La storia del Real Madrid degli eSports
Fin dalla sua fondazione G2 ha avuto una missione chiara. Dieci anni dopo i suoi fondatori stanno entrando nella Kings League: il confine tra sport e intrattenimento è sempre più labile.
Nel mondo degli esports il confine tra intrattenimento digitale e sport tradizionale diventa ogni giorno più labile.
Per questo è interessante oggi raccontare la storia di G2 Esports, una realtà che ha tra i propri meriti quello di essersi data un’identità chiara (una mission, dicono quelli bravi) sin dal giorno 1.
Diventare il Real Madrid degli Esports, questo è sempre stato l’obiettivo.
Ripercorrerne le orme ci aiuta a capire dove sta andando questo mondo digitale e come gli sport tradizionali stanno sempre più intersecandosi con esso.
Fondata dieci anni fa, l’organizzazione con sede a Berlino ha saputo conquistare titoli e fan in tutto il mondo grazie a una combinazione vincente di competitività e capacità narrativa.
Recentemente G2 ha annunciato il suo ingresso nella Kings League, la lega di calcio a sette sostenuta da Gerard Piqué.
L’annuncio della partecipazione alla divisione tedesca della Kings League rappresenta una mossa pionieristica: G2 è la prima organizzazione esports ad approdare nella competizione in Europa.
Per il CEO Alban Dechelotte, si tratta di una decisione naturale che incarna la prossima fase di crescita per un’organizzazione che, negli ultimi cinque anni, ha vinto più di qualsiasi altra nel settore.
Dechelotte in un’intervista a SportsPro ha spiegato:
Abbiamo un brand unico, molto popolare in Cina, Europa e Stati Uniti. La grande domanda è: cosa facciamo adesso?
La risposta si articola in due pilastri fondamentali
l’amore per la competizione
la maestria nello storytelling.
G2 ha scelto di esplorare nuove frontiere, e la Kings League è apparsa come la piattaforma perfetta per continuare questo percorso.
Non si tratta soltanto di un campionato di calcio.
Secondo il CEO della Kings League, Djamel Agaoua, è “un intero nuovo ecosistema”, che combina sport, intrattenimento e proprietà da parte di influencer, con le partite trasmesse gratuitamente su Twitch.
Per Dechelotte è questo mix a rendere il format irresistibile per un pubblico giovane, definito “social native” — non semplicemente nativo digitale (Generazione Z contro Millenials, in sostanza).
Amanano storie brevi, da condividere, commentare, rifiutare o adorare. Il formato Kings League è chiaramente ispirato a ciò che amiamo nel gaming.
Vi faccio una confessione. Dovessi tornare indietro, a pensare i contenuti per OneFootball, non mi concentrerei più solo sul calcio, il tema scelto dai founder. Ma sui temi cari agli utenti: l’intrattenimento non solo calcistico, la musica, la cultura pop, le intersezioni trasversali. Chiusa la parentesi. Anzi no, il modello sarebbe Bar Stool sport, un blog poi diventato app, americano, una sorta di bibbia dell’appassionato di sport. Parentesi chiusa davvero stavolta.
G2 non è nuova al dialogo con le nuove generazioni.
Già attiva nei maggiori titoli competitivi come League of Legends, Rocket League e Call of Duty, l’organizzazione ha sempre puntato a una presenza globale, con team e fan in tutto il mondo.
Abbiamo 26 nazionalità in G2. Se domani vogliamo essere più forti nelle Filippine, possiamo creare un team lì, con talenti e star locali. Non siamo come il Manchester City con un brand satellite a New York o Melbourne. Noi siamo ovunque e ovunque possiamo crescere.
Questa struttura flessibile rappresenta, secondo Dechelotte, un vantaggio significativo rispetto ai club sportivi tradizionali.
Se sei il Barcellona, sei una città, uno sport, uno stadio. I tuoi fan in Vietnam o Los Angeles ti vedranno forse una volta nella vita dal vivo. Noi invece siamo già lì.
La partecipazione alla Kings League non sarà un episodio isolato.
G2 ha già ottenuto una licenza decennale per la competizione, un chiaro segnale di impegno a lungo termine. E non si esclude l’ingresso in altre discipline, come gli sport da combattimento o quelli con racchetta, a patto che siano coerenti con i gusti del pubblico, prevalentemente composto da ragazzi tra i 15 e i 25 anni.
Non siamo ossessionati dal fare tutto. Cerchiamo solo ciò che ha senso per noi e per i nostri fan.
Guardando al futuro, Dechelotte prevede che l’industria degli esports sarà dominata da cinque-dieci organizzazioni globali, capaci di esercitare influenza nei principali giochi e regioni.
Accanto a queste, emergeranno team più piccoli e focalizzati, spesso costruiti attorno a un singolo influencer.
Il rischio maggiore sarà per quelle organizzazioni che si troveranno nel mezzo, senza una nicchia chiara né le risorse per competere globalmente.
Non è colpa del Covid o dell’inverno degli esports. È solo la maturazione di un’industria dove non è sostenibile avere 400 team che competono a livello globale con risorse locali.
L’inverno degli esports. Si tratta di una traduzione letterale da “esports winter”. La parola winter viene associata dagli anglofoni a momenti di crisi degli investimenti che non si capisce ancora se sia strutturale o congiunturale. NFT winter, Crypto winter… ne abbiamo sentiti diversi in questi anni.
Fa piacere che sostanzialmente Dechelotte dica quel che io scrissi in “Gli esports sono nel caos, quindi la situazione eccellente”.
Con una visione strategica chiara e una crescente capacità di adattamento, G2 Esports sembra destinata a scrivere nuove pagine di successo.
E proprio come il Real Madrid ha fatto la storia del calcio, G2 si candida a diventare il club simbolo di una nuova era dello sport. Si, senza la e davanti. Quella dove reale e virtuale si fondono in un unico grande spettacolo.
Un mondo di entertainment di cui è giusto occuparsi perché è altro dallo sport competitivo come lo abbiamo conosciuto, ma con esso compete per l’unica cosa che conta: il tempo delle persone.
Note a margine.
Modello! L'Athletic Club di Bilbao ha raggiunto le semifinali di Europa League, un risultato straordinario considerando la sua politica unica: può schierare solo giocatori nati o cresciuti nel Paese Basco, una regione tra Spagna e Francia con circa 3,1 milioni di abitanti. Questa filosofia, nata nel 1911, ha portato successi notevoli: il club ha vinto 36 trofei, non è mai retrocesso dalla Liga ed è tornato a vincere la Copa del Rey dopo 40 anni. Pur con limiti autoimposti, è competitivo in Europa e in corsa per la Champions, distinguendosi per identità e coerenza. Di modelli avevo parlato mesi fa riferendomi all’Atalanta, sostenendo che un club è un modello soprattutto quando non vince ma continua a lavorare come ha fatto il giorno prima. Ebbene, l’Athletic Bilbao in questo senso è esemplare: la politica, il localismo identitario, vengono prima del mercato e delle leggi globali del calcio. Vince poco e raggiunge risultati significativi dentro la propria logica, ma quando lo fa tutti ne parlano. E pur tuttavia bisognerebbe parlare dell’Athletic molto più quando va male che quando va bene. Il segreto è quello. Ne sono convinto.
Superclassico. Chissà come sono inorriditi i tifosi del futebol, quelli che hanno inventato il calcio in Argentina e fanno calcio con le manine che si muovono a casaccio, davanti alla notizia che il derby tra River Plate e Boca Juniors del 2025 ha segnato una svolta tecnologica per il calcio sudamericano. Lo stadio Mâs Monumental, ampliato a 85.018 posti, ha introdotto innovazioni come un sistema di riconoscimento facciale per un accesso rapido e sicuro, e un display LED a 360° lungo 488 metri che offre statistiche in tempo reale e contenuti immersivi. La piattaforma digitale River ID, con oltre 350.000 membri, ha permesso di esaurire i biglietti in sole due ore. Questo evento rappresenta un modello di modernizzazione per il calcio argentino. Questo è business, orrore!
Sport femminile. Sto monitorando da tempo questo trend… Secondo una ricerca commissionata da Sky Sports, l’80% dei fan sportivi nel Regno Unito è interessato ad almeno uno sport femminile, soprattutto tra gli under 35. I fan che seguono sia sport maschili sia femminili guardano più contenuti e sono dieci volte più propensi a pagare per abbonamenti. Tuttavia, molti trovano difficile accedere a contenuti sulle abilità delle atlete. Solo il 59% dei fan di sport femminili è un “committed viewer”, contro il 93% per lo sport maschile. Sky punta su una maggiore visibilità e narrazione per accrescere il coinvolgimento e il valore commerciale dello sport femminile.
Outro.
I corpi malati degli atleti
Qualche mese fa, a fine settembre, in uno degli Outro qui su Fubo scrivevo di Atleti Malati.
Il tema è ancora d’attualità. Si gioca troppo.
Nella giornata di oggi (sono le 23.38 ed ho finito di fare i giornali una mezz’ora fa circa) ho curato l’editing per i giornali NEM della storia di Riccardo Michieletto, rugbysta del Petrarca Padova.
Contro il Vicenza, all’ultima gara della carriera, il giocatore dei tuttoneri ha riportato l’uscita del femore dall’anca: «Momento duro, ma sono felice della vicinanza di molti e di quanto fatto in questi anni».
Michieletto ha poi scritto in un post su Facebook la verità sulla sua vita di atleta, l’impegno per studiare, laurearsi, avere un lavoro rilevante e gratificante.
Io sono grato a questi atleti - come ho scritto qui - che raccontano una storia vera e aiutano a sfatare i falsi miti di Superman. Atleti che mettono a nudo le loro debolezze fisiche, mentali e non solo. Atleti che sono d’esempio.
Fare sport fa bene alla salute, ci hanno sempre detto. E quindi, di riflesso, la vita dello sportivo professionista descritta come la vita più sana possibile ed auspicabile. Sono idee radicate nella nostra mente, lo sport come mezzo per avvicinarsi al mito di Superman.
…
«Purtroppo la salute degli atleti è l’ultimo dei problemi» dicevano all’unisono mesi fa Guardiola e Klopp lamentandosi per i calendari intasati, un problema non solo calcistico ma di tutti gli sport (tennis, pallavolo, pallamano... si gioca troppo ovunque). Forse davanti a parole come quelle di Michieletto è bene fermarsi e riflettere.
È tempo di dirsi le cose come stanno e di cambiare.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni