[24] Verdetto Juve: le italiane in Champions saranno decise a tavolino
Con il rinvio la giustizia sportiva si è presa il diritto di scegliere. Ma c'è di peggio: il calcio italiano è ad uno stallo che rende il polpettone indigeribile per chiunque
Di una cosa sono sempre più convinto: fino a che i tifosi saranno incentivati a interessarsi di diritto, economia, finanza e fattori extra campo, non potranno tornare a divertirsi davvero.
Non che farlo sia un male, io lo faccio da anni e continuo a trovarlo affascinante, ma farlo per quello che sostanzialmente è un secondo fine - ovvero capire come andranno i verdetti sportivi - è controproducente e sintomo non solo di un malessere ma di una malattia conclamata (nel sistema, non nelle persone).
Lo dico spesso in riferimento al Fair play finanziario, ma vale per qualsiasi altra materia sportiva in cui non si parli solo di campo.
Confesso che ultimamente per me sta diventando sempre più difficile seguire il calcio giocato.
A tutti i livelli.
In Spagna (ne parlo più avanti in questo numero) mi dicono che il Barcellona pagava gli arbitri in maniera sfacciata. In Inghilterra e Francia guardo i conti di Chelsea e Paris Saint-Germain e trovo che i parametri Uefa sono disattesi (con riflessi sulla Champions League). In Italia non so più quale classifica leggere, anche perché da qualche giorno ho una certezza, ed è che a fine anno verrà riscritta a tavolino (anche, paradossalmente, se non verrà riscritta, perché la spada di Damocle è comunque lì che pende).
Personalmente mi rifugio negli altri sport: sto seguendo basket, volley (tanto volley), pallamano, pallanuoto.
Sport che posso godere dal vivo nella città in cui abito, Berlino, e nei vari servizi di streaming tifando le squadre della città in cui sono nato, Brescia. Anche perché nel frattempo la mia squadra di calcio sta andando in Serie C, e non è un bel vedere.
Ma lo so bene che la mia passione era un’altra cosa e me l’hanno rotta.
Da giornalista dieci anni fa decisi di specializzarmi in sport business, che fu certo un’idea lungimirante, ma non è che se vi specializzate in strategie militari sarete particolarmente eccitati il giorno che scoppia la guerra mondiale.
Mettetevi nei panni di un tifoso juventino che nel gennaio scorso si è visto comminare 15 punti in classifica e che ora vede rinviare alle calende greche un verdetto che doveva essere risolutivo.
Mettetevi anche nei panni di un tifoso anti-juventino all’indomani della sentenza che ha restituito i 15 punti di penalizzazione alla Juventus, ma che sa già che a fine campionato succederà qualcosa che in un modo o nell’altro metterà i sigilli sulla stagione a prescindere dal campo.
Perché un effetto certo, quest’ultima sentenza, ce l’ha: le prossime rappresentanti di Serie A alla Champions League verranno decise in parte decise a tavolino.
Eppure a lui avevano garantito che la Juve era colpevole, che andava colpita subito. Non vi erano dubbi. Salvo poi metterci il doppio del tempo per un rinvio rispetto a una sentenza di primo grado.
Ed ora?
In settimana ho intercettato lo sdegno di un collega di Barcellona sul caso Negreido. “Ma in che mondo viviamo? Tutti possono scrivere quel che vogliono a prescindere dai fatti?” mi ha chiesto. Beh, benvenuto, non sei solo perché il corto circuito - checché ne dicano gli italiani - non è solo italiano.
Lo ripeto: fino a che i tifosi saranno incentivati a interessarsi di diritto, economia, finanza e fattori extra campo, non potranno tornare a divertirsi davvero.
Poco mi consola il vedere che questa situazione - come già scrivevo in qualche newsletter precedente - è ormai diffusa in tutta Europa.
Eppure ci sarebbe stato di che divertirsi…
Abbiamo 5 italiane nelle semifinali europee ed un derby milanese da gustare… con un piccolo particolare, fate questo gioco che ho fatto io: andate su Google immagini e cercate Milan Inter Champions.
Avrete la dimensione di quello che siamo, di quello che è il calcio.
