Marotta, il sogno di Moratti realizzato 20 anni dopo
Steven Zhang era riuscito in quel che il vecchio presidente non riuscì: prendere il direttore generale della Juventus e trasformarlo in un simbolo della società nerazzurra. Lui è andato ben oltre
Berlino, 18 luglio 2024
È solo Tuttosport, e lo prendiamo come tale. Ma gente come Marotta all’Inter non può e non deve avere posto. Per nessuna ragione. (Bauscia Cafè, X, 23.10.2018)
Beppe Marotta è molto più che un semplice dirigente calcistico. È il manager sportivo italiano che più di tutti incarna quello che é oggi il calcio a livello nazionale.
È stato artefice, più di chiunque, del ciclo Juve e poi della rinascita dell’Inter di cui è diventato presidente.
Ha incarnato le necessità dei club: pescare nel mercato low cost e in quello dei parametri zero per fare instant team pronti all’uso e possibilmente vincenti.
Prima aveva fatto un miracolo portando la Sampdoria in Champions League, poi ha avviato il ciclo Juve ed ha centralizzato l’Inter nel calcio italiano come mai era successo nella storia.
Piaccia o non piaccia Steven Zhang, ingaggiandolo nel ruolo di amministratore delegato il 13 dicembre 2018 ha realizzato il sogno che fu di Massimo Moratti: avere il dirigente più bravo del calcio italiano per portare l’Inter ad essere squadra centrale del sistema.
Questa cosa poi pare aver fatto bene a tutti:
negli ultimi 5 anni abbiamo avuto 4 squadre campioni d’Italia, nessuna per due anni di fila dopo la fine del dominio Juve. Non accadeva dagli anni a cavallo del 2000, mentre bisogna addirittura risalire a fine anni ‘80 per trovarne 5 diverse in 5 anni di fila.
in Europa siamo tornati competitivi e quest’anno partiremo al secondo posto del ranking Uefa avendo sopravanzato i plurivincenti spagnoli che invece saranno terzi come non capitava dal 1997.
I detrattori la chiamano Marotta League, i tifosi - gli stessi che vergavano il quote con cui ho aperto questo post - ora festeggiano (giustamente, ci mancherebbe) e ironizzano.
In assenza di sostanza alle loro illazioni i detrattori restano tali ed i successi anche.
Lui nel frattempo è diventato presidente, cosa che personalmente avevo previsto qualche settimana prima, quando anche autorevoli osservatori nerazzurri negavano.
Nessuna premonizione, sia chiaro, e tantomeno nessuna soffiata: credo che nemmeno Beppe Marotta, che a quel ruolo stava lavorando, abbia mai menzionato ad alcuno la legittima aspirazione.
Ma il ruolo presidenziale era nelle cose: Marotta ha lavorato alacremente per tenere compatto l’ambiente, e tra queste cose non ci si può stupire se stanno anche i buoni rapporti giornalistici. Fa parte del gioco ed è la demarcazione tra i fuoriclasse e i parvenu.
Era il 24 maggio e scrissi qui:
Il club grazie alla dirigenza guidata da Beppe Marotta é riuscito a mantenere la rotta riuscendo addirittura a vincere un altro scudetto.
E io credo che, oggi, Marotta possa essere un autorevolissimo candidato a diventare il prossimo presidente dell’Inter, con un ruolo operativo e di prestigio in grado di comunicare al mercato che Oaktree (che, non va dimenticato, aveva già due consiglieri in CdA) lavorerà al risanamento, ma lo farà collaborando strettamente con una figura dirigenziale in grado di rappresentare la massima garanzia della tenuta sportiva del club.
Una scelta che starebbe a significare quel che il fondo statunitense ha sempre voluto far trapelare: un disinteresse ad occuparsi del club in quanto tale e obiettivo di medio periodo puntato ad ottimizzare il ritorno sull’investimento che Oaktree persegue.
L’Inter ha ufficializzato la sua investitura il 4 giugno successivo (ANSA).
