[20] Uefa, se esisti ancora batti un colpo
Ceferin apre alle multiproprietà per favorire il Qatar nella corsa al ManUnited. È l'attacco diretto ad un principio sportivo che rischia di essere scardinato in nome di pure strategie politiche.
In questo numero di Fubolitix particolarmente ricco e croccante, iniziamo con due riflessioni su Italia - Inghilterra
Uno.
La comunicazione nel calcio non è un dettaglio. Non matureremo mai collettivamente, e in maniera sportivamente consapevole, fino a che un CT a fine partita dirà cose del tipo “Abbiamo fatto un grande secondo tempo”.
Le partite durano 90’ e meritare non serve a nulla.
Nel dettaglio: non serve a nulla il presunto dominio, quando il tuo avversario avanti 2-0 abbassa (pervedibilmente) il ritmo, ti controlla e ti permette di fare 1 solo tiro nello specchio in 90’. Tirare in porta è precondizione per vincere le partite e senza le precondizioni non si fanno punti.
Certe parole aggravano solo una situazione già poco florida.
Due.
La nazionale non è stata la cosa peggiore nella serata napoletana. È stata preceduta dall’inno di Gigi D’Alessio. Che solleva un problema simbolico e identitario ben al di là del fatto musicale.
A Napoli abbiamo avuto la conferma che l’Italia è uno Stato, ma non è una Nazione.
L’inno è qualcosa in cui tutti si devono riconoscere - forse per questo si scelgono pezzi classici - e permettere di evirarlo così è un’operazione divisiva inaccettabile in molte altre parti del mondo.
Questa appropriazione indebita di un patrimonio comune, per me - per quello che può contare e pesare - è altrettanto inaccettabile. Tuttavia lo si è fatto, con leggerezza, come se fosse una cosa buona e giusta.
Buon weekend a tutti. Andiamo!
Se non lo hai ancora ascoltato ti ricordo l’ultimo episodio del podcast di Fubolitix, dedicato alla storia di Matthew Benham e del Brentford, disponibile su: Spotify, Apple, Google e Amazon.
Uefa, se esisti ancora batti un colpo
Non ha creato troppo rumore nelle ultime due settimane l’apertura di Aleksander Ceferin, presidente dell’Uefa, alla presenza di due club con lo stesso proprietario nella stessa competizione organizzata dalla federazione europea. A partire naturalmente dalla Champions League.
C’è naturalmente un che di anti-sportivo nell’idea che uno stesso proprietario possa controllare due club che competono tra di loro, e questo non credo vada troppo spiegato. Al di là del principio, poi, il tema diventa se possibile ancor peggiore se questo proprietario è qualcuno che proviene da paesi illiberali non troppo allineati al diritto per come lo intendiamo in Europa.
L’Uefa potrebbe così scavalcare clamorosamente la nostra Figc, che in maniera non particolarmente facile un anno fa ha imposto a Claudio Lotito la cessione della Salernitana e che presto potrebbe trovarsi in una posizione simile con Napoli e Bari entrambe nel portafoglio di Aurelio De Laurentiis.
La mossa - e questo è il lato peggiore sul piano politico - rappresenta una evidente invasione di campo in un momento particolarmente delicato in cui la proprietà del Manchester United sta trattando la cessione a un fondo del Qatar o in alternativa all’imprenditore mancuniano Jim Ratcliffe. Anche se al momento entrambe le offerte non soddisfano ancora le richieste dei Glazers.
Naturalmente Ceferin afferma che non è quello il problema - dice di aver avuto altri 5-6 casi senza fare i nomi - e apre alla revisione delle regole.
Parlando con il Times di Londra, Ceferin ha evocato ogni scenario, ma sul piano politico le sue parole di non chiusura hanno un peso enorme.
Il presidente Uefa ha suggerito che due club con lo stesso proprietario potrebbero competere correttamente nella stessa competizione:
«Da un certo punto di vista è vero che se sei il proprietario di due club che giocano nella stessa competizione puoi dire a uno dei due di perdere perché vuoi che vinca l’altro. Ma per te, come calciatore, pensi che sia così facile fare così, dire a un allenatore, perdere la partita perché l’altro vuole vincere?».
