La Champions League ha mangiato il calcio
Il 72% del montepremi delle Coppe europee nelle tasche dei club maggiori. Agli altri le briciole, ma la retorica del calcio del popolo è sovrana retta da Salary Cap fasulli che alimentano le disparità
Berlino, 19 settembre 2024
Se aspiri a un buon pasto, siediti al tavolo di un burocrate (proverbio cinese)
Il titolo di oggi non è mio ma di Philip Buckingham, da The Athletic:
Come la Champions League ha mangiato il calcio:
"Era nel nostro DNA, il marchio era sacro"
Chi mi segue sa come la penso. L’ho detto nel video che metto qui sotto, ancora pinnato sulla mia pagina Youtube.
Tuttavia, con l’inizio della Champions League 2024/25 l’Uefa ha pubblicato i numeri economici dell’edizione che va ad iniziare (Calcio e Finanza), ed allora è bene riflettere su tutta questa ricchezza, su cosa ha creato in questi ultimi 25-30 anni, prima dal 1992 e poi da quando nel 2000 per sventare possibilii golpe dei club la Federazione europea ha mandato definitivamente in pensione la vecchia Coppa dei Campioni.
Riflettiamo su alcuni punti chiave oggettivi di quello che è successo da quando la UEFA nel 1992 - in risposta alle prime idee di Superlega, come questa di Berlusconi che risale a una intervista del 1988 - ha immaginato il futuro del calcio con la creazione della Champions League.
Oggi la competizione ha un fatturato di 4,4 miliardi di euro. Come descrive la grafica qui sotto.
Di questi 4,4 miliardi i club ne ricevono 3,3. Di questi 2,4 (il 72%) vanno a chi gioca in Champions League. La disparità è enorme e nel lungo periodo non può generare nulla di buono.
Dal punto televisivo globale la nuova formula è un successo: gli accordi televisivi e i ricavi commerciali sono cresciuti enormemente, con un montepremi di 2,08 miliardi di sterline condiviso tra i club partecipanti, un aumento del 22% rispetto alla scorsa stagione.
Ma ora i club e le leghe stanno esprimendo le loro preoccupazioni: il torneo che si è preso 4 giornate in più rispetto all’anno scorso diventa sempre più concorrenziale per i campionati.
«La nuova Champions toglie valore alla Serie A» ha detto l’ad della Serie A, Luigi De Siervo, qualche giorno fa. È un dato di fatto.
E ieri il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis ha rincarato:
i nostri contratti televisivi scadranno nel 2029, ma intanto la UEFA sta per varare dei bandi relativi ai diritti dal 2027 al 2030 e dal 2030 al 2033. Ciò significa che a quel punto le sei-sette squadre che parteciperanno alle competizioni europee potrebbero salvarsi, le altre morirebbero in un colpo solo.
De Laurentiis chiaramente pensa al suo club prima che al sistema, ma quel che dice è vero, ed il fatto che la concorrenza Uefa toglie soldi ai mercati nazionali è ormai sotto gli occhi di tutti.
Dalla creazione nel 1992 i premi in denaro sono aumentati notevolmente, con i vincitori del 2022-23 che hanno guadagnato 160 milioni di euro rispetto agli 8 del Milan nel 1992-93.
E qui sta il macro problema di cui non parla nessuno: l’Uefa é una Federazione di Federazioni e dovrebbe redistribuire i suoi soldi alle Federazioni (o in subordine alle Leghe nazionali), invece da oltre 30 anni per mantenere il potere scavalca le sue associate e distribuisce direttamente ai club.
Questa cosa ha negato la mutualità e creato disparità ormai incolmabili se non con una ridefinizione del sistema da zero.
Lo stesso The Athletic, nell’articolo che cito sopra, lamenta questa preponderanza rispetto alla Premier League stessa.
La polemica non è nuova in Inghilterra, dove nella seconda metà degli anni 2000 l’Uefa era vista il grande nemico perché aveva arricchito quattro club sempre presenti in Champions (ManUnited, Arsenal, Liverpool e Chelsea) e la Premier League finiva sempre con queste squadre al vertice.
E recentemente sembra essere finita anche la storia d’amore tra gli inglesi e l’Uefa (ne ho parlato nelle Note di mercoledì in “Uefa vs Inghilterra”) visto che loro percepiscono il mondo solo nell’orizzonte degli interessi della loro isola, quindi ad esempio giustificano il regolatore indipendente sul calcio che la federazione europea contesta in nome dell’autonomia dello sport.
Breve parentesi. Ovviamente il premier Keir Starmer ha detto che il regolatore è del tutto indipendente e quindi non violerà le regole Uefa. Ma del resto lo ha detto anche il ministro dello Sport, Andrea Abodi, a proposito delle manovre italiane. Entrambi preferiscono ignorare che il problema dell’Uefa é l’esistenza stessa di tali organismi, non le norme specifiche.
Il Fair play finanziario, in particolare l’assurda regola - chiamata salary cap ma che del salary cap non ha nulla (puoi spendere fino al 70% del fatturato per gli ingaggi dei giocatori) - in aggiunta a mai precisati “valori di mercato” per le sponsorizzazioni, ha ulteriormente cristallizzato le posizioni ed inquisito i club come il Manchester City che hanno provato a spendere le cifre che servivano per rimontare.