Uno sport da boomer livorosi che parlano con la bava alla bocca di cose di 40 anni fa. Non possiamo stupirci se alla lunga nella sfida per intercettare l’attenzione dei giovani vince Fortnite.
Mi piacerebbe leggere anche il vostro stato d’animo, alla fine di queste mie riflessioni. Sono certo che uscirebbero spunti interessanti.
Tre cose sul caso Juve
Condivido il giudizio de Il Riformista:
La giustizia sportiva si conferma una barzelletta: mesi e mesi di indagini per poi tornare nuovamente… a fare nuove valutazioni, i cui esiti rischiano di arrivare al termine della stagione.
Il problema delle tempistiche - ben didascalizzato in questo pezzo da Calcio e Finanza - non è un dettaglio. Soprattutto dopo le premesse (che valgono, lo ripeto, per juventini ed anti-juventini) relative al fatto che la giustizia sportiva deve essere celere.
Uno.
La giustizia sportiva avrebbe potuto (dovuto?) scegliere un processo unico, aspettando il filone stipendi e poi emettendo a tempo debito un’unica sentenza.
Aggiungo a latere: la comunicazione e la tempistica sono fondamentali. In Inghilterra si indaga da 4 anni sul Manchester City e ci sono state due finestre di pochi giorni con indiscrezioni sull’andamento, non un continuo stillicidio quotidiano di informazioni a volte vere, a volte false, a volte tendenziose.
Al contrario, la giustizia sportiva ha voluto intervenire immediatamente, salvo sanzionare la Juve non tanto per il filone plusvalenze, ma per slealtà sportiva.
Le incongruenze della sentenza di gennaio sono emerse al punto che lo stesso procuratore generale dello sport Ugo Taucer il 19 aprile ha chiesto il rinvio alla Corte Federale e la rimodulazione.
Nessuno insomma se l’è sentita di difendere quella sentenza, come sarebbe parso naturale.
In sostanza rincorrendo la celerità si è finiti per prolungare un processo che toccherà due stagioni.
E qui arriva lo stallo perché tutto ciò ha generato un altro effetto, quello di tenere sotto scacco tutti gli altri club coinvolti nel filone plusvalenze legato alla Juve oltre a quelli di Roma e Napoli aperti precedentemente.
Evitiamo di andare oltre e limitiamoci ad affermare il minimo sindacale: la celerità non è più accettabile in un comparto industriale che ha bisogno di certezze giudiziarie.
Lo ha scritto bene anche Marco Bellinazzo (Il Sole 24 Ore), in un suo thread Twitter.
Ne va della tenuta del sistema (tutto), che già vedrà inficiare a questo punto il prossimo cruciale ciclo (quinquennio) di diritti tv.
Due.
Non è finita, quindi, ed altri elementi vanno registrati, a partire dal fatto che il nuovo procedimento della Corte d’Appello della FIGC avrà una composizione diversa da quella dell’ultima sentenza. Qui un altro bel pezzo didascalico de Il Post.
Come verrà interpretato stavolta il codice?
La sintesi migliore sull’intera vicenda - vista da ambo le parti - secondo me è nelle parole di Tiago Pinto, diesse della Roma, che si limita ad una constatazione di campo, al motivo per cui tutti, juventini e anti-juventini, devono indignarsi:
Sul rinvio della sentenza sulla penalità alla Juventus rido per non piangere. Non sono avvocato e non mi competono gli aspetti legali, ma come uomo di calcio se abbiamo giocato tre mesi con una classifica che non corrisponde è perché il meccanismo è sbagliato. Solo questo, non devo dire niente di più.
In altre parole la giustizia sportiva ha agito in tempi e modi che non hanno dato le massime garanzie di trasparenza alla competizione sportiva. Contravvenendo quindi al proprio dovere prioritario.
Tempi e modi, ancora una volta, non sono un dettaglio.
Tre.
Infine, a prescindere da quel che pensiate del presidente FIGC Gabriele Gravina (sapete che io stesso non sono tenerissimo nei giudizi), una considerazione.
Non si è sufficientemente enfatizzato a mio modo di vedere che la FIGC non si sia costituita parte civile in un processo svoltosi al suo interno.
Una cosa che normalmente viene data per scontata. Un passaggio che dice di una spaccatura clamorosa all’interno della Federazione che porta a dire che la Federazione stessa non si sente rappresentata dal proprio ordinamento giuridico interno.
Un corto circuito pericolosissimo, se non fosse che forse si era già ben oltre i livelli di guardia, a prescindere.
Antitrust e Diritti tv
Andiamo oltre. L’Antitrust ha scritto le linee guida per il prossimo bando relativo ai diritti tv.
Al di là delle considerazioni specifiche è bene capire davanti a quale complesso puzzle ci si trova.
Interesse dell’Antitrust è che sia garantita la concorrenza e che vengano applicati i prezzi più bassi possibili sul mercato (cosa che dovrebbe andare appunto di pari passo).
Interesse dei consumatori è pagare il prodotto calcio il meno possibile, e tendenzialmente pagare solo le partite che interessano.
Interesse dei club è portare a casa più soldi possibile ma soprattutto quel fatidico miliardo a stagione che rappresenta la quota psicologica di sopravvivenza.
Interesse delle tv è pagare il meno possibile, vendere più abbonamenti possibili e fare utili. Nel frattempo però ci sono realtà come Sky che hanno scoperto di essere più equilibrate e sostenibili con meno Serie A (ne parlo qui).
I corto circuiti qui mi sembrano di immediata comprensione.
Con una aggiunta: le tv in questi anni non hanno mai avuto utili in linea con gli investimenti sostenuti.
Dal 1995 ad oggi, ovvero da quando il campionato va interamente in tv, abbiamo assistito a fallimenti e fusioni: da Sky-Stream, per chi la ricorda, passando per Gioco Calcio, alla stagione di Mediaset Premium ed alla comparsa di vari altri operatori.
Fino a DAZN, che perde a livello globale più di un miliardo all’anno e ora come strategia parla di andare sul mercato inglese, il più costoso di tutti.
Insomma, quando si parla di mercato bisognerebbe anche pensare se un determinato prodotto è foriero di utili o meno. E fin qui i numeri dicono che sul calcio i broadcaster hanno più investito che incassato.
Corto circuiti, dicevamo.
Alle tv interessano le esclusive, ma le esclusive pesanti, quelle dei big match. Anni fa per Calcio e Finanza rilevai come Sky avesse investito in un pacchetto di esclusive che valevano pochissimo in termini di audience perché nel frattempo il pacchetto minore (Mediaset) aveva incluso gli 8 top team.
I tifosi sostanzialmente vorrebbero comprare solo le partite delle proprie squadre e poco altro (diciamo in generale i big match tra le primissime della classe), ma questo non piace agli altri contraenti perché crea uno sbilanciamento evidente (e mostra che il re è nudo).
Come ne usciamo?
Ancora una volta: prenderei spunto dall’NBA, che offre tutte le partite sulla sua piattaforma nella formula che si preferisce (all inclusive, squadra, playoff, mensile, settimanale, giornaliero ecc…), a prezzi davvero concorrenziali, ma poi concede in subconcessione gli stessi diritti alle emittenti che ne fanno richiesta.
In altre parole: la Lega Serie A dovrebbe smetterla di usare il canale di Lega come ricatto e, al contrario, realizzarlo una volta per tutte, dando poi i diritti per la rivendita a qualche agenzia specializzata sia a livello nazionale che estero. Ma questo significa investire e rischiare, due termini mai di moda tra la maggior parte dei presidenti dei club professionistici italiani.
Giustizialismo spagnolo
Luis Maryniok è un mio collega spagnolo di origine venezuelana (lavora con me a OneFootball) che questa settimana ha fatto un interessante post su un blog da lui curato sul caso Negreira.
Per chi non lo sapesse si tratta dello scandalo secondo il quale i blaugrana avrebbero pagato un ex arbitro al vertice dell'equivalente spagnola dell’AIA (la CTA) traendone aiuti sul campo secondo l’accusa. A cui il club risponde affermando che il rapporto sarebbe stato una consulenza alla luce del sole con ben altri contenuti tecnici.
Lo riporto perché mi piace analizzare in ogni processo di questo tipo non solo l’accusa ma anche le ragioni della difesa.