L’Uefa, va ricordato, ha dato il via libera ad un’altra multiproprietà che è stata al centro dell’attenzione negli scorsi anni, ovvero quella della RedBull che controlla Lipsia e Salisburgo, con un espediente che si rifà ad un cavillo finanziario discutibile.
Tuttavia il fatto che sia il presidente stesso, durante un’intervista, a mettere in discussione le norme, rappresenta un attacco diretto ad un principio sportivo che rischia di essere scardinato in nome di pure strategie politiche.
E il metodo (l’intervista) ha tanto il sentore di strategia messa in atto da chi vuole tastare il terreno per capire l’effetto che fa. Ad oggi non risultano parole di opposizione alle idee da lui paventate.
Il tema, infine, aggiunge un punto a quel che dicevo nelle settimane scorse - e che ho registrato in un podcast - sul fatto che il Manchester City e il Psg sono due cose diverse di cui è bene conoscere le differenze e le distanze.
L’incredibile portafoglio di Shaq
Shaquille O’Neal ha recentemente investito in una società chiamata TMRW sport. Tra i founder di questa realtà troviamo Tiger Woods e tra gli ultimi investitori Dwyane Wade (ex Miami Heat) e Kevin Durant (attualmente ai Phoenix Suns).
In attesa di capire se anche questa volta Shaq abbia visto bene, confermandosi clamorosa macchina da soldi ben investiti, è doveroso menzionare alcuni investimenti di successo fatti in questi anni dall’ex Orlando Magic e Los Angeles Lakers, quasi sempre fedele al suo motto: “Investi in qualcosa che cambierà la vita delle persone”. Li ha ripresi il sempre utilissimo Andrew Petcash.
Nel 2016, Shaq ha rintracciato il fondatore di Ring (società specializzata in telecamere di sicurezza) e ha investito per una valutazione di $ 200 milioni. Amazon ha acquistato Ring nel 2018 per 1 miliardo di dollari.
Shaq è stato uno dei primi investitori sia in Muscle Milk che in Vitamin Water. Coca-Cola ha acquisito Vitamin Water per 4,2 miliardi di dollari nel 2007. Hormel ha acquisito Muscle Milk per 450 milioni di dollari nel 2014. Shaq ha quadruplicato il suo investimento in entrambi.
Anni fa ha venduto i suoi diritti d’immagine per una partecipazione nella agenzia Authentic Brands Group che detiene tra gli altri i diritti di immagine di Reebok, JCPenney e Sports Illustrated. Ora è il secondo maggiore azionista di ABG, che è prevista per l'IPO nel 2024.
Infine (ma in realtà sarebbe meglio dire “in origine”) ha investito nella serie A di Google con una valutazione di $ 100 milioni (ora vale $ 1,89 trilioni. Cosa c'è di clamoroso? Shaq Possiede ancora alcune di quelle azioni.
La Juve e le startup
Una settimana fa, come forse ricorderete, scrivevo:
Nonostante il momento di tensione sui mercati finanziari, vi è una certa effervescenza sul mercato per una serie di iniziative che sono state annunciate nelle ultime settimane in materia di sport e startup.
Oltre ad iniziative prevalentemente americane evidenziavo come in Italia esista il Wylab di Chiavari, nato proprio per valorizzare nuove idee imprenditoriali nello sport.
E nei giorni scorsi l’ad di Wylab, Federico Smanio, ha ufficializzato la partnership tra la realtà da lui guidata e la Juventus, in particolare con WeSportUp accelerator, che è la parte più consulenziale di Wylab che si occupa di accompagnare le startup nella loro crescita.
L’obiettivo viene spiegato così dallo stesso Smanio: I vantaggi per le startup che partecipano al programma sono evidenti: entrare in contatto con il management di Juve, accelerare lo sviluppo della propria idea e il go-to-market, ottenere feedback e validazione con un top player verticale.
Quelli per Juventus sono altrettanto concreti e importanti: stare al passo con le nuove tendenze in ambito sport-tech e scoprire le tecnologie e le soluzioni emergenti prodotte da centinaia di startup in Italia e nel mondo. Acquisire e sviluppare nuovi prodotti e servizi con ambiti di applicazione che abbracciano le aree tecnico-sportiva e business-corporate. Entrare in contatto con team di grande valore e acquisire nuove competenze in ambito di innovazione e business.