Ma questa situazione se da un lato indigna i tifosi dall’altra è la dimostrazione che per scalfire il potere tutelato dall’Uefa dei grandi club servono investimenti totalmente fuori logiche di mercato. Non vi è altra alternativa.
Nel frattempo sono spariti dalla cartina i paesi dell’Est e le grandi capitali che non hanno una Lega nazionale forte sul piano dei diritti tv a sostenerle. Il popolo…
Il calcio di oggi (e gli insaziabili appetiti dei top club) è prima di tutto una creatura dell’Uefa, della sua politica e del suo sistema di potere.
La Superlega non è mai esistita: tutto quello che abbiamo - comprese le idee secessioniste dell’aprile 2021 - lo ha generato l’Uefa, che del resto nel 2019 presentò il piano Agnelli-Ceferin (bocciato delle Federazioni) che operava un passaggio ancor più netto verso una piramide del calcio europeo.
Dopo di che gli interessi dei due si divisero ed il resto è storia.
La sfida della Superlega europea ha rivelato la vulnerabilità della UEFA, ed è stata legittimamente riconosciuta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ma ad oggi ha solo rafforzato il dominio della Champions League.
Forse la scadenza 2027 del triennio di diritti tv della SuperChampions League iniziata in questi giorni potrebbe essere un momento in grado di risvegliare gli appetiti, se non proprio la voglia di un sistema diverso.
Ma al momento all’orizzonte non si vede un consesso di presidenti e dirigenti illuminati in grado di cambiare il corso della storia. E questo purtroppo vale per lo sport e per settori della vita pubblica che dovrebbero preoccuparci anche di più.
Note a margine.
Snai Fanduel. Flutter, leader mondiale nel settore delle scommesse sportive online e iGaming, ha raggiunto un accordo per l'acquisizione di Snaitech (La Stampa), uno dei principali operatori omnichanel in Italia, da una società sussidiaria di Playtech Plc, per un corrispettivo in denaro sulla base di un enterprise value di 2,3 miliardi di euro. Di Flutter fa parte tra le altre Fanduel, piattaforma di fantasy sports di cui vi avevo parlato nei giorni scorsi a proposito di fanta in Italia e USA.
Strategia Juve. Interessante intervento di Cristiano Giuntoli ai microfoni di Sky (ripreso da Calcio e Finanza) prima dell’esordio stagionale in Champions league della Juventus contro il PSV Eindhoven. Il direttore bianconero conferma a grandi linee quel che ho scritto qui nei giorni scorsi.
Gli acquisti sono stati fatti e sono stati investiti soldi sui cartellini, ma quelli che sono arrivati sono ragazzi molto giovani e con salari molto bassi. Abbiamo cercato fin da subito un equilibrio economico-finanziario.
RIP Totò. È morto Salvatore Schillaci. Qui il mio ricordo in un tweet.
Outro.
Salary crap.
Nei giorni scorsi IWF ha pubblicato i dati sul Salary Cap spagnolo.
Da qualche tempo sto cercando di capire bene come funziona il meccanismo applicato da La Liga, di cui mi ha colpito soprattutto un fatto: la capacità di bloccare gli acquisti a mercato in corso.
Se volete approfondire a grandi linee i tecnicismi c’è questo articolo di Calcio e finanza.
Negli ultimi due anni avrete certamente sentito i casi del Barcellona, incapace di chiudere trattative a causa di questi vincoli.
C’è una buona notizia in questo: adottare un meccanismo preventivo, che anziché fare le opportune verifiche a fine stagione, quando i verdetti sportivi potrebbero essere considerati irregolari per violazioni finanziarie, è possibile.
Ma c’é anche una pessima notizia. Ed è già nel titolo: La Liga fissa un salary cap per il Real Madrid di 329 milioni più alto rispetto al Barcellona.
Già sapevamo che dire (come fa l’Uefa) “puoi spendere al massimo il 70% del fatturato” è assurdamente discriminatorio per i club minori, e non risponde ai veri obiettivi di un tetto salariale. Messo così, con i numeri nero su bianco, l’incredibile discriminazione emerge in tutta la sua plasticità.
Che senso ha? Semplice: nessuno. È uno specchietto per le allodole che difende lo status dei grandi club e nel lungo periodo svilisce la competizione e la competitività dei minori.
Il salary cap non è e non può essere un mero strumento di controllo finanziario.
Il salary cap per come è nato negli USA è la più importante leva atta a garantire competizione all’interno di un sistema. Fuori da quel perimetro, semplicemente, si svuota di ogni significato diventando addirittura deleterio.
Chiamare salary cap questa schifezza onestamente è inaccettabile. Come dire che un tavolo è una sedia perché in fondo ci si può anche sedere sopra.
In questo modo, col Real che (banalizzando, ma poi è così) può spendere 700, il Barcellona 400 e tutte le altre con cifre che valgono meno della metà delle merengues si finisce solo per alimentare una disparità insostenibile e nel lungo periodo anche sportivamente, se non addirittura moralmente, insopportabile.
Fino a che non si comincerà a ragionare in termini di sistema, mettendo le leghe al centro di tutto saremo sempre più di fronte ad un calcio retorico e prevaricatore.
E per farlo bisognerà ad un certo punto riscrivere i perimetri delle competizioni e le regole interne anche - probabilmente - redistribuendo risorse tra i club.
Anche per oggi è tutto. E mi pare pure troppo :) A presto!
Giovanni