Il piacere della contemporaneità [IVC #37]
Dopo anni di spezzatino questa stagione ci ha regalato, sia in Champions League che in Serie A, due eventi emozionanti in direzione opposta: è tempo di rivalutare l'idea di giocare tutti insieme?
Mi autodenuncio subito.
Pensare che si possa passare dallo spezzatino al ritorno alle domeniche alla radiolina di Tutto il Calcio minuto per minuto é pari al pensare di rimettere un uovo nel guscio dopo averlo fatto al tegamino.
Tuttavia la penultima giornata di campionato, con le sue emozioni, al pari dell’ultima giornata del girone Champions, che ha rappresentato certamente l’esperimento più riuscito della nuova formula, si prestano a diverse valutazioni. Perché le emozioni create sono destinate a rimanere:
non esiste una formula buona per tutti.
la lezione dovrebbe essere considerata soprattutto dalle leghe minori che in questi anni hanno scimmiottato i grandi inseguendo un modello televisivo poco redditizio (in C il club medio incassa solo 50 mila euro dai diritti tv) ed allontanandosi quindi dal calcio appuntamento fisso che avrebbe potuto invece saldare un legame con le piazze.
i dati tv sono, naturalmente, nettamente in calo, scrive CF che “la contemporaneità fa perdere il 40-50% di pubblico”. Gli ascolti sono stati di 2,4 milioni contro i 5,2 della settimana prima. E ci permette quindi di dire che grosso modo in Italia oggi ci sono 2,5 milioni di persone interessate al prodotto calcio in tv. Quella é la platea e su quello va calibrato ogni modello di business televisivo. Inseguire altri numeri o imporre altre scelte sarebbe miope e autolesionista.
Veniamo - come dicevo in “Miracolo in Serie A, stadi pieni ma brutti” - da una stagione in cui i dati degli ascolti (generali, non per la contemporaneità) sono crollati a fronte di stadi che invece hanno quasi raddoppiato il loro indice di riempimento.
Chi si è accorto di questa cosa per tempo (Sky ad esempio, qui parlai delle loro scelte sulla base di una intervista a Federico Ferri) ha risanato i conti e trovato formule assai apprezzate dagli sportivi.
Complessivamente infine mi sento di suggerire due cose:
la contemporaneità non può essere regola, ma eccezione si. In Inghilterra anni fa accadeva per il boxing Day (e Amazon ci ha investito su ritagliandosi spazio in due giornate a ridosso del mercato natalizio, che poi é quello che interessa ad Amazon). La formula si presta, in qualche modo, ad essere pacchettizzata anche per qualche scelta televisiva;
questi numeri ci dicono complessivamente che un campionato a 16 non sarebbe un’eresia se questo permettesse di ricavare migliori tempi e spazi: le tv da sempre pagano gli eventi e oggi come si vede dai numeri il problema non è tanto quello di produrre 10 partite a settimana (i palinsesti sono comunque pieni) ma di distribuire bene quello che si fa anche nella logica: di meno ma meglio.
Del resto in questa stagione i dati sono chiari. Come scrive da tempo Paolo Ziliani sul suo Substack si va verso una perdita già accertata di 20 milioni di spettatori nonostante in questa stagione sia stato giocato solo un turno infrasettimanale e nonostante 5 big match siano stati trasmessi in chiaro e considerati ascolti di soli abbonati.
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Ultima valutazione, invece, su quanto poi accaduto in campo.
Comunque vada quest’anno il campionato verrà vinto - come da me pronosticato all’inizio della stagione - con la quota scudetto più bassa della storia del campionato di Serie A: 81 punti se a vincere sarà l’Inter, 82 se a vincere sarà il Napoli, come nel 2010 e 2011, mai scudetto è stato assegnato con punteggio più basso.
Ora, posto che questo nella gioia del tifoso vincente cambia zero, anzi, aumenta il pathos e semmai fa aumentare il piacere, ci sono secondo me alcune valutazione che può fare chi vuole fare una analisi più ampia.
A partire naturalmente dal fatto che quando vinci il campionato in queste condizioni due sono i prerequisiti che ti portano al dunque:
una competizione interna più alta;
un livello delle squadre leader più basso.
Ognuno dica cosa vede in più o in meno. Io non lo faccio perché farlo senza numeri per me non ha senso (e quindi magari a fine stagione scriverò qualcosa di più compiuto).
Per il resto, a volte basta unire i puntini.
