L'Atalanta, a prescindere da tutto
"Vincere non è importante" contro "è l’unica cosa che conta". Dovremmo imparare ad apprezzare le tante sfumature che offre lo sport. La finale di Europa League dell’Atalanta ne è l’occasione.
Berlino, 21 maggio 2024
Non esiste fallimento nello sport. Ci sono giorni buoni e giorni meno buoni. In alcuni sei in grado di ottenere il successo, in altri no. Qualche volta è il tuo turno, altre volte no. (Giannis Antetokuompo)
Se questa sera l’Atalanta dovesse perdere contro il Bayer Leverkusen nulla cambierà di quello che la società bergamasca è diventata in questi ultimi anni.
Già su Youtube ho raccontato la storia (e quel che penso) del motto fatto suo dalla Juventus: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” e pure dell’interpretazione di fallimento nello sport, di Giannis Antetokuompo.
In Inghilterra mi hanno sempre affascinato sul piano culturale i club che - non potendo esibire grandi trofei - rimettevano in vendita le repliche celebrative delle maglie delle finali disputate a Wembley.
Noi cantiamo “Vinceremo il tricolor” e pure loro lo fanno a modo loro, ma non abbiamo alcun coro equivalente al loro “Andiamo a Wembley” o a quel che sentivo cantare nel 2016 “San Siro San Siro we are coming” quando la finale di Champions League si sarebbe giocata a Milano.
Come dire: noi c’eravamo, ci siamo stati. Ed esserci è la prima cosa che conta.
Non definitiva, ma di certo prioritaria.
Negli sport a squadre esiste uno che vince solo se esiste uno che perde. Tendiamo a non pensarci vero?
Purtroppo in questi anni di polarizzazioni schizofreniche ci dividiamo tra l’esaltazione del non gioco al fine del risultato o del belgioco fine a se stesso a prescindere dal risultato.
Ma in mezzo ci sono tanti gradi diversi.
Ci sono ad esempio gli obiettivi ed i meriti intermedi che non portano trofei ma delineano un percorso. Esserci. Arrivarci. Avanzare di anno in anno, migliorare la propria media punti, giocare su campi più prestigiosi.
Un mio amico atalantino, di quelli che da Manchester viaggiano in tutta Europa per vedere la propria squadra, mi stupì anni fa. Gli italiani vogliono sempre un sorteggio facile, lui voleva “qualche grande club nel sorteggio europeo per dire che la mia squadra ha giocato là”. E magari ha ben figurato, o addirittura vinto.
Mi pare sia stato accontentato.
Un valore ulteriore è l’averlo visto fare con continuità.
Stasera l’Atalanta sfida un Bayer Leverkusen che può diventare la prima squadra nella storia europea a disputare un’intera stagione senza mai perdere una partita.
Pensate: potrebbero nominalmente farcela anche perdendo due finali: sia a Dublino che sabato contro il Kaiserslautern all’Olympiastadion di Berlino, dopo i calci di rigore.
Come li giudichereste a quel punto?
Fallimento è il termine du cui i mediocri abusano per dare aria alla bocca quando vogliono portare i campioni al loro livello.
Vincere per gli orobici sarebbe una doppia impresa. Perché quel che si è detto della squadra di Xabi Alonso quest’anno è tutto giusto e vero, 90 punti in Bundesliga non si fanno a caso, e per questo batterla vale doppio.
Ma i 90’ non spostano di una virgola i giudizi complessivi.
Una settimana fa ne ho pronosticato la sconfitta in finale di Coppa Italia e la vittoria in questa, al termine della puntata di Shoc su House of calcio, ma anche in caso di sconfitta ci saranno alcune cose che non si potranno cambiare della storia recente del club.
Considero Gian Piero Gasperini tra i migliori tecnici del calcio italiano, capace di dare gioco e struttura ad una squadra ma anche equilibrio nelle due fasi. Sa fare un calcio offensivo e di possesso e quest’anno pure di adattarsi alla bisogna accettando il non possesso giocando di reazione come fatto nella serata capolavoro di Anfield.
Ma il marchio di fabbrica è chiaramente la prima parte.
Il grande rimpianto della sua carriera non saranno mai le finali perse quanto piuttosto le occasioni che gli sono state negate quando approdò all’Inter, venne cacciato prematuramente e gli servirono 3 stagioni, di fatto, per rimettersi in pista e ripartire dall’inizio: un altro ciclo convincente col Genoa e poi l’Atalanta.
A Bergamo ci è arrivato nel 2016 e non possiamo dimenticare quel che è successo da allora.