Beppe Marotta è un uomo di sistema per tre fondamentali ragioni:
ha un’esperienza imparagonabile con quella di altri: è cresciuto accettando tutti i ruoli possibili commisurati nel tempo alla sua esperienza
è perfetto nel ruolo che gli viene dato da Oaktree: quello di guidare un club di calcio in nome e per conto di un fondo che ha sempre detto di voler fare quel che sa fare (la parte finanziaria) dovendosi giocoforza affidare a manager di settore
ma più di tutto il presidente dell’Inter rappresenta l’anello di congiunzione tra la tradizione del calcio italiano padronale, in cui il ruolo del direttore sportivo è la cosa meglio riuscita ed esportata, e la nuova ondata degli investitori stranieri, che rappresenteranno nel 2024 la metà dei club di Serie A, semplicemente perché può autorevolmente sedersi a parlare su entrambi i lati del tavolo rappresentando tutti per storia, competenza e contenuto.
Marotta è l’uomo di maggior potere del calcio italiano perché Marotta - parafrasando un vecchio quote di Giulio Andreotti - esattamente come il potere “logora chi non ce l’ha”.
Note a margine
Tutto Beppe. Sempre su Beppe Marotta molto interessanti le considerazioni fatte all’interno di uno speciale del TG2 (CF) tra cui una in particolare sulla carriera dei calciatori e il ruolo degli agenti: “vogliono far sì che il loro assistito sia soprattutto un oggetto commerciale, di divulgazione della propria immagine, e spesso trascurano quella che è la missione principale, cioè essere il rappresentante di un sistema che aiuta ed educa i ragazzi, per diventare i calciatori e gli uomini del domani”.
L’altra Manchester. Perdita netta di 71,4 milioni di sterline per il terzo trimestre del Manchester United, includendo 30,3 milioni di sterline in costi eccezionali legati alla vendita del 27,7% dei diritti di voto a Sir Jim Ratcliffe. Nonostante questo il club è fiducioso di rispettare le regole finanziarie della Premier League per il 2023/24.
Hollywoodizzazione. Su Il Riformista di martedi ho scritto un pezzo in cui parlo tra le altre cose della hollywoodizzazione del calcio, ovvero la tendenza a mitizzare i singoli molto più che a seguire i club. La tendenza è confermata da una recente ricerca di Football Benchmark che evidenzia tra le altre cose il recente incremento di seguito della Major League Soccer (MLS) e della Saudi Pro League grazie all'influenza di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.
Outro
La livella
Enzo Fernandez, centrocampista del Chelsea e della nazionale argentina, è stato coinvolto in una polemica perché durante una sua live dalla festa della nazionale albiceleste sono stati ripresi alcuni cori a sfondo razzista.
Fernandez ha 23 anni e se non fosse un calciatore famoso sarebbe semplicemente un ragazzo di 23 anni che quando festeggia con gli amici come tutti i 23enni e dintorni tende ad eccedere, senza per questo dover essere tacciato di razzismo o altro.
Ormai si sprecano i casi di dabbenaggine nell’ultilizzo dei social network, ma capiamoci: cliccare play per far partire una live oggi è diventato così spontaneo che chiunque (dai comunicatori più esperti all’ultimo dei cassani) conosce bene rischi ed opportunità.
Io voglio volutamente in questo caso far di tutta l’erba un fascio, perché farlo è nella natura dei social media che tutto appiattiscono in un blob incontrollabile, perché il social media è quel luogo in cui uno scienziato sta sullo stesso piano dello scemo del villaggio quando discute materie di sua competenza.
Spesso mi trovo a constatare il disagio che gira sui social, ma ci tengo a non voler essere equivocato: la prima forma di disagio è quella del voler condividere qualcosa per il puro gusto di farlo esponendosi al giudizio decontestualizzato dei follower.
Chi più chi meno. Ne siamo affetti tutti, io per primo. Rendersene conto è il primo passo.
A presto!
Giovanni