Luis l’ha chiamata “guida spirituale per i tifosi del Barcellona”, l’ha scritta sotto forma retorico interrogativa, e non è difficile scorgere nel suo metodo e nel tentativo il grido di chi si trova accerchiato per ragioni che recentemente abbiamo intravisto in tante situazioni legate ad altri club (mi vengono in mente ad esempio gli attacchi al Manchester City in Inghilterra, per citare un caso).
Ci sono interessanti riflessioni non solo sul sistema giudiziario e sul caso specifico, ma anche sulle prese di posizione dei giornalisti.
Lascio a voi la lettura dell’intero pezzo (in spagnolo, ma facilmente traducibile) mentre mi limito qui a tradurre e riportare i tre passaggi che mi sembrano più rilevanti.
Nel suo lavoro nel Comitato tecnico degli arbitri, Negreira non aveva alcun potere sull'assegnazione, promozione o retrocessione degli arbitri e le sue funzioni erano altre. Era uno dei tre vicepresidenti del CTA e, secondo l'articolo 29 della RFEF, non aveva poteri che gli consentissero di modificare il concorso e non vi era nemmeno incompatibilità per lui per fornire servizi di consulenza.
È vero che Negreira non riceveva uno stipendio dal CTA e non aveva alcun rapporto contrattuale con l'organizzazione? Se vero, ciò potrebbe indicare che non vi era incompatibilità per consigliare altre società?
È vero che molti titoli parlano di un pagamento di 7,5 milioni di euro alla società di Negreira da parte del Barça, omettendo di specificare che questi pagamenti sono suddivisi in 17 anni? Se quanto sopra è così, questa omissione indica l'intenzione di "disinformare" o "indignare" da parte di questi media?
È vero che la stampa generalmente si riferisce a Negreira come "il secondo del CTA" o "il numero due degli arbitri" nonostante fosse appena uno dei tre vicepresidenti del CTA? La stampa deduce in questo modo che Negreira avesse più potere di quanto ne avesse in realtà? Se quanto sopra è così, questa omissione indica l'intenzione di "disinformare" o "indignare" da parte di questi media?
È risaputo che il Tesoro e la Procura non hanno prove che il Barça abbia "comprato" gli arbitri, ma anche così giornalisti, comunicatori e media legati al Real Madrid parlano categoricamente e ogni giorno in termini di condanna. Se è così, questi comunicatori hanno autorità e titolarità sufficienti per commentare questo argomento?
Non c'è stata alcuna sentenza contro il Barça e in Spagna vige il concetto di presunzione di innocenza. Se è così, si potrebbe pensare che ci sia stata impazienza da parte della stampa e del mondo del calcio di condannare prematuramente il Barça?
La seguente valutazione è corretta? È stato riportato nella maggior parte dei media che il Barça ha fatto "regali agli arbitri", mentre è stato omesso (o non è stato dato lo stesso spazio o risalto) che si tratta di una pratica svolta da tutte le squadre di prima divisione in Spagna. In caso affermativo, ciò indica una gestione distorta delle informazioni?
Non so chi abbia ragione nel caso Negreira, ma dopo queste puntualizzazioni, l’intera vicenda assume contorni un po’ diversi. Non trovate?
Sport e Startup
In una intervista su StartupItalia il ceo di WyLab, Federico Smanio, parla dello scenario italiano delle startup sportive.
E dice tra le altre cose:
Nel nostro Paese si investe meno, siamo stati 25esimi a livello globale per 5 anni e siamo 20esimi nell’ultimo anno, con 37 milioni di euro investiti in startup in Italia nello sport lo scorso anno E anche i settori di interesse si invertono rispetto alla tendenza globale: il 55% degli investitori italiani premia le startup che si occupano di performance, il 25% di fan experience e la restante parte di organizzazione. In generale, le startup italiane sono più propense a creare software e piattaforme di gestione mentre scarseggiano quelle che si occupano di fan experience.
Vi invito a leggerla qui per intero, gli spunti sono davvero molti ed assai interessanti.
Calcio giocato e media
Forse qualcuno di voi ricorderà “Campioni” il programma in cui il Cervia di Ciccio Graziani circa 20 anni fa doveva scalare le categorie del calcio italiano. In questi ultimi anni gli esempi di club nati da questa commistione altamente invasiva della narrazione nella vita di una società di calcio sono stati diversi.
