[18] Juve-Tar, oltre la sentenza c'è molto di più
Tanti l'hanno vissuta come vittoria dei bianconeri in vista di un ribaltamento della penalizzazione, ma ciò che rivela sulle modalità di esercizio della giustizia in Italia é più importante. E grave.
Permettetemi di iniziare questa newsletter segnalando che alcuni contenuti che propongo nei post infrasettimanali di Fubolitix sono disponibili oltre che su Youtube anche su Spotify e Apple Podcast. Si tratta di due novità per me molto importanti perché mi permettono di ampliare la mia attività e venire incontro a diverse esigenze di fruizione, venendo incontro ad alcune richieste che ho ricevuto in queste prime settimane di intensa attività.
Nelle ultime settimane ho evitato, volutamente, di tornare sulla vicenda giudiziaria che riguarda la Juventus, penalizzata di 15 punti dalla giustizia sportiva, perché - come dicevo nel numero 11 di questa newsletter - di certi temi é bene parlare quando si hanno elementi rilevanti.
In base a quanto ricostruito, il primo a fornire una completa ricostruzione di quanto accaduto alla Juventus in settimana a proposito della sentenza del Tar, é stato il giornalista salernitano Michele Spiezia, che settimanalmente attraverso il suo Storie Sport ci racconta il dietro le quinte dello sport italiano, senza tifo di sorta e senza risparmiare od omettere dettagli rilevanti.
Per approfondire il tema credo sia bene raccogliere testimonianze e leggere articoli di chi mastica la materia. E a tal proposito va segnalato quanto scritto da Cataldo Intrieri su Linkiesta l’8 marzo.
Intrieri - già da me citato in passato per un altro articolo sul tema - dice tra le altre cose:
La decisione del tribunale amministrativo potrebbe ribaltare la penalizzazione inflitta al club bianconero, ma soprattutto sancisce che chi amministra lo sport non può prescindere dai principi costituzionali e non può nemmeno impedire alla difesa di adire le vie ordinarie.
Vi é poi un altro passaggio, secondo me, ancor più rilevante:
Sarebbe un proscioglimento tecnico e di natura procedurale, una cosa che in questo Paese pullulante di Torquemada frustrati suonerebbe come un “cavillo”, una scappatoia, un tunnel da “fuga da Alcatraz” che non risplenderebbe di adamantina giustizia.
Un passaggio, questo, che già si trova in molti commenti e tweet di emeriti sconosciuti spesso sotto pseudonimo che ignorano semplicemente una cosa: il “come” nella giustizia, non é mai un dettaglio o un cavillo, ma é essenza stessa del fare giustizia.
Su un punto concordo con i suddetti Torquemada, ed è la sgradevole impressione, che spesso si ha, che in fondo giustizia - in un modo o nell’altro - non sia totalmente fatta.
E qui, tuttavia, bisogna dire chiaramente che le colpe sono esclusivamente di chi ha violato le norme di una giustizia amministrata in modo - perdonate il gioco di parole - giusto.
Non si tratta di una generica e inutile critica al sistema, ma di una ben circostanziata critica a chi il sistema lo deve far funzionare quotidianamente, ed invece si avvale di opere (di giornalisti compiacenti) ed omissioni (come nel caso cui stiamo facendo riferimento) che non possono rientrare nelle metodologie accettate.
Infatti, aggiunge Intrieri a proposito del famoso “documento mancante” che non permetterebbe alla Juventus di difendersi:
Non sappiamo quanto sarà utile il documento, ma poco importa: qui non è più in ballo il singolo problema della Juventus ma l’intero sistema giudiziario dello sport. Se le federazioni sono enti con finalità di pubblico interesse, se la giustizia sportiva “scorre parallela” a quella ordinaria, se il giudice ordinario e il giudice supremo dello sport citano nelle loro sentenze l’articolo 111 della Costituzione, col corollario di giusto processo e diritto di difesa ad armi pari con l’accusa, allora non è possibile salvare indagini e sentenze che violano questi principi.
In estrema sintesi: quando un tribunale chiede "un esercizio della giustizia più coerente con la Costituzione e i principi del giusto processo" nessuno può sentirsi escluso.
E qui torniamo a quel titolo che feci il 21 gennaio scorso: il caso Juve riguarda tutti noi. Ma anche a quel che scrissi successivamente, sui casi di giustizia sportiva che stanno interessando anche gli altri Paesi come Spagna e Inghilterra, definendola una crisi globale.
E da allora mi interrogo se sia più drammatico il fatto in sé o la disponibilità di molti a derogare alle regole pur di distruggere l’avversario. Pure quando - come nei casi di giustizia sportiva - questo può tangenzialmente danneggiare anche la squadra per cui si fa il tifo.
Sul tema, e per un ulteriore approfondimento del quadro generale, al di là della Juve e dello sport, credo sia utile leggere anche l’intera produzione giornalistica di Intrieri, per capire fino in fondo quello che é il suo metodo, coerente e improntato alla massima oggettività, nel raccontare il giustizialismo all’italiana e la crisi del garantismo, su Linkiesta.
Il vuoto UE in materia di diritto sportivo
Su un’altra vicenda giuridico sportiva - ovvero il ricorso dell’Anversa che contesta la legittimità dei vincoli alle rose europee imposte dall’Uefa - l’avvocato generale Maciej Szpunar ha definito “Le norme UEFA sui giocatori del vivaio parzialmente incompatibili con il diritto dell’Unione Europea”.
Il riferimento é alla necessaria presenza nelle liste europee di giocatori cresciuti nel vivaio, che violerebbe la libera circolazione dei lavoratori.
Secondo Szpunar, “sistemi in cui tra i giocatori del vivaio rientrano non solo quelli formati dal club interessato ma anche quelli di altri club della stessa lega nazionale non sono compatibili con le norme sulla libera circolazione” (Calcio e Finanza)
Anche qui va ricordato come il pronunciamento dell’avvocatura non sia automaticamente assimilabile al successivo giudizio della Corte.
Ma una ulteriore riflessione si impone.
Questo passaggio naturalmente si rifà alla sentenza Bosman del 1995, che rivoluzionò il mercato del talento sportivo europeo (non solo calcistico). Al contempo, tuttavia, non si può non fare riferimento, a distanza di ormai 27 anni, alla specificità di tale mercato e alle conseguenze (l’assottigliamento della competitività a livello continentale, ristretta a molti meno club rispetto al passato) che questa legge ha avuto in seguito.
E quindi il problema che ritorna é lo stesso che si pone quando si parla di Superlega.
All’Unione Europea oggi mancano due cose in materia sportiva
un sistema di giustizia sportiva autonomo, dentro il quale esistano orientamenti specifici e dedicati, perché non tutto
l’identificazione - che é il prerequisito per definire le regole al punto precedente - del portatore di interesse principale (o centrale) quando si tratta di normare il mercato sportivo.
E questo interesse - a mio giudizio - non può essere quello individuale dell’atleta, né quello dei club portatori di interessi particolari, ma quello delle Leghe, intese come libere associazioni in grado di comporre interessi naturalmente orientati alla maggiore competitività e competizione possibile.
In questo - si lo so, mi ripeto - fa scuola il modello professionistico americano.
Il Psg e il Manchester City sono due cose diverse
(questo capitolo in versione podcast qui: Spotify e Apple Podcast)
Quando nei giorni scorsi ho provocatoriamente twittato che “quando perde il Psg vince il calcio”, alcuni hanno voluto rispondermi che lo stesso vale per il Manchester City.
Preferisco sorridere e derubricare questi commenti a banali provocazioni nei miei confronti, visto che é nota la mia simpatia per i cityzens, che in realtà ha radici musicali e risale al 1994, anno di Definitely Maybe, primo album degli Oasis.
Dovessi fare diversamente finirei per tirare in ballo fastidiosamente uno strisciante sentimento anti-arabo o peggio ancora razzista, che frequentemente si avverte sui social, perché in fondo i due club hanno solo questo in comune: essere di proprietà di fondi con base operativa nel Golfo Persico.
Per il resto, senza pretendere che chiunque abbia ben in mente la distinzione tra Qatar e Emirati Arabi Uniti, paesi politicamente distinti e distanti - pur con enormi problemi sociali interni più volte denunciati da Amnesty International, sui quali é bene non tacere mai - una analisi puramente sportiva dei due fenomeni ci dice di due realtà assai diverse, praticamente all’opposto.
Non vi é dubbio, per l’osservatore minimamente attento, che il Manchester City rappresenti un modello organizzativo - operativo d’avanguardia a differenza del Psg.
ha avuto solo 3 allenatori nell’ultimo decennio, contro i 6 dei parigini
si é affidato a 2 dirigenti (Soriano - Begiristain) ormai da dieci anni nel loro ruolo e ad un modello (quello catalano) che investe molto nel settore giovanile mentre il Psg ha ruotato svariati direttori sportivi nello stesso lasso di tempo (Leonardo, Letang, Kluivert, Henrique, Leonardo 2, Campos) senza mai una chiara struttura in termini di organigramma.