Non siamo ancora all’hub proprietario (caso Barcellona) ma è evidente che sul tema anche la Juventus, che sul piano industriale continua a rappresentare la realtà maggiormente all’avanguardia del nostro calcio, è sul pezzo.
E per questo ritengo utile registrare il passaggio: il come investire e reinvestire i soldi del calcio rappresenta uno snodo fondamentale per il futuro di uno sport che in molti vorremmo più sostenibile e più sociale.
Il calcio femminile tra palco e realtà
Non credo vi sia sfuggito che Roma - Barcellona di Champions League femminile ha fatto registrare il record assoluto di spettatori paganti (39.454) per una partita di calcio femminile in Italia.
Il risultato è importante e va giustamente rimarcato, e lo dico senza malizia, a prescindere dal fatto che la formula scelta (meritoriamente) dal club fosse quella di offrire la partita gratis agli abbonati alla Roma, chiedendo invece 5 euro per il biglietto singolo ai non abbonati.
Tuttavia, come sempre in questi casi, è bene capire di cosa si parla e ricondurre il tema nel suo giusto alveo se si vuol fare una analisi reale sulle potenzialità di questo sport nel nostro Paese in termini di business (ovvero di sostenibilità).
Il record precedente era di Juventus - Fiorentina a 39.027 presenze (non paganti).
E già questo dice qualcosa visto che stiamo parlando di prezzi inferiori al prezzo di una partita di Prima categoria.
In un thread su Twitter ho espresso il mio pensiero.
Continuo a pensare che sia meritorio per i grandi club investire nel calcio femminile. Sono anche conscio del fatto che se si vuol costruire un seguito stabile sia inevitabile perdere all’inizio per guadagnare in futuro.
Tuttavia nella vita faccio il giornalista e mi è stato insegnato che la prima cosa è chiamare le cose con il loro nome.
Detto in tutta onestà credo che il tema non cambierebbe di una virgola se anziché spendere per il calcio femminile i club si strutturassero come polisportive e promuovessero altri sport in grado potenzialmente di riscuotere più successo.
Nel marketing si chiama strategia oceano blu e spiega come per creare business sostenibili sia consigliabile esplorare campi nuovi anziché andare verso mercati già altamente concorrenziali.
Continuo quindi a considerare l’attuale euforia che circonda il calcio femminile al pari di una vera e propria bolla (molto piccola e che non ferirà nessuno in caso di scoppio, ma pur sempre una bolla) soprattutto a livello culturale, in un paese storicamente più portato verso altri tipi di sport, come ad esempio la pallavolo, che a livello femminile vanta al momento un oro europeo, un bronzo mondiale e una nations league vinta nell’estate 2022 e una storia di pratica e vittorie a livello di club ben più gloriosa.
Non è un caso, del resto, se la grancassa come sempre accade in questi casi, finisce di suonare quando si deve passare dal banco e chiedere investimenti.
È notizia di qualche giorno fa - riportata da Calcio e Finanza - che per le partite delle nazionali giovanili e femminili la Rai abbia proposto alla Figc un contratto al ribasso del 50% rispetto al passato che ha imposto alla Federazione di considerare l’autoproduzione delle stesse gare.
Una scelta, quest’ultima, che peraltro riporta nel dibattito un argomento di cui parlavo in una delle prime newsletter, ovvero il concetto di servizio pubblico. E che ho sintetizzato così in un altro tweet.
Le radiocronache di Serie A
A fine mese la Lega serie A deciderà sul progetto di creare una radio sulla Serie A.
Oltre a quanto riportato da CF, da quanto risulta una delle questioni maggiori per valorizzare questa idea riguarda il fatto che la suddetta radio non potrebbe trasmettere alcuna telecronaca delle partite di campionato, i cui diritti sono detenuti dalla Rai.
Sul tema vi è un interessante retroscena che suona come clamoroso autogol.
Da qualche anno alcuni siti di risultati sportivi hanno aggiunto ai loro servizi anche le radiocronache delle partite, fatte per lo più da casa da giornalisti o aspiranti tali davanti alla tv.
Queste cronache sono state giudicate ammissibili da Premier League inglese, Bundesliga tedesca, Liga spagnola e Primera Liga portoghese, ma non dalla nostra Serie A che - legittimamente - ha voluto così difendere il valore dei diritti pagati dalla Rai. È per questo che i suddetti siti offrono le radiocronache ad esempio delle italiane in Europa ma non della Serie A.
Il cavillo è semplice: tutte le leghe europee tranne la Serie A non considerano “diretta” le suddette radiocronache per il fatto che l’audio arriva con circa 40-50 secondi di ritardo. E quindi ad esempio la Premier League viene di fatto trasmessa da loro gratis.
Una eventuale apertura, quindi, per la propria radio ufficiale, potrebbe portare a quel punto a riaprire sul piano legale una questione che nessun altro fin qui ha posto. Una chiusura invece indebolirebbe la posizione della radio stessa in termini di offerta di contenuti.
Il fuoriclasse (in una diversa prospettiva)
Merita una lettura un recente pezzo di Goalimpact che spiega il valore in campo di Thomas Müller. Il giocatore del Bayern Monaco, che personalmente considero un “universale offensivo” perché il suo ruolo sfugge a qualsiasi definizione molto più di altri, è stato a lungo il primo calciatore al mondo nel ranking calcolato sulla base dell’indice Goalimpact che misura quanto un calciatore influisce nella capacità della sua squadra di segnare e vincere le partite.
Un dato grezzo ma che ci rivela un approccio se vogliamo molto tedesco all’idea generale che abbiamo del calcio. E l’idea è molto semplice: si tratta di uno sport di squadra e quindi il “migliore” dovrebbe essere colui che fa segnare e vincere a prescindere dalla bellezza del gesto.
Il che non vuol dire negare le ragioni di chi nel calcio vede pura poesia, ma piuttosto inquadrare il fenomeno sotto una visuale diversa, utilitaristica e poco poetica, se volete ma di certo concreta e difficilmente contestabile in sè.
Che poi è il bello dello sport e del calcio in generale: saper rappresentare inclinazioni diverse e la natura umana dentro le sue mille sfaccettature.
Outro
Questa settimana ho ben due consigli. Di lettura e ascolto.
Il primo è del solito Michele Spiezia che ha raccontato il 23 marzo 1980, giorno in cui scoppiò in Italia lo scandalo del calcio scommesse: “Il pallone sporco nell’Italia di piombo”.
Paolo Casarin sta facendo la doccia nel suo spogliatoio. Bussano alla porta, è Dino Viola. Il presidente della Roma. E’ bianco come un lenzuolo, l’arbitro fa entrare e gli chiede: «Presidente, avete vinto, che succede?». Un attimo, un respiro. Al solito tagliente, il presidente giallorosso sibila soltanto. «Signor Casarin, qui è la fine del calcio, è appena entrata la Finanza negli spogliatoi».
Un pezzo da gustare con attenzione, come spesso mi capita leggendo StorieSport, in cui l’immagine qui sopra, delle auto della polizia sulla pista dell’Olimpico, fa da momento evocativo in cui per la prima volta il Paese ha visto il mondo reale e quello del calcio entrare in collisione. E che da molti venne vissuto - forse a ragione - come nelle parole di Dino Viola, come “la fine del calcio”.
Il secondo è un po’ diverso dal solito. Nella mia personalissima lista di podcast a cui sono affezionato non posso non includere Il Mondo, realizzato dai redattori del settimanale Internazionale, che ogni giorno racconta le notizie più rilevanti oltre confine.
Tra queste nelle ultime settimane c’è stata quella dell’allontanamento (trattandosi di freelance non si può parlare di licenziamento) e successivo reintegro di Gary Lineker dalla BBC, dopo che l’ex centravanti della nazionale inglese capocannoniere di Messico ‘86 (che lavora come presentatore per Match of the Day, la Domenica sportiva britannica), aveva espresso critiche nei confronti del Governo su Twitter.
L’approfondimento di John Foot merita di essere riascoltato.
Il link è ad Apple, perchè questa è la piattaforma che uso io, ma naturalmente trovate lo stesso podcast anche sulle principali piattaforme alternative.
Noi ci sentiamo la settimana prossima.
Restiamo in contatto.
A presto!!!