L'inventore delle cronache di calciomercato
Il 4 maggio 2024 è morto David Messina, aveva 92 anni. Tutti gli riconoscono l'aver inventato il calciomercato come forma di giornalismo, ma quanto rimane della sua eredità ai giorni nostri?
Antalya, 6 maggio 2024
Gli inglesi hanno inventato il calcio, i francesi lo hanno organizzato, gli italiani lo hanno messo in scena.
Forse avete già letto questo aforisma attribuito al giornalista francese Serge Uzzan che ci dice tutto sulla nostra cultura calcistica: narrativa prima ancora che agonistica.
Mi è tornato alla mente in queste ore, dopo la notizia - sabato 4 maggio 2024 - della morte di David Messina, che aveva 92 anni ed è stato un giornalista (e tra le altre cose presidente dei giornalisti lombardi) e telecronista sportivo, ma che da tutti verrà ricordato come l’inventore delle cronache di calciomercato, ovvero del mercato calciatori come forma di narrazione giornalistica, negli anni alla Gazzetta dello sport.
Per quelli della mia generazione, nati tra la seconda metà degli anni 70 e gli 80 fu soprattutto un volto televisivo, legato a Qui studio a voi stadio su Telelombardia ed agli interminabili salotti televisivi delle tv locali.
A Messina viene riconosciuta soprattutto la primogenitura di quello stile narrativo sensazionalistico che caratterizza il mercato calciatori.
Chi come me vive all’estero e lavora per una piattaforma multilingue con diverse redazioni come OneFootball, ne può apprezzare ancor di più la portata innovativa: ad oggi in Germania una cosa del genere non esiste, i colleghi tedeschi sono ancora convinti che l’estate sia “off season” e si stupiscono perché è in luglio ed agosto che la redazione italiana fa i numeri editoriali migliori. Gli inglesi ci provano, ma non è il loro mestiere, infatti i migliori nella specialità sono italiani, di generazione in generazione.
Dobbiamo a David Messina, tra le tante fortunate espressioni, il “valzer” dei portieri, degli allenatori, degli attaccanti. Non esistono eguali linguistici altrove.
Roberto Beccantini lo ha ricordato definendolo “David, il Golia del mercato” con un bel pezzo su Facebook. E già il fatto che questa cosa, o in generale le cose migliori dei ricordi di chi lo ha conosciuto, la si possa leggere sul social ammiraglia di Meta ci dice tanto, credo.
Tra il nostro calcio e il calciomercato il rapporto è storicamente strettissimo.
Beccantini definisce Messina “il Raimondo Lanza di Trabia della Gazzetta dello Sport”.
Il principe Raimondo da presidente del Palermo fu l’inventore del calciomercato come luogo fisico (un unicum nel mondo dello sport, solo in Italia) e quindi l’accostamento con chi - pure originario di Palermo - del calciomercato ha fatto un genere giornalistico è assolutamente pertinente.
Se gli chiedevi di dettare i paganti di un’amichevole, sbuffava. Ma se avevi bisogno di un titolo che tenesse su la prima, in assenza di Olimpiadi o Mondiali, lui - soprattutto lui - era l’hombre del destino.
Non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo. Per la mia generazione giornalistica il David Messina legato alla carta stampata fu un nome da enciclopedia del giornalismo, tempi di macchine da scrivere.
Non ci ha lasciato pagine antologiche, semplicemente perché la sua invenzione era qualcosa di connaturato al giornalismo come intrattenimento, caduco e volatile, da non imprimere nella pietra perché figlia dell’incertezza e della necessità di un titolo oggi su cui fare una verifica in più domani.
E non voglio mancare di rispetto riflettendo sulla sua grande eredità proiettandola nel presente e nel futuro. Perché tutti coloro che vogliono scrivere di mercato devono sapere chi fu David Messina, e se non lo sanno sono un po’ più poveri, certo inconsapevoli. Ma non meno bravi a priori.
Già ai suoi tempi, nell’era d’oro delle tv private locali e non, Maurizio Mosca ci aveva mostrato come quel metodo potesse entrare in un’iperbole in grado di darti la plastica sensazione del tutto inventato.
Ma sia chiaro, il giornalismo di David Messina era di certo narrazione, romanzo, fiction per dirla con gli inglesi, ma tutta roba che aveva il sottostante della notizia come prerequisito. Esistevano la notizia e il suo condimento così come esiste una base per la pizza e le sue infinite variabili sopra.
Lo dico perché io sono figlio di un’altra epoca e in quella odierna questa cosa non è scontata, quindi è bene delineare il campo.
Per fare la pasta del giornalismo il tema chiave è quello dell’accessibilità alle fonti, che significa avere accesso comunicativo ai protagonisti (calciatori, allenatori, dirigenti, oggi soprattutto agenti).
Non è una banalità, in un tempo (quello attuale) in cui il “contenuto” richiesto dall’algoritmo ha preso sopravvento sulla “notizia” e spesso Google ci restituisce un’indigeribile inconsistenza senza base. E quel titolo che tiene la prima diventa una necessità, quando prima era soprattutto una opportunità.