é stato il club più stabile per impiego di calciatori nelle top 5 leghe mondiali (47 soli giocatori schierati nell’ultimo quinquenniio, 84 nell’ultimo decennio) a dimostrazione di una programmazione tecnica di prim’ordine, nel campionato più difficile del mondo, mentre il Psg, in Ligue1 (evitiamo paragoni ok?), ha ruotato ben 80 giocatori negli ultimi 5 anni e 115 nel decennio, risultando ben 11esima nel proprio campionato.
sul mercato inoltre si può registrare che il Psg - in una recente ricerca del CIES sulle rose 2022/23 e la loro valutazione - ha al momento un saldo negativo tra spesa effettuata e valore attuale dei calciatori pari a 162 milioni di euro (ovvero la loro svalutazione, o in altre parole l’eccesso di spesa rispetto al valore tecnico del singolo), contro i 23 milioni del Manchester City, che fanno dei cityzens la terza squadra di Premier League che ha investito meglio nei suoi giocatori (solo Brighton e Tottenham, che hanno visto una rivalutazione dei loro giocatori hanno fatto meglio in Premier League).
Se infine non si può proprio evitare di citare gli aspetti economici, mi pare bene evidenziare in particolare due dati.
le famose sponsorizzazioni, grande pietra d’inciampo del dibattito sui club e le loro entrate, vedono il Psg incassare più del ManCity (360M vs 350M), nonostante la differenza attrattiva tra le leghe in cui questi club giocano (che rappresentano sempre nella migliore delle ipotesi il 70% delle partite stagionali di un club)
il monte stipendi vede il Psg spendere 690 milioni di euro con il più alto monte ingaggi europeo, ovvero 200 circa in più del Real Madrid (495M), secondo in Europa in questa voce, mentre il Manchester City (400M) é sesto in Europa e terzo in Premier League dietro a Manchester United e Liverpool.
Si può insomma questionare fin che si vuole sulla illiceità degli sponsor del Manchester City, che ad oggi nessuno ha dimostrato a livello legale, e che potrebbero aprire anche un dibattito rispetto alla ammissibilità di un certo tipo di norme che vogliono indagare tra i legittimi rapporti tra diverse società con interessi di mercato, ma non vi é dubbio sul fatto che il club di Manchester - ovvero il più titolato d’Inghilterra nell’ultimo decennio - é entrato in una competizione (la Premier League) in cui, una volta pareggiati gli altri club per entrate li ha surclassati sul piano sportivo, mentre il Psg gioca in una lega sua (finanziata anche televisivamente dal suo proprietario) continua a spendere come nessun altro nel calcio continentale venendo ricordata più per i numerosi insuccessi che per le vittorie scontate in un campionato che é il quinto d’Europa con largo distacco sui primi 4.
Il tutto senza questionare sugli indubbi rapporti tra la proprietà del Psg e l’Uefa, sia a livello politico che commerciale, che giustificherebbero altri cattivi pensieri. Rapporti che non risultano nel caso del ManCity.
Riflessioni?
Pallavolo in crescita, uno sport da Superlega?
Qualche giorno fa ho letto con piacere la notizia della crescita dei tesserati italiani ai club di pallavolo (il blog Gazzetta Dal 15 al 25 riporta i dati Fipav che parlano di 314 mila al 28 febbraio) che in qualche modo conferma quanto dicevo nelle scorse settimane: sport come il volley hanno bisogno della promozione delle nazionali per proliferare.
Del resto i successi recenti degli azzurri sono, a detta di giornalisti più esperti di me, il principale traino del sistema volley italiano.
Allo stesso tempo, riprendendo l’altro mio spunto, laddove dicevo che sulla Superlega (intesa come Campionato sportivo di livello europeo capace di andare oltre lo specifico dei campionati nazionali e dell’organizzazione continentale su base federale) non bisogna essere fideistici ma affrontare il tema con un approccio laico, ho letto con piacere una intervista - che in verità risale a quasi 3 anni fa - a Dino Ruta, professore di Leadership & Sport Management della SDA Bocconi e direttore dello Sport Knowledge Center presso la stessa SDA, in cui si ipotizza l’idea di una Superlega pallavolistica europea strutturata in Conference e Division come l’NBA.
Un approccio, appunto, molto rispettoso di quello che questo sport rappresenta ad oggi in alcuni paesi e non in altri, e di come il talento, gli investimenti e l’organizzazione possano convogliarlo per esprimere al 100% le sue possibilità di business.
Outro
Sette anni fa, l’8 marzo 2016, moriva Gino Corioni.
Mi perdonerete l’autocitazione se per una volta il consiglio di lettura é un pezzo che scrissi in quell’occasione per Calcio e Finanza, di cui ai tempi ero coordinatore editoriale. L’ho riproposto qui anche in formato testuale e podcast.
Non troverete solamente il ricordo di colui che è stato per un ventennio il presidente della mia squadra del cuore, ma anche il mio personalissimo punto di vista su un certo modo di intendere il calcio che i presidenti come Corioni hanno interpretato tra gli anni 90 e 2000.
Noi come sempre ci risentiamo la settimana prossima.
Restiamo in contatto!
A presto