[21] Superlega, per i club una questione di sopravvivenza
Società e calciatori incatenati al satrapismo federale: i Mondiali per club saranno 2, con benedizione di quel che resta dell'Eca, dal '24 stagioni da 70 partite. Senza scissione sarà la fine.
La pausa delle nazionali rappresenta da sempre un momento di fermento politico nel mondo del calcio, essendo spesso designata per annunciare mosse strategiche.
Quella di fine marzo non ha tradito le attese, con almeno quattro eventi che l’hanno caratterizzata.
Uno.
Nei giorni scorsi la FIFA presieduta da Gianni Infantino e la European Club Association (ECA) presieduta da Nasser Al-Khelaifi (che guida anche il Paris Saint-Germain) hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) che propone la creazione di una joint venture per favorire la commercializzazione della prevista Coppa del mondo per club Fifa a 32 squadre.
Il nuovo mondiale per club sarà di fatto co-organizzato dai club e dalla FIFA. Ma qui viene il bello.
Le due organizzazioni hanno firmato il protocollo d'intesa, che durerà fino al 31 dicembre 2030, in occasione della 29a Assemblea generale dell'ECA a Budapest, in Ungheria.
L’Eca non è nuova a operazioni simili: con l’Uefa fondò Uefa Competitions Sa, che organizza le coppe europee e ne gestisce gli introiti (ne scrissi nell’agosto 2016). Ma in quel caso si trattava di una partecipazione societaria mentre qui (in attesa di saperne di più) l’impressione è che si tratti di una partnership vincolata alla leadership politica di Al-Khelaifi.
Due.
Le parti hanno anche concordato un aumento delle quote di rilascio della Coppa del Mondo dei club da 209 milioni di dollari a 355 milioni di dollari per i tornei del 2026 e del 2030 e si sono impegnati a lavorare insieme per proteggere il calendario internazionale esistente (ovvero quello delle pause nazionali cosí come le conosciamo).
L’aumento dei premi del 70% ha fatto notizia in quanto tale, ma in pochi hanno sottolineato che in realtà nel 2026 e nel 2030 il mondiale avrà 48 squadre, ovvero il 50% in più, e che quindi di fatto si tratta di un incremento poco più che proporzionale con, di fatto, una quarantina di milioni in più da distribuire. Noccioline. A fronte, bene ricordarlo, dell’utilizzo dei calciatori che i club continuano e continueranno a pagare senza batter ciglio, prestandoli alle nazionali.
Tre.
Passetto indietro, al 14 marzo scorso.
Chi pensava che il Mondiale per club quadriennale avesse anche il compito di mandare in soffitta l’attuale Mondiale annuale rimarrà deluso: i Mondiali per club saranno due.
L’organo di governo del calcio mondiale ha annunciato che «poiché l’attuale versione del Mondiale per Club FIFA verrà interrotta dopo l’edizione 2023 e, data la necessità espressa dalle Confederazioni che i campioni delle loro principali competizioni per club si affrontino ogni anno per stimolare la competitività, il Consiglio FIFA ha approvato all’unanimità il concetto strategico di una competizione annuale FIFA per club a partire dal 2024».
Il mondiale per club è un torneo annuale dall’esito scontato (15/18 vittorie europee, 14 nelle ultime 15 edizioni), che la FIFA organizza ogni anno in giro per il mondo, che ha preso a inizio secolo il posto della finale di Coppa Intercontinentale (ultima edizione 2004 vinta dal Porto).
Quattro.
Mercoledì 29 marzo la FIFA ha deciso di concerto con la Federazione indonesiana, presieduta dall’ex presidente dell’Inter Eric Thohir, di spostare la sede del prossimo Mondiale Under 20 previsto inizialmente da sabato 20 maggio a domenica 11 giugno prossimi. Il sorteggio si sarebbe dovuto svolgere ieri.
Alla base le proteste anti-israeliane di molti Indonesiani.
Come scrive Il Post: l’Indonesia è un paese in cui la maggioranza della popolazione è di religione islamica, e non ha alcun rapporto diplomatico con Israele per via del suo conflitto con il popolo palestinese, a sua volta per grandissima parte di religione islamica. Quando l’Indonesia si aggiudicò l’organizzazione del mondiale Under-20, nel 2019, la squadra di Israele non si era ancora qualificata (e non era mai successo prima che si qualificasse). Nell’ultimo mese in Indonesia ci sono state varie manifestazioni di protesta contro la partecipazione di Israele, con cartelli in cui il paese veniva definito «nemico dell’Islam» e «assassino».
Lo scenario. Mentre in Europa si attende il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Ue sulla vicenda Superlega, le federazioni internazionali (Fifa e Uefa) si stanno muovendo per posizionarsi in modo da incartare il sistema in un dedalo di accordi commerciali, partnership, calendari dentro il quale sia sempre più difficile dichiarare la propria indipendenza organizzativa.
Una inchiesta di GB Oliviero sulla Gazzetta dello Sport ha evidenziato come i calendari che a inizio anni 90 contavano fino a 59 partite l’anno ora sono prossimi alle 70, senza tener conto non solo della salute dei calciatori ma anche di aspetti come lo spettacolo e la competitività.
Sono temi che a Fifa e Uefa non interessano minimamente: il loro obiettivo è attirare risorse e organizzare competizioni dalle quali incassare sempre di più, con buona pace delle dichiarazioni di facciata affini ai movimenti nazionali del calcio che dicono di voler difendere.
A metà dicembre scorso l’Avvocatura Generale della Corte Ue ha detto che l’attuale ordinamento calcistico (con particolare riferimento all’Uefa, ma di riflesso anche Fifa) non rappresenta un monopolio. Ma ha altresì invitato il sistema a indicare regole chiare per chi volesse eventualmente chiamarsene fuori.
Alla luce di quanto sta accadendo in tutto il mondo, le rivendicazioni della Superlega rappresentano un passaggio necessario per dare centralità ai club.
L’Europa non è un mondo perfetto, ma nello sport come in molti altri ambiti politico-economico-sociali, da questa situazione si può uscire solo con più Europa, perché i sistemi nazionali non hanno da soli la forza di reggere.
Lo scenario alternativo è una dittatura sportiva federale spalleggiata da paesi illiberali e interessi economico politici, per usare un eufemismo, opachi.
Intanto in Inghilterra…
Nel fatato mondo di Brexit si registrano due interessanti avvenimenti.
O meglio: due in uno.
Come riportato su Twitter da Tariq Panja del New York Times, l’amministratore delegato della Premier League, Richard Master, rispondendo ad una interrogazione parlamentale che gli chiedeva se i proprietari del Newcastle (il fondo saudita PIF) fossero sotto indagine, ha risposto di non poter commentare “perché la lega commenta solo quando vi è una formulazione d’accusa”.
Tuttavia lo stesso Panja fa notare una disparità evidente: nel 2019, quando la stessa domanda fu rivolta a proposito dell’indagine sul Manchester City, la Premier League confermò le indagini prima delle accuse.
Sul curioso gap tra il City come è e come viene raccontato vi rimando ad un mio podcast di qualche settimana fa (qui la versione Spotify, ma è disponibile anche su Apple, Google e Amazon).
La vicenda, infine, è interessante oltre che per questa nota di metodo anche nello specifico.
Il fondo saudita Pif infatti sarebbe caduto in contraddizione visto che mentre in Inghilterra si dice indipendente dalle autorità sovrane del paese arabo, in Usa rivendica (in qualità di proprietaria del tour professionistico LIV golf) il fatto di essere un’entità governativa.
La clausola rescissoria degli allenatori.
In questa pausa nazionali hanno tenuto banco anche gli esoneri. In particolare quello di Antonio Conte al Tottenham e di Julian Nagelsmann al Bayern Monaco.
Del primo ho parlato a Cose di Calcio cu Cusano Tv qualche sera fa (qui trovate l’estratto).
Il secondo invece mi riporta ad un video che avevo realizzato un anno fa sul mio canale Youtube e che torna d’attualità dopo l’esonero dello stesso Nagelsmann.
Nel video parlo - tra le altre cose - della clausola rescissoria che alcuni club hanno pagato negli ultimi anni per aggiudicarsi i propri allenatori. Il Bayern diede 25 milioni al Lipsia per avere Nagelsmann, che quindi secondo alcune stime è costato circa 65 milioni per una stagione e mezza al club bavarese, solitamente preso a modello per operazioni molto più oculate.
L’annosa questione stadi.
Il ministro dello sport, Andrea Abodi, ha parlato delle strategie in vista degli Europei del 2032 (Ansa).
Nello specifico gli ha risposto Marco Bellinazzo su Il Sole 24 Ore, che ha dedicato al tema stadi in Italia una analisi in cui dice tra le altre cose:
Tra il 2010 e il 2020 nel Vecchio Continente sono stati eretti 153 nuovi impianti per 20 miliardi di spesa … A tirare su più strutture è stata la Turchia che si è candidata più volte per ospitare il torneo continentale senza successo, ma nel frattempo ha ammodernato 28 arene. Quella Turchia contro la quale l'Italia dovrà giocarsi l'assegnazione del campionato europeo del 2032.
In Italia, come ha annunciato lo stesso Abodi nelle prossime settimane sarà varata una sorta di cabina di regia governativa a supporto della candidatura e saranno messi a disposizione 1,5 miliardi per i futuri interventi. Briciole e per di più soldi pubblici che non possono permettere una svolta.
Per il resto, il piano stadi, ha sottolineato Abodi, "deve essere varato a prescindere dagli Europei, ma è evidente che la possibilità di avere questa spinta propulsiva garantisce un impegno che diventa formale da parte del governo e quindi da rispettare per un senso dell'onore nei confronti degli impegni assunti".
Per essere ancora più chiaro Abodi ha (giustamente) scritto su Twitter che la candidatura è “molto utile, ma non può essere indispensabile”.
Dichiarazioni che hanno preceduto il buco nell’acqua fatto dal Comune di Firenze che si è visto (e la cosa non stupisce) rigettare il piano per il nuovo Franchi coi soldi del Pnrr. Contestazione scontata della Commissione Ue: “i progetti devono riguardare aree urbane degradate”. E Campo di Marte, dove sorge il Franchi, non lo è.
L’immobilismo uccide più della pirateria
La campagna anti-pirateria della Lega Calcio Serie A è legittima e incontestabile, ma non può diventare la foglia di fico di un sistema alle prese con un difficoltoso rinnovo dei contratti televisivi.
The Athletic ha recentemente dedicato un lungo articolo al tema in cui evidenzia tra le altre cose che l’Audiovisual Anti-Piracy Alliance ha prodotto a dicembre un rapporto che stima che 17 milioni di europei di età compresa tra 16 e 74 anni abbiano visto contenuti illegali nel 2021, con i più giovani come utenti più importanti.
Lo studio non si limitava al calcio in diretta, ma riferiva che l'industria dello streaming legale ha perso circa 3,5 miliardi di euro di entrate nel solo 2021, mentre la produzione di contenuti illegali avrebbe un giro d’affari da quasi 1,2 miliardi di euro.
Fenomeno europeo che crea problemi a tutti, ma non sempre esistenziali.
Fenomeno non nuovo e che non va sottovalutato. Tuttavia, attribuire alla pirateria le attuali difficoltà del nostro campionato a raccogliere quanto sperato è fuorviante e evita di parlare delle priorità. Un po’, passatemi il paragone, come quando si legava il Covid alle difficoltà finanziarie di club e leghe, ignorando i problemi di lungo periodo nati quando il coronavirus nemmeno esisteva.
La pirateria rappresenta un fatto gravissimo, danneggia le leghe sportive, ma NON uccide il calcio: per riuscirci è invece decisivo l’immobilismo di un sistema che non riesce a rinnovarsi ed a garantire i tifosi-utenti-consumatori del prodotto.
Il problema di falsi e falsari esiste pressoché in qualsiasi mercato.
Non si può certo abbassare la guardia contro la pirateria, ma questa va realisticamente considerata per quel che è: un problema endemico contro il quale il vero successo è il contenimento, non la cancellazione.
Del resto non si può dimenticare il ruolo storico (direi quasi sociale e culturale oltre che economico) della pirateria, ben sintetizzato in un passaggio del film The Social Network quando il “pirata” Justin Timberlake nel ruolo del founder di Napster (che venne chiuso proprio con l’accusa di pirateria), Sean Parker, dice:
Napster non è stato un fallimento. Ho cambiato l'industria musicale in meglio e per sempre.
Pensate forse che senza il boom degli streaming illegali oggi i grandi gruppi investirebbero nelle trasmissioni online? Semplice: no.
Perché il ruolo storico della pirateria è dimostrare che una cosa si può fare, che può funzionare e diventare un business.
Mentre il ruolo dei business ufficiali è trasformare quella cosa in aziende e lavoro.
E, ironia della sorte, spesso convertire gli ex hacker in addetti alla sicurezza.
L’immobilismo, con buona pace dei dinosauri, uccide più che la pirateria.
The numbers game
Dieci anni fa usciva “Tutti i numeri del calcio” (in originale “The numbers game” scritto da Chris Anderson e altri) divenuto libro di culto per chi vuole leggere il calcio attraverso i suoi numeri. Un libro ancora attualissimo che trovate qui.
Aldo Comi (ceo di Soccerment) ha recentemente analizzato (qui) 10 previsioni fatte in quel libro. Alcune avveratesi, altre no.
A una tengo in particolare:
La figura dell’allenatore-manager alla Alex Ferguson smetterà di esistere. Quando Arsène Wenger si ritirerà, tutti i club più importanti avranno la figura del Direttore Generale e Direttore Sportivo.
Il tema mi piace sempre: ne avevo scritto ad inizio gennaio quando di fatto tutti i club di Premier League hanno per la prima volta iniziato l’anno con un diesse in carica.
Trovo spesso esilarante come in Italia ci si riempia spesso la bocca (e le pagine dei giornali) con questa figura mitologica del manager all’inglese, attribuendo grandi proprietà risolutive a questo allargamento dei poteri dell’allenatore, quando invece fuori dall’Italia a trionfare è proprio l’italianissima figura del diesse e l’evoluzione del calcio porta alla specializzazione più che all’accentramento.
Ma si sa, agli italiani piace l’uomo forte, e poter evocare un accentramento di poteri mette in taluni sempre una certa eccitazione.
Battute a parte: Aldo Comi merita di essere letto dall’inizio alla fine.
Outro
Anche questa settimana siamo arrivati ai consigli di lettura.
Alex Čizmić è un bravo collega che cura una newsletter sul calcio africano chiamata Kura Tawila, che significa palla lunga, nel senso di lancio lungo.
Nell’ultimo numero Alex - che collabora tra gli altri con il Guardian - racconta gli abusi sessuali nei confronti di calciatrici e calciatori, spesso minorenni: un triste fenomeno che accomuna molte federazioni africane. Merita di essere letto senza altre aggiunte.
Dentro ci troverete anche altri spunti, assai interessanti se vi piace guardare alle cose del mondo e dello sport con occhi sempre curiosi.
Che poi dovrebbe essere il motivo per cui leggete ogni settimana questa newsletter? O no?
Restiamo in contatto.
A presto!