Non vi è dubbio sul fatto che fino all’era social, diciamo agli ultimi 15 anni per semplificare, la materia era per pochi, perché come é facile immaginare non tutti possono alzare il telefono e chiamare, per spillare o verificare notizie.
Esistevano 3 giornali sportivi in Italia, mentre oggi é assolutamente inquantificabile la presenza di testate affamate di una impossibile accessibilità.
Oggi, nella migliore delle ipotesi, nella pletora di quelli che ci provano potete trovare qualcuno che ha una o due entrature privilegiate, ma senza sguardo d’insieme, senza alcun background internazionale, sempre più necessario nel calcio mondializzato. Infatti spesso finiscono per lucrare un qualche credito anche scaltri millantatori.
Dicevo che tra il nostro calcio e il calciomercato il rapporto è strettissimo in tutti i sensi.
Non è un caso se il più famoso giornalista di calciomercato al mondo, oggi, sia un italiano (Fabrizio Romano) proveniente dalla gavetta fatta con un altro giornalista italiano (Gianluca Di Marzio) citatissimo sulle testate internazionali prima del fenomeno Romano che ha avuto nell’inglese scritto e parlato (con altre 4 lingue) il suo vero boost, e se un gruppo editoriale spagnolo di nuova concezione (Relevo) abbia pescato in Italia un altro prodotto di quella generazione (Matteo Moretto) per affermarsi come fonte sui social e non solo.
Ma in tutta onestà credo che David Messina abbia sulle nuove generazioni meno influenza di quella che Dante Alighieri può avere sull’autore di un bestseller moderno.
Innanzitutto è cambiato il media. E il cambio del media cambia il linguaggio, oltre che il confine tra fatto e opinione. Siamo, credo, alla terza generazione successiva.
David Messina nasce sulla carta stampata, oggi del tutto irrilevante sull’argomento.
Gianluca Di Marzio nasce personaggio televisivo con i crismi dell’accessibilità nel cognome e una capacità di coltivare rapporti mai vista prima: uno capace di fare il mercato con un ruolo attivo anche nella promozione di alcune carriere, giornalistiche e non. E con il suo nome a dominio ha l’intuizione di costruire una fabbrica dei sogni che lancia gratuitamente orde di aspiranti narratori di mercato.
Fabrizio Romano è un canterano di Di Marzio. Ed é soprattutto un nativo dei social: passa da Sky per poi seugire una sua più gratificante e remunerativa strada, intuendo che il suo maestro gli sta lasciando una voragine internazionale che aspetta solo qualcuno che la riempia, in un mondo in cui nel frattempo un account social di successo vale più di un articolo 1.
Difficile essere tutto, dalla carta ai social. Ci riesce forse il solo Alfredo Pedullà, uno che gioca in quel campionato lì, e che riesce ad essere personaggio a tutto tondo, nato cartaceo, evoluto in tv e approdato al web ed ai social, con qualche problema di adattamento generazionale a quest’ultimo strumento che saltuariamente evidenzia che il boomer, sui social, è nudo.
Nel frattempo, soprattutto, è cambiato il modo.
Tuttosport - di cui sono stato orgoglioso corrispondente dal 2016 al 2021 - ancora oggi paga gli anni dello jacobellismo urlato in prima pagina. Che col senno di poi sembra essere stato il vagito finale del nuovo mondo scoperto da David Messina.
In quegli anni credo sarebbe tornata utile la lezione di un mio amico imprenditore, convinto che l’investimento più grande della sua azienda dedita alla lavorazione della madreperla sia stato quello speso per istruire gli indigeni su come non distruggere i fondali durante la raccolta.
Quando il fondale è distrutto, hai voglia a spiegare la regola dell’accesso alla massa urlante dei social, in un’epoca in cui potresti essere ancora tra i primissimi a dare notizie rilevanti e verificate, non piegate alla necessità della narrazione algoritmica quotidiana.
Ma torniamo al modo, al metodo.
Per essere rilevanti nel calciomercato oggi servono tre prerequisiti:
un solido background di campo (l’accessibilità delle fonti). Cosa che fa iniziare e finire in un colpo le analogie con David Messina;
l’essere social native (che significa soprattutto essere al di sopra di ogni commento);
una linea rigorosa e consistente nella propria comunicazione social;
Romano ad esempio fa benissimo tutto questo, e Matteo Moretto da Madrid - che con lui ha fatto il “settore giovanile” da Di Marzio - ne replica lo schema con crescente successo.
I milioni di follower arrivano dopo, sono un risultato anche se tanti, sbagliando, pensano sia una precondizione.
Sbagliare un Here we go non è un dramma perché le basi sono solide e incontestabili.
Insomma, le migliori e più credibili cronache di calciomercato nel 2024 - per tornare al Messina raccontato da Beccantini - somigliano più al tabellino di una partita, più al dettaglio degli spettatori tanto indigesto al vecchio leone, che alla originalità della sua narrazione pionieristica.
Il resto, oggi, finisce nell’indistinta massa di quel grande blob giornalistico in cui siamo impantanati negli ultimi anni. Il sottostante della notizia non basta più, per esistere lì dentro, con buona pace dei pionieri.
Fai buon viaggio David, Golia di un calciomercato che non c’é più.