Subito qualificato in Europa League con 72 punti (quarto posto che oggi varrebbe la Champions) e una squadra che l’anno prima ne aveva fatti 45.
Se non iniziamo calcolando l’impatto di un tecnico su questi incrementi su cosa lo vogliamo fare?
Otto anni in tutto:
due finali di Coppa Italia
una finale di Europa League (a prescindere da tutto)
un solo anno (22/23) fuori dalle coppe
72, 60, 69, 78, 78, 59, 64 punti nelle 7 stagioni passate: la media è 71 che in genere può essere una quota Champions sempre credibile
66 a due dal termine in questa che può tornare (con due vittorie) al risultato della prima, quasi a completare un cerchio.
La prima cosa da riconoscere è la consistenza.
La continuità nello sport è un discrimine fondamentale per riconoscere la dimensione dei risultati.
L’Atalanta era una squadra che grosso modo faceva 4 anni in serie A e poi uno in B risalendo subito. Ora sta dentro quel novero di 8-9 squadre che valgono una presenza stabile in Europa.
E aggiungo: rientrerebbe a pieno titolo in quel novero di squadre che, alla luce di un blasone europeo consolidato, potrebbero ambire a giocare in una ipotetica Serie A europea basata sui risultati europei.
Vogliamo chiamarla Superlega? A Gasperini non piacerebbe ma di quello si tratta.
Cambierebbe qualcosa una sconfitta a Dublino?
Ovviamente non bisogna enfatizzare troppo l’allenatore.
Al giorno d’oggi si compiono analisi sommarie senza tener conto di quanto è complessa una organizzazione sportiva e di quanto sia fondamentale che tutte le componenti remino nella stessa direzione.
Non è lui a vincere o a perdere, a fare il progetto, anche se ne è una parte fondamentale.
Dietro c’è il lavoro di una società che vale grosso modo 200 milioni di fatturato annuo, la dimensione di un grande club di paesi con i quali compete direttamente: Francia e Portogallo in primis.
Due paesi che cito non a caso perché nel calcio moderno l’Atalanta è una squadra di sviluppo e valorizzazione di giocatori di crescente valore proprio come lo sono le grandi di Francia (escluso il PSG) e del Portogallo.
Dietro c’è il metodo di una società che ha sempre creduto in quello che ha fatto negli anni.
Una squadra che poi per anni ha messo in rosa, per un fatto identitario, dai 4 ai 6 giocatori del suo settore giovanile a inizio stagione.
Quando ha iniziato a macinare risultati il minutaggio dei giocatori del vivaio è sceso (nel 20/21 era al 4,5% sotto la media del campionato) per poi tornare a crescere: quest’anno siamo al 20,3% che è un dato più simile a quello medio della Liga Spagnola (19,4%) che della Serie A (5,5%).
Anche questo è il compimento di un ciclo di riassetto e crescita.
I risultati sono dovuti al fatto che a differenza di molti altri l’Atalanta ha un’identità e un metodo che prescindono da quello che le accade intorno.
E applicandolo segue una sua traettoria unica ed originale.
Per una volta possiamo scomodare il tanto abusato termine di “modello” perché l’Atalanta va considerata tale per coerenza e continuità, anche e forse ancora di più se a Dublino dovessero vincere gli altri.
Perché un club calcistico è modello (ne sono convinto) molto più nella sconfitta che nella vittoria.
L’Ajax - che ha lampi di eccellenza europea grosso modo ogni 20 anni - è molto più modello oggi che deve riprogrammare, perché gli viene imposto di riflettere sui suoi valori fondanti. Ed allora da quelli riparti e ti rimetti in carreggiata dopo anni in cui gli acquisti (sempre più costosi e anziani) ti avevano portato fuori dal seminato per difendere lo status.
L’Athletic Bilbao - che fa la squadra con un mercato regionale nel calcio globalizzato e non retrocede mai - è molto più modello quando lotta per non retrocedere e ce la fa, perché non cede di un centimetro sulla sua identità e porta a casa il risultato traendo linfa da questa (e non dal mercato).
La Juventus, nella mia interpretazione, ha dimostrato di essere un modello per come ha reagito a Calciopoli, facendo cerchio su una struttura organizzativa di società più lungimirante della media italiana ma impostata già a inizio anni 2000, tornando a vincere già nel 2011-12 quando (fatto evocativo) lo stadio voluto dalla precedente dirigenza si materializzò, più che per il dominio successivo.
Infine un altro non dettaglio di valore.
L’Atalanta è una società a capitale americano, con la maggioranza in mano ad un fondo, ma con una guida italiana che ha garantito continuità manageriale al club.
Rivista Undici aveva fatto un ritratto perfetto del presidente Antonio Percassi - 36esimo uomo più ricco d’Italia - ancora nel febbraio 2022 quando vendette il 55% del club a Stephen Pagliuca per 270 milioni di dollari, tenendo comunque le redini dirigenziali in capo alla sua famiglia.
Recentemente, con una intuizione acuta, la stessa Undici ha rilanciato su Instagram titolando: “Percassi non è un presidente italiano”. E io credo che qui ci sia l’elemento più forte.
Percassi, presidente dall’animo internazionale. Punto di riferimento in Italia dei grandi marchi. A lui si rivolgono quando vogliono investire da noi. Starbucks, Victoria’s Secret, Lego. Organizza lo sviluppo delle reti di vendita in Italia.
Continuità tecnica, programmazione, identità, solidità patrimoniale e crescita economica, tutte insieme le dai solo se hai una visione imprenditoriale.
E la formula USA-Italia è perfetta e non poteva che riuscire a qualcuno con questo background.
Un uomo di calcio che nel calcio ha vissuto da calciatore, da comprimario e poi da protagonista.
E per il quale domani potrebbe essere un giorno trionfale, oppure di grande amarezza: ma che non cambierà nulla della sua visione del calcio, del suo club, delle sue prospettive imprenditoriali.
Perché come tutti i grandi imprenditori Antonio Percassi pensa a cosa farà tra cinque anni molto più che a quello che deve fare oggi e meno ancora a quel che è accaduto ieri.
Ci pensa, non fraintendete, ma nel giusto ordine di priorità.
E quando vince festeggia, ma quando non ci riesce rimane comunque proiettato nel futuro con più certezze che dubbi.
Note a margine
Ho deciso di spostare a domani l’analisi della stagione Juventus 2023/24 e quindi oggi trovate sul mio canale questo contenuto sull’Atalanta. Se stavate aspettando il contenuto sulla Juve sappiate che domani mattina (giovedi) esce la newsletter e se siete tra i ritardatari che lo stanno aspettando e leggono tardi le mail lo trovate qui da giovedi.
Heloisa de Souza scrive una newsletter che si chiama “The Good Football” dedicata a temi sociali legati al calcio. In uno degli ultimi numeri riflette sull'inefficacia delle campagne contro il razzismo nel calcio, ispirato da una partita amichevole tra Brasile e Spagna contro il razzismo. Nonostante gli sforzi visibili come slogan e iniziative, manca una reale coerenza e impatto. Le campagne sembrano superficiali e spesso non coinvolgono abbastanza le voci delle persone colpite. Per questo propone di migliorare l'ascolto, l'ammissione degli errori, il monitoraggio dei dati e l'audacia nel prendere decisioni per affrontare il problema in modo più efficace e autentico.
Viviamo in un mondo in cui i capi di stato incontrano i presidenti di club per avere i giocatori più rappresentativi alle Olimpiadi.
Sliding doors. Mentre tutti aspettano di sapere cosa sarà dell’Inter, si risolve il caso Sampdoria, di cui prendiamo nota. L’ex patron Massimo Ferrero ha ceduto tutte le azioni. L’accordo raggiunto segna l’inizio di quel futuro economicamente ancora più robusto per la Sampdoria promesso da Andrea Radrizzani con il possibile ingresso di nuovi soci.
Outro
Se ti è piaciuto questo contenuto…
Infine, ieri Toni Kroos ha annunciato il suo ritiro dal calcio. Avrà quindi più tempo da dedicare al podcast che da anni (con un certo successo) fa con suo fratello Felix.
È stato l’unica voce fuori dal coro a schierarsi (in tedesco) per la Superlega. Ma ovviamente il fatto che sia da un decennio al Real Madrid non ha influito in questo :)
Giocherà la finale di Champions League con il Real Madrid potendo eguagliare il record di 6 Champions League vinte stabilito da Paco Gento.
Kroos ha rappresentato il prototipo del centrocampista moderno: universale, capace di giocare box to box ma anche da incontrista di puro contenimento, anche se poi il suo non è mai solo contenimento, perché l’innata visione un distributore orizzontale e verticale sopraffino a prescindere.
Campione del mondo 2014, terzo a Sudafrica 2010, è poi incappato nel periodo peggiore della nazionale tedesca dal dopoguerra ad oggi e nel torneo giocato in casa avrà l’ultima occasione per un trionfo storico.
Io invece non mi ritiro, per vostra sfortuna :)
…e noi ci rileggiamo domani!
A presto
Giovanni