Non tutto quel che vediamo ha una lettura univoca.
la quota scudetto si é abbassata, ma la competizione si é alzata ed ha molto fascino rispetto a quando si vince oltre i 90 e a 10 dal termine tutto é deciso. Questo è un bene per il campionato;
curioso che quest’anno, come nel 2010 (quota 82) corrisponda all’anno in cui una italiana ha più possibilità di vincere la Champions League. Buon per l’Inter, perché sono sempre i nerazzurri protagonisti;
le letture assolute (la Serie A fa schifo… da noi si gioca male…) senza ulteriori perché, non mi appartengono. Se uniamo i puntini qui sopra deduciamo che da noi il livello assoluto si può anche essere abbassato, ma evidentemente qualcosa di ciclico sta succedendo in tutta Europa dove Inter e PSG si giocheranno la finale.
Ed alla fine nello sport non conta più di tanto vincere essendo la squadra più forte di tutti i tempi. Nello sport conta esserci con le proprie forze quando il momento è propizio. Questa è la differenza, sola, tra chi alla fine qualche trofeo lo alza e quelli che gufano dal divano perché non hanno nient’altro da fare.
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Note a margine.
Statistiche Opta prese da SportMediaset.
FA Cup. Il modo di analizzare il calcio è molto legato al background culturale da cui si viene. E quindi The Athletic, inevitabilmente anglosassone di matrice inglese, racconta così la vittoria del Crystal Palace sul Manchester City. Voi immaginatevela raccontata da belgiochisti o risultatisti italiani…
Il gol di apertura del Palace, una superba azione verticale conclusa da Eze, ha messo in mostra tutti gli elementi che rendono la squadra così potente nel contropiede sotto la guida di Oliver Glasner.
Il City li aveva soffocati nei primi 15 minuti, monopolizzando l'88% del possesso palla e tenendo sotto controllo il Palace. Ma la squadra di Glasner è a suo agio nell'assorbire la pressione e nell'aspettare il momento giusto per colpire, vincendo sia i quarti che la semifinale per 3-0 con solo il 30 percento di possesso palla.
Farioli. Quel che è successo a Francesco Farioli ad Amsterdam ha dell’incredibile e forse già lo sapete. Francesco Farioli lascia l'Ajax dopo una sola stagione alla guida del club dopo che l'Ajax ha perso il titolo dell’Eredivisie a favore del PSV, nonostante avesse avuto un vantaggio di 9 punti. Il direttore tecnico dell’Ajax, Alex Kroes, si è detto “molto deluso”, elogiando Farioli per il lavoro svolto. Due considerazioni:
Farioli è ancora allievo di De Zerbi o no? A prescindere dalla risposta che date se la vostra analisi dopo un cataclisma del genere si ferma a “perché l’Ajax gioca così” temo siate totalmente fuoristrada.
Un mio amico dice sempre: “nello sport si è molto più modello quando si perde che quando si vince”. E quel mio amico - parlando dell’Atalanta, ad esempio - ha ragione da vendere, perché se anche l’Ajax sintetizza tutto quel che è accaduto con un esonero mi chiedo: cosa rimane della mentalità di scuola di formazione dei lancieri?
Doccia scozzese. Se siete annoiati dal calcio di Serie A pensate a come devono sentirsi gli scozzesi dove, con quest’anno, da 40 anni di fila vince sempre una delle due squadre di Glasgow. Boring eh?
Outro.
Busy
In questi giorni sono stato molto impegnato e quindi questa newsletter esce con un giorno di ritardo rispetto al solito.
Cosa ho fatto?
Ho avuto il piacere di intervistare Bob Hanning, CT della nazionale di pallamano (oltre che Ceo della squadra di Berlino, le Füchse, per la quale non posso nascondere una simpatia nata nei miei anni in Germania), che tra le altre cose ne dice una molto simile a quello che diceva Julio Velasco sulla sua prima Italia (la cultura dell’alibi):
Dobbiamo lavorare facendo capire fin da subito che non siamo piccoli. Chi ha visto la partita con la Spagna ha certamente notato che abbiamo fatto troppi errori e io credo che questi fossero dovuti alla paura.
Lunedì invece era il compleanno della mia giocatrice di pallavolo preferita, Gabriela Guimaraes (a me piacciono le giocatrici complete, estrose e tecniche, che sanno anche difendere, non a caso il mio pallavolista preferito di sempre é Karch Kiraly, uno ha vinto tutto quel che si poteva sia indoor che sulla sabbia), con cui ho parlato non di sport giocato ma dell’iniziativa Let’s Keep The Ball Flying, simile a Common Goal nel calcio, attraverso la quale gli atleti donano l’1% dei loro incassi a progetti di inclusione sociale in giro per il mondo.
Ieri infine sono stato ospite a San Vendemiano dei proprietari dell’Imoco Volley, e quanto prima vi racconterò anche di quello. Perchè le due ore di chiacchierata con loro si prestano a valutazioni interessanti, sul volley ma anche sul calcio.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni