La Serie A ai tempi di Aurelio De Laurentiis [IVC #38]
Sotto la presidenza dell'imprenditore cinematografico il Napoli è diventato la prima squadra fuori dall'asse Milano - Torino a vincere due campionati in 3 anni, migliorando l'exploit maradoniano.
Oggi un Io li ho visti così speciale, di analisi finale del campionato, per provare a dare il mio punto di vista su quello che è accaduto quest’anno in Serie A dal punto di vista dei risultati in virtù delle strategie economiche seguite dai club protagonisti.
Ho sempre fatto fatica, per distanza sia geografica che culturale, a leggere anzitempo le manovre del Napoli di Aurelio De Laurentiis. Ho sempre riconosciuto, tuttavia, all’imprenditore cinematografico una grande capacità: quella di scegliersi gli uomini giusti nel 99% dei casi noti da quando è presidente del club partenopeo.
Consideravo già straordinaria, dal mio punto di vista, la capacità del Napoli di autofinanziarsi di anno in anno centrando poi sempre piazzamenti europei prestigiosi. Potete quindi immaginare quanto mi intrighi ragionare su quanto fatto nelle ultime tre stagioni che hanno fruttato ben due scudetti.
Quest’anno non mi aspettavo un Napoli capace di fare al contempo 29 punti in più dell’anno scorso e un punto in più della seconda.
Ed invece è diventato il primo club fuori dall’asse Milano - Torino a vincere lo scudetto per 2 anni su 3 dal girone unico in poi. E sapete bene che devo citare Torino genericamente perché l’altra eccezione non relativa a Juve, Milan e Inter fu il Grande Torino. Cosa che in qualche modo impreziosce ancor di più l’impresa.
A inizio stagione le mie perplessità erano legate alla scelta di fare un instant team per darsi la possibilità di vincere subito. Una scelta in controtendenza con la strategia di mercato che potremmo definire storica, del Napoli delaurentiano.
De Laurentiis ci è riuscito con due mosse: portare Giovanni Manna come diesse e Antonio Conte come allenatore.
Sono questi i tre nomi dello scudetto numero 4 del Napoli e per me quello del presidente viene prima di tutti perché a lui attribuisco la visione strategica che gli altri due hanno realizzato.
A De Laurentiis riconosco soprattutto un merito, quello di dare grande autonomia di scelta agli uomini che mette nei ruoli manageriali, vale per Manna come per Giuntoli prima. Non è cosa da poco. Dal primo al secondo scudetto della sua era passano solo due anni ma strategicamente ci sono ere geologiche intere.
il Napoli spallettiano vinse il campionato a mani basse - e fu una sorpresa anche per se stesso - ma anche per mancanza di avversari: seconda arrivò la Lazio a 74. Per trovare una quota più bassa di una seconda bisogna andare al 2015 quando la Juve vinse con la Roma a 70.
il Napoli contiano era costruito per tornare in zona 80 punti, ha vinto con la quota più bassa del campionato a 20 squadre (come Inter 2010 e Milan 2011).
L’anomalia del Napoli 2023 rispetto al sistema fu quella di vincere con una rosa mediamente molto giovane (26,2 anni medi rilevati da Transfermarkt, 13esima in Serie A).
Quest’anno le scelte di mercato fatte hanno portato in direzione opposta: a innalzare la media da 26,7 a 28,2 anni (secondo undici medio schierato in campo più vecchio dopo l’Inter a 29,1).
Negli ultimi 10 anni, 6 volte su 10 hanno vinto squadre con più di 28 anni di media e solo 2 volte (Napoli e Milan) con meno di 27.
Sempre negli ultimi 10 anni, solo 3 volte la squadra campione d’Italia non era tra le 3 più vecchie: Napoli 2023, Milan 2022 (la squadra campione d’Italia più giovane dell’ultimo decennio, sedicesima con 25,8 anni di media) e Juventus 2019 (che era comunque quarta assoluta con 27,6 anni di media). Nei restanti 7 anni su 10 era 1 volta la più vecchia, 3 volte seconda e 3 volte terza.
Media 4,9. Vuol dire che con tutta probabilità l’anno prossimo troverete la squadra campione d’Italia tra le 5 più vecchie della Serie A.
E con questo mandate a dormire quelli del progiuetto basato sui giuovani e sul belgiuoco. In Italia chi ce la fa è un’eccezione. Vincono gli instant team.
Complimenti ai Gasperini, of course, ma titoli nazionali ai Conte e agli Allegri, non a caso indicato come prima alternativa in caso di addio al primo tecnico capace di vincere lo scudetto in 3 città diverse.
Ma anche ai Sarri che vince a Torino con la Juve e poi a fine campionato raccontano a Pedullà: “A Natale ho chiesto ai miei collaboratori se dovevo essere me stesso e farmi cacciare di lì a poco o adattarmi e vincere”. Fino a quest’anno la sua era la quota scudetto (83) più bassa del decennio.
Ultima nota di merito: De Laurentiis ha rischiato due volte quest’anno. Quando non ha venduto Osimehn dovendolo poi prestare e quando ha venduto Kvaratskheila. Ma sono due mosse che ci dicono che, nonostante l’instant team fatto, il presidente del Napoli non ha dimenticato la stella polare del bilancio. Perché alla fine tutti parlano di sostenibilità, ma poi in Serie A la praticano in due: lui e Lotito. E lui vince pure.
Qui torna buona secondo me la cosa che scrissi qualche giorno fa sulla Teoria del punto debole.
Applicata all'economia e al lavoro di squadra, la teoria suggerisce che in processi produttivi complessi, la qualità complessiva è determinata molto più dall'elemento più debole che da quello più forte.
In altre parole, l'efficienza di un team dipende dal suo membro meno competente, poiché un errore può compromettere l'intero risultato.
Nel contesto sportivo, come ad esempio nel calcio, questa teoria implica che il rendimento di una squadra è limitato dalle prestazioni del giocatore più debole. Anche con stelle di alto livello, una squadra può fallire se alcuni membri non sono all'altezza.
Pertanto, è più efficace concentrarsi nel migliorare i punti deboli piuttosto che concentrarsi esclusivamente sui talenti eccezionali.
In altre parole Il Napoli ha vinto lo scudetto pur rinunciando alle stelle perché non aveva punti deboli dietro (un dietro inteso come: nei giocatori di minore qualità e utilizzo).
Ma questo è stato possibile principalmente perché ha potuto di fatto giocare molte meno partite della sua principale antagonista, l’Inter.
Infatti:
L’Inter solamente 2 (Sommer e Bastoni). Il Napoli ha ben 8 giocatori che hanno collezionato almeno 30 presenze dal 1’ (Rrahmani, Di Lorenzo, Meret, McTominay, Lukaku, Anguissa, Politano e Lobotka). Inoltre il minutaggio totale dell’ottavo del Napoli, Lobotka (2.620’), è superiore sia a quello del secondo dell’Inter, ovvero Lautaro (2.579’) che al secondo per presenze dal 1’, Bastoni (2.422’).
Così si spiega anche come sia possibile che a vincere sia stata una squadra che ha fatto 20 gol (59-79) meno della seconda piazzata, con soli 6 gol subiti in meno (27-33). Nel calcio di oggi non è tanto la condizione atletica a fare la differenza, ma un suo derivato leggermente diverso: la capacità di tenere un alto livello prestativo psicofisico. E la differenza qui sta nella ampiezza della rosa, ma anche nella possibilità di non doverne sempre usufruire.
Il fatto che il Napoli vinca con soli 82 punti e con 1 punto solo in più dell’Inter che nel frattempo porta a termine 2 competizioni e mezza (la Coppa Italia) da protagonista, ci dice che il valore assoluto della squadra non è eccelso, ma che il valore relativo è quello che è bastato a vincere di corto muso.
E quando questo accade, diamo merito a tutti che hanno lavorato bene nei loro ruoli, ma soprattutto a De Laurentiis, che la strategia l’ha pensata. E che quando a gennaio ha fatto determinate scelte atte a privilegiare il bilancio, ci ha detto che in fondo il De Laurentiis storico non è cambiato (come si poteva pensare, io in primis, critico in estate, come critico lo ero nel 2022/23) e ragiona per macro obiettivi (la zona 80 punti) più che per micro target (i titoli).
Ma come ho detto, ripeto, sul Napoli sono lento per distanza geografica e culturale.
Chiudo con una valutazione su Antonio Conte, che non voglio certo sminuire. Conte a Napoli porta la squadra dai 53 punti dello scorso anno (nona) agli 82 attuali (+29). A Torino nel 2012 il salto fu simile: da 58 punti a 84 (+26).
Lo ha fatto senza stravolgere l’esistente ma puntellando con innesti di valore e personalità, ma soprattutto pronti all’uso, una rosa che veniva considerata sbandata (a Torino 2011 come Napoli 2024) nella migliore delle ipotesi.
Conte è un normalizzatore e un semplificatore, che a Torino non voleva Pirlo, per dire, e che poi fece prendere Peluso e Padoin, ed a cui insomma, io darei poca autonomia di mercato (bravo Manna, piuttosto), ma è terribilmente bravo a fare con quel che poi gli viene messo a disposizione, a patto che quello che ha aggiunga qualità ed esperienza dentro al campo al suo carisma fuori.
E non trascuro nemmeno il paragone con il Conte dello scudetto nerazzurro, che in comune con questo ha il malumore della seconda parte di campionato. Allora disse: il progetto è finito in agosto riferendosi alla volontà d’investire dei cinesi, si era agli albori del declino Suning, dettato più dalle situazioni finanziarie in patria e dalla amministrazione controllata in cui era progressivamente finito il gruppo. Adesso come allora arriva alla meta esausto, praticamente da separato in casa.
Il campionato vinto dal Napoli lo ha perso l’Inter?
Ni.
Nel senso che è certamente vero che la coppia Beppe Marotta - Simone Inzaghi chiude quest’anno un quadriennio con un solo titolo, in attesa della Champions League in cui parte da favorita (il grande merito dell’Inter, ne parlo tangenzialmente nell’Outro, è quello di trovarsi al top quando in Europa c’è una fase di gerarchia vacante, non fu così per la Juve 2015 e 2017) di cui il 27 agosto scorso in Questa Inter può vincere la Champions ebbi a dire:
A mio giudizio ci sono i margini per dire che l’Inter, che in campionato sta arretrando nella media punti rispetto ad un anno fa, a fronte di una situazione favorevole in Champions potrebbe essere paradossalmente più portata a vincere in Europa che in Italia.
mentre prima della semifinale con il Milan ribadii:
Secondo me in ordine di probabilità l’Inter oggi ne ha più di vincere la Champions (per i motivi che vediamo dopo), che non lo Scudetto (calendario affollato e più difficile di quello del Napoli) o la Coppa Italia (tutto legato ad un derby in 90’, anche se per la legge dei grandi numeri non credo perderà un altro derby quest’anno).
E lascio anche quest’ultimo passaggio, proprio perché come dico spesso la mia non è una rivendicazione di competenza, ma di metodo, ed è un metodo che dà garanzie nella maggior parte delle cose ma non in tutte.
Ed infatti - giusto per accennare alle previsioni sbagliate, perché ci sono e ci stanno anche quelle - l’Atalanta non ha vinto il campionato e la Juventus ha fatto una stagione mediocre. Due squadre da cui mi aspettavo di più. I bergamaschi hanno confermato di non essere pronti per il titolo (manca proprio quell’impostazione filosofica orientata alla vittoria che ho riconosciuto al Napoli, questione di priorità), mentre i bianconeri fino a che si crogiuoleranno nella retorica belgiochista tardi mottiana e giovanilista vetero giuntolese resteranno questa bolsa versione di se stessi, felici di fare aumenti di capitale a ogni colpo di vento con gli Elkann nei panni di un Moratti qualsiasi, a calpestare la parsimoniosa eredità del proprio nonno.
Torno un passo indietro. E se mi conoscete leggendomi su questa colonna sapete dove voglio andare a parare.
Il rimpianto che deve rimanere agli interisti è questo: cosa sarebbe stato della squadra se in questi 5 anni la società avesse potuto giovarsi di una proprietà solida?
Probabilmente staremmo parlando degli ultimi 5 anni non solo come quelli del filotto di mancati scudetti della Juve, che nella sua storia dal 1950 ad oggi è rimasta più a lungo senza scudetti solo nel post Calciopoli e a cavallo degli anni ‘90 con la comparsa di Silvio Berlusconi sulla scena, ma anche come di quelli di un secondo pokerissimo interista.
Ed invece qui pesa e non poco l’incertezza che ogni estate aleggia sulla società. Una incertezza ben contenuta dall’esperienza di mercato e dal potere mediatico del club in generale e di Beppe Marotta in particolare. Una incertezza che mi porta a dire che in fondo da quando è arrivato Oaktree non è mai stato chiarito qual’è il piano strategico del nuovo proprietario, a fronte di un mercato estivo 2024 di fatto a costo zero. Vedremo, il calciomercato è alle porte.
Sono queste le condizioni dentro le quali valutare l’operato di SImone Inzaghi, che a mio giudizio è positivo a prescindere, anche se dovessi sbagliare il mio pronostico che ricalca quanto scritto sopra a proposito della notte di Monaco in cui si giocherà la Champions League contro i PSG con i nerazzurri favoritissimi per la vittoria finale a differenza di due anni fa quando si presentarono timorosi al cospetto di un Manchester City a cui bastò gestire il contesto sapendo di poter trovare almeno un gol in 90’ per vincere.
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Outro.
Voglio chiudere la lunga analisi-scudetto di oggi con un riferimento al campionato di Serie A nel suo complesso rispetto al resto dell’Europa, perché da molte parti leggo giudizi che non condivido sul valore complessivo.
Provo a fornire 3 chiavi di lettura che naturalmente per essere attendibili si basano su dati oggettivi raccolti fuori dal perimetro della Serie A.
1.
Cinque anni fa la nostra Serie A era terza nel ranking UEFA (che altro non è che il riflesso dei risultati, tutti, delle nostre squadre in Europa, al lordo dei bonus Champions league) e pagava 12 punti alla Liga Spagnola, seconda. Oggi dopo aver conquistato 5 posti in Champions League nel 23/24 rimaniamo secondi con poco meno di 3 punti di margine a nostro favore. Fanno 15 nel quinquennio. Non male rispetto ad un campionato che, come sappiamo bene, schiera sempre grossi calibri e fa incetta di coppe. Siamo lì, ci siamo anche noi, e tra pochi giorni potremmo tornare a festeggiare una Champions League che manca da 15 anni (e 3 finali perse).
2.
Nell’ultimo quinquennio - e secondo me questo non è un dato da poco - l’Italia tra le top 4 europee (se mi leggete sapete che considero la Francia più vicina a Belgio e Portogallo, campionati di formazione, che non a Italia, Spagna e Germania) è quella che ha mandato in Europa meno squadre: solo 9 contro le 12 della Spagna e le 13 di Inghilterra e Germania.
Significa che da noi si è affermata nel post covid una classe medio alta di club (Inter e Roma gli unici due sempre presenti in Europa) che hanno scavato un solco rispetto a un campionato che possiamo dire di A1 (fino al nono posto) e A2, vinto quest’anno dal Como, che paga ben 13 punti alla squadra immediatamente davanti.
E dentro questa classe medio alta noi siamo molto competitivi nel livello medio (3 finali su 4 di Conference), 2 su 5 di Europa League (solo l’Inghilterra con 3 finaliste ha fatto meglio nel quinquennio) e meno nel livello alto (due finali con l’Inter, ma una vittoria che manca da 15 anni e una stagione come la scorsa con 0 su 8 ai quarti).
3.
Entrambi i dati citati sopra ci spiegano il perché di un campionato (passato dal 55% di riempimento stadi del 2015 al 93% della stagione appena conclusa) con una competizione interna altissima (grazie anche al declino della Juventus, in parte per colpe proprie ed in parte indotto dalla giustizia sportiva in attesa di conoscere i processi ordinari) ed una competitività europea media ma in crescendo rispetto ai cinque anni precedenti.
Il tutto con un’ultima valutazione: finito il decennio delle corazzate (Real Madrid, Manchester City, Bayern Monaco, il PSG per come l’abbiamo conosciuto, assai diverso dalla versione odierna) anche in Europa la competizione - già resa più aleatoria dalla formula a eliminazione diretta - è più incerta di prima, e del resto quest’anno per la prima volta dalla celebre Monaco - Porto del 2004 non saranno presenti in finale le nostre 3 federazioni rivali, ovvero le uniche ad aver vinto la Champions League dal 2011 ad oggi.
Anche per oggi è tutto. Niente note a margine a questo giro, ma tanti - spero - spunti di riflessione, a partire dai quali potete anche voi contribuire nei commenti con le vostre riflessioni. A presto!
Giovanni
La prima cosa che volevo dirti è che quando si vince di un punto è bene festeggiare sapendo di aver avuto anche la sorte dalla propria parte . In secondo luogo ho notato che non hai sottolineato a sufficienza che il Napoli di Conte ha disputato poco più della metà delle partite delle altre squadre rivali . Preparare una sola partita a settimana con giocatori riposati e con infermeria vuota è fare un altro sport . Infine il mantra Contiano " fate il confronto con la passata stagione e datevi una risposta " è una bufala totale . La stagione prima non aveva la stessa rosa di questa stagione e quella prima ancora che disputava anche le coppe aveva vinto il campionato a gennaio .
...A Natale ho chiesto ai miei collaboratori se dovevo essere me stesso e farmi cacciare di lì a poco o adattarmi e vincere...basta sta frase per capire il perchè in Italia non si può praticare un calcio "libero" (infatti alla Lazio fu se stesso solo alla fine ed ha pagato avendo quel Presidente li, che non spende un euro...) e che faccia il crescere il movimento.
Un esempio ne è Luis Enrique che di sicuro a Parigi non si è snaturato e pur perdendo le stelle ha detto...di sicuro qualitativamente e complessivamente, non saremo meno forti!
Altro esempio Fabregas a Como che ha detto chiaro e tondo...si GIOCA come dico io a costo di retrocedere!!
Profonda ammirazione a chi non si snatura...