco (divieto che entrerà in vigore nella stagione 2026-27), emerge come molti club del continente abbiano trovato escamotage per aggirare regolamentazioni simili già attive.
I numeri della ricerca:
296 su 442 squadre analizzate hanno almeno un partner legato al gioco d’azzardo nella stagione in corso;
145 club espongono un marchio di scommesse direttamente sul fronte della maglia;
In Italia e Belgio, dove tali sponsorizzazioni frontali sono vietate, si utilizzano loghi di fondazioni caritatevoli o siti di notizie/intrattenimento collegati alle aziende di scommesse. Ne avevo parlato in questo post.
14 delle 31 leghe analizzate hanno come sponsor principale una società di scommesse;
27 club dei cinque principali campionati europei sono legati a operatori di scommesse rivolti al mercato asiatico.
La Premier League resta l’epicentro della pubblicità legata al betting: 11 squadre su 20 portano un logo di scommesse sul petto nella stagione 2024-25 e tutte hanno almeno un partner commerciale del settore. Secondo i dati di Global Data, riportati da Investigate Europe, le aziende di scommesse hanno speso circa 135 milioni di dollari (circa 104 milioni di sterline) solo per sponsorizzazioni sulle maglie.
Anche altri campionati stanno colmando il divario. In Eredivisie (Paesi Bassi), ogni squadra ha un partner legato al gioco d’azzardo. Situazioni simili sono emerse anche in Portogallo, Grecia e Germania. Persino nei mercati più piccoli come Ungheria, Romania e Bulgaria, la presenza di loghi legati alle scommesse è ampia e ben visibile.
Elusione dei divieti e zone grigie
Nonostante i divieti, molti club sembrano sfruttare scappatoie legali. In Belgio, per esempio, la legge in vigore da gennaio consente le sponsorizzazioni solo sulle maniche o sul retro della maglia. Tuttavia, vari club mostrano marchi legati al betting sul davanti usando sotto-brand che riportano solo parte del nome della casa madre. È il caso del Club Brugge, che ha sostituito Unibet con U-Experts, una app di notizie creata da Unibet, ma che rimanda anche al suo casinò online.
Situazioni simili si registrano in Italia, dove dal 2018 è vietata ogni forma di pubblicità legata al gioco d’azzardo nello sport. Eppure, per la stagione 2024-25, tre club di Serie A (Inter, Parma e Lecce) hanno sponsorizzazioni "adiacenti" al betting: Inter con Betsson.sport, Parma con AdmiralBet.news e Lecce con BetItalyPay.
Il caso Milan e i marchi “fuorilegge”
Ancora più controverso è il caso del Milan, che nel luglio 2024 ha siglato una partnership europea con Boomerang Bet, marchio privo di licenza per operare in Italia e inserito nella blacklist delle autorità locali.
Né il club né l’azienda hanno risposto alle richieste di commento da parte degli investigatori.
Altri club, in tutta Europa, sono coinvolti con operatori privi delle necessarie autorizzazioni locali, spesso rivolti a mercati asiatici. In Italia, otto squadre hanno accordi con marchi visibili solo accedendo ai siti ufficiali tramite VPN asiatici o connessioni estere.
Le sponsorizzazioni sulle maglie contano davvero?
Secondo uno studio dell’Università di Bristol, durante il primo weekend della Premier League sono stati trasmessi quasi 30.000 annunci pubblicitari legati al gioco d’azzardo su TV, radio, social e dentro gli stadi — il 165% in più rispetto all’anno precedente.
Le sponsorizzazioni sulle maglie rappresentano meno del 10% di questo totale.
Non entro qui nel tema del match fixing, ovvero nel rischio che questi ricchi sponsor possano in qualche modo influenzare e direzionare i risultati. Sarebbe fuori luogo e fuorviante. Ma a latere di tutti questi numeri non si può tacere di questo, che è un rischio e come tale va raccontato, non un automatismo.
Quel che rimane, in definitiva, è quanto detto inizialmente:
I clienti migliori sono quelli che finiscono al verde. Le aziende devono costantemente trovare nuovi scommettitori per sostituire quelli che hanno perso tutto.
Ed è su questo che dobbiamo fare informazione, insieme ad una corretta formazione finanziaria delle persone.
Note a margine.
Premier in crisi? Ieri ho parlato delle magagne inglesi e puntuale nella giornata è uscita una notiziola che merita di essere ripresa. Il Manchester City, che ha ottenuto un primo verdetto favorevole nella disputa con la Premier League sulle sponsorizzazioni da parti correlate, ora chiede che la Premier copra le proprie spese legali, stimate in oltre 10 milioni di sterline (circa 11,7 milioni di euro). La Premier League, che già affronta costi legali per circa 20 milioni di sterline, si oppone, sostenendo che il procedimento è ancora in corso. Una nuova udienza determinerà chi dovrà sostenere queste spese.
Ascolti tv. Secondo la lettura dei dati fornita da Paolo Ziliani sulla sua newsletter, in questa stagione gli ascolti della Serie A su DAZN sono scesi di 20 milioni di unità.
Manchester. Ieri parlavo delle incertezze del momento storico che viviamo come di un deterrente che mette ad ulteriore rischio i piani strutturali del Manchester United. Non sapevo che, nei giorni scorsi, Lynn Calder, CEO di Ineos Automotive, ha avvertito che i dazi del 25% mettono a rischio l’intero business, incluso il legame con il Manchester United (di cui Ineos possiede una quota di minoranza, ma il cui controllo è nelle mani del boss dell’azienda, Jim Ratcliffe). Ne ha parlato la BBC spiegando come le tariffe influenzano anche sponsorizzazioni, eventi globali e forniture sportive. Marchi come Nike e Adidas temono rincari e cali di vendite. Inoltre, la tensione geopolitica potrebbe compromettere la collaborazione tra USA, Canada e Messico per il Mondiale 2026. Anche le Olimpiadi di Los Angeles 2028 rischiano impatti politici, pur restando prioritarie per Trump.
Outro.
Fine di un’era.
Il 1992 è stato un anno cruciale nella storia globale, segnando una svolta per la globalizzazione e per lo sport, in particolare per l’Olympique de Marseille che vinse la Champions League.
In quell’anno:
L’Unione Sovietica fu formalmente dissolta e la Guerra Fredda terminò ufficialmente.
La Cina avviò riforme economiche e sociali che portarono alla sua rapida crescita.
Il Trattato di Maastricht introdusse la libera circolazione nell’Unione Europea.
Francis Fukuyama pubblicò The End of History and the Last Man, sostenendo che la democrazia liberale occidentale rappresentava la forma definitiva di governo umano.
Tim Berners-Lee lanciò il primo motore di ricerca pubblico su internet, aprendo l’era digitale.
Nacquero la Premier League inglese e la nuova Champions League, esempi di capitalismo liberale applicato allo sport, basati su diritti TV, sponsor, merchandising, e biglietti.
La globalizzazione venne vista come un’integrazione crescente di beni, servizi, capitali e persone a livello internazionale.
Tuttavia, con il ritorno di Donald Trump e l’introduzione di dazi, si ipotizza una fine del modello di globalizzazione tradizionale.
Stiamo entrando in un mondo multipolare, dove gli interessi nazionali prevalgono sul bene collettivo. Lo sport ne risente:
La NBA è stata bannata dalla TV cinese per un tweet controverso.
Aziende e sponsor affrontano rischi crescenti.
I club calcistici spesso sfidano le regole finanziarie, preferendo accordi individuali.
Tutto ciò riflette un passaggio da un sistema di regole condivise a uno basato su accordi individuali, segnale di una globalizzazione in crisi. Si profila così un panorama sportivo più frammentato, regionale e diffidente, con consumatori meno disposti a spendere in tempi di incertezza economica.
Se le tensioni politiche e i dazi continueranno, lo sport nei prossimi dieci anni potrebbe cambiare radicalmente rispetto a come lo conosciamo oggi.
Anche per oggi è tutto. Ma non per sempre. A presto!
Giovanni