E dico “altamente invasiva” come dato di fatto, non come giudizio positivo o negativo della dinamica.
Personalmente cito Hashtag United e Vinsky, due club (uno inglese e uno francese) che nascono e crescono su Youtube, raggiungono importanti risultati in termini di ricavi e visibilità più che sportivi.
Presto tuttavia potrebbe esserci un caso ancor più eclatante visto che il Wrexham, acquistato anni fa da due personaggi di Hollywood con l’obiettivo di crearne un caso da fiction (trovate il documentario su Disney+) è ad un passo dalla promozione nel calcio professionistico inglese.
Non è tutto oro ciò che è Premier (parte seconda)
Una settimana fa scrivevo che “non è tutto oro ciò che è Premier”, raccontando le tensioni finanziarie che possono toccare Chelsea e Liverpool nella prossima stagione quando non giocheranno la Champions League.
Nel caso del Liverpool ad esempio nell’era Klopp sono stati incassati 560 milioni di euro dalla C1, frutto di 6 partecipazioni consecutive.
Nel frattempo va registrato che dopo il Liverpool, che dopo essere stato messo in vendita ha corretto il tiro con il gruppo Fenway a dichiarare di essere in cerca di investitori per quote di minoranza, anche il Manchester United non pare in dirittura d’arrivo per la cessione, e i Glazers starebbero anch’essi pensando a finanziatori di minoranza non essendo soddisfatti dalle offerte ricevute fin qui.
Daniel Levy invece ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna reale offerta per il Tottenham, mentre Calcio e Finanza scrive che in caso di retrocessione Andrea Radrizzani (presidente del Leeds) vedrà deprezzarsi il suo club (già ceduto, si aspetta solo di conoscere la prossima categoria per il closing) di 300 milioni.
Torna insomma un tema poco dibattuto ma secondo me di grande rilevanza.
Il sistema Premier League che ha favorito la crescita esponenziale del valore dei club negli ultimi 30 anni sembra essere ad un bivio.
I margini di crescita non sono più così alti e nel frattempo il rischio di svalutazione (retrocessione) rimane altissimo. Prima o poi una riflessione sulla lega chiusa all’americana qualcuno la dovrebbe fare, con buona pace del Governo inglese che recentemente l’ha di fatto vietata.
World Cup Under 20 in Argentina
Dopo il forfait dell’Indonesia, costretta a cedere l’organizzazione del mondiale Under 20 a causa di proteste anti israeliane verificatesi dopo la qualificazione di Israele al torneo, la FIFA ha deciso di giocare il Mondiale Under 20 in Argentina.
Mi pare una notizia interessante soprattutto perché l’Argentina, con Uruguay, Cile e Paraguay, è in corsa per il Mondiale 2030, e non credo che un tale soccorso alla FIFA non abbia in prospettiva un suo credito politico da incassare nel medio periodo.
Outro
La segnalazione di questa settimana riguarda un articolo di Lorenzo Longhi (autore che già vi avevo segnalato in passato nella newsletter) che su Treccani.it si chiede Hanno ancora un senso le Nazionali nello sport?
A ben guardare, infatti, le selezioni nazionali odierne, in tutti gli sport, non sono più espressione del genius loci o di particolari scuole sportive: nel mondo globalizzato e nello sport delle frontiere aperte (per i ricchi, come gli sportivi d’élite), il potere attrattivo dei denari di qualsiasi origine dirige la carriera degli atleti in questo o quel campionato europeo, statunitense o asiatico, portandoli nel tempo a contatto con una varietà di stili, allenamenti, allenatori, compagni e avversari che ne ha reso gli approcci più simili e amalgamabili. Sono, insomma, meno diversi gli uni dagli altri di quanto non fossero i loro predecessori, e ciò si riverbera su selezioni nazionali nelle quali è difficile scorgere quell’identità tecnica che si poteva riconoscere alcuni decenni fa e oggi è del tutto sfumata.
Buona lettura! Noi ci sentiamo la settimana prossima.
Restiamo in contatto!
A presto.