[36] In cosa investe, chi investe nello sport
A tutti i livelli il modello europeo non garantisce sufficientemente gli investitori. Serve un modo diverso di guardare allo sport, anche per fare in modo che molti capitali non escano dal sistema.
Qualche giorno fa un amico - che nella vita fa il consulente finanziario, e sulla cui scrivania a volte arrivano progetti di vendita o acquisto di società sportive (calcio in particolare) - mi ha fatto notare una cosa interessante.
Gli investitori (soprattutto italiani, non solo internazionali) oltre a volere l’investimento nel calcio vogliono l’investimento immobiliare. Il tema diventa talmente preponderante, anche per la tempistica, che a volte non si capisce se la priorità è una società di calcio o un progetto immobiliare.
Per la mia esperienza spiego che gli investimenti che hanno senso sono su strutture già esistenti in cui devono esserci delle agevolazioni pubbliche importanti che incentivano ad agire e velocizzano le operazioni.
Altrimenti - in Italia - si va incontro solo a buchi neri che fanno perdere tempo e ritorni economici nel breve medio periodo.
Ci sono alcuni aspetti che secondo me meritano di essere approfonditi.
Perché gli immobili?
La volatilità del valore di una società di calcio è altissima. Lo è per le più strutturate (si vedano le quotazioni di Borsa) che sono anche quelle col patrimonio immobiliare più importante. L’ex CFO di una società di calcio di Serie A tra le più in vista recentemente sosteneva “settore giovanile e parte immobiliare sono due buchi neri nel medio breve periodo, il resto è pura retorica”.
A maggior ragione quindi lo è per quelle che ogni anno sono esposte al rischio retrocessione, che come mostrano i numeri finisce spesso per flirtare con il rischio fallimento.
La necessità quindi di strutturarsi con un patrimonio fatto non solo da titoli sportivi ma da beni durevoli è evidente.
Oltre la retorica…
Detto questo, in Italia negli ultimi anni (al netto delle difficoltà realizzative) si ripete come un mantra che “lo stadio dev’essere di proprietà”. Il che banalizza e semplifica una realtà diversa.
Ok, una società deve avere uno stadio e poterne disporre, ma il come non è un dettaglio.
Pensare ad uno stadio da fare ex novo è diverso che intervenire (come giustamente fa notare l’amico sopra) su una struttura esistente, ed ancor più diverso dall’intervenire ad esempio con una gestione a 360 gradi su stadi già pronti.
In Inghilterra capita ad esempio a Manchester City e Newcastle, il cui stadio è comunale ed è stato dato in concessione ai club che detengono ampi poteri di indirizzo (finanche la ristrutturazione e la costruzione di intere tribune in base alle proprie esigenze) sulle strutture.
Il punto quindi è: “Stadio, ok: ma quando diventerà redditizio? Quando finirai di pagarlo?”
A difesa del valore.
Al di là dei pro e dei contro, e degli errori di approccio che possiamo notare, rimane un tema di fondo: la necessità di dare più solidità patrimoniale ad una società che ha come attività principale quella sportiva.
Ed allora a tal proposito emerge in tutta la sua inadeguatezza il sistema sportivo europeo contemporaneo che espone gli investitori a rischi altissimi rispetto ad altrove. Ovvero il rischio retrocessione, che da un anno all’altro taglia completamente i ricavi di un club.
E per altrove intendo naturalmente dove esistono titoli sportivi stabili (franchigie) che permettono di separare investimento e parte sportiva, mettersi al riparo dai rischi retrocessione, programmare a medio lungo termine, crescere, creare valore.
E quindi come mai sono in costante aumento i fondi che vogliono entrare nel calcio?
Parliamo di USA, ovvero il paese dal quale arrivano capitali finalizzati all’utile, ovvero che hanno un interesse economico trasparente, e tralasciamo quelli (ad esempio gli arabi, in precedenza i cinesi) che approcciano con un atteggiamento ibrido (frutto di strategia che nasce soprattutto dalla politica) e non sempre trasparente.
In un suo post di qualche settimana fa Andrew Petcash (Profluence.com) individuava - dal suo punto di vista fortemente orientato al mercato statunitense - cinque trend attuali in tema di investimento sportivo:
Fondi sovrani, giganti del capitale di rischio, banche di investimento e gruppi familiari che hanno reso il settore più sofisticato.
I flussi di capitale guardano oltre le tradizionali risorse del team: immobili, diritti di trasmissione, sponsorizzazioni, scommesse e joint venture internazionali.
La diversità degli investimenti è oggi più grande che mai, con le leghe emergenti che spuntano ovunque.
Il grande capitale comincia a mostrare interesse per gli sport femminili, che stanno diventando sempre più popolari.
Gli sport si stanno spostando a valle grazie alla legislazione NIL (quella legata a naming, images, likes, ovvero la gestione dell’immagine dei giocatori di college che prima non avevano la possibilità di monetizzare la loro attività) e le principali leghe stanno investendo denaro sia orizzontalmente che verticalmente nell’ecosistema.
In generale mi pare che lo sport europeo stia apprezzando questo movimento solo marginalmente. A parte il punto 1, con l’evidente crescita del mercato che ha attratto fondi arabi e statunitensi, il resto è piuttosto confuso.
In particolare:
non vi è traccia del punto 3 (leghe emergenti) perché al di là di alcune operazioni come quelle del fondo CVC con la Liga (lo stesso fondo che voleva partecipare alla Serie A) ad oggi il modello delle leghe come emanazione delle squadre (e non viceversa, ovvero il modello delle franchigie) pone questi investimenti in una zona d’ombra non ancora chiarissima nei risvolti e negli esiti finanziari.
il punto 4 (sport femminili) riguarda esclusivamente il calcio e si configura come investimenti minori dei club già forti, non vi è alcuna creazione di nuovo valore.
il punto 5 (diritti d’immagine degli sportivi minori) sconta l’incapacità del sistema di produrre valore, perdendo quindi il senso stesso dell’operazione.
Il problema è il solito: la disponibilità ad investire nello sport si riduce moltissimo se il valore che viene prodotto non gode di alcuna garanzia di stabilità nel tempo.
Se domani faccio una squadra di pallamano e porto il titolo mondiale nella mia città, con tutta probabilità quando io smetterò nessuno raccoglierà il mio testimone. E questo perché il sistema sportivo (qualsiasi sistema sportivo) non ragiona nell’ottica della creazione di un valore che poi possa essere mantenuto nel tempo. Semplicemente arriverà qualcuno al mio posto che vincerà al mio posto. Altrove.
Mancano, in altre parole, le piattaforme sulle quali costruire Leghe sportive vincenti. E quando parlo di piattaforme intendo regole economiche interne e infrastrutture legali e legislative esterne (che a questo punto per quanto ci riguarda non potranno che arrivare dall’Unione Europee) atte a garantire sul piano giuridico gli investitori.
Vi è poi un altro tema molto americano ed è quello degli investimenti degli sportivi (che hanno avuto lauti guadagni in carriera) nello sport.
In America vi è un trend crescente di partecipazione degli sportivi al capitale sociale delle franchigie. Al contrario sono rarissimi i casi in Europa, perché nessuno mette il proprio patrimonio in un gioco rischiosissimo.
Torniamo sempre lì, il nostro sistema sportivo è diseconomico, eccessivamente rischioso, disincentiva chi investe.
Bisogna andare oltre, approdando ad una piattaforma europea che riprenda le buone pratiche americane e riscriva le regole dello sport nell’Unione nei decenni a venire.
A quel punto ben venga l’afflusso di capitali, ma con regole certe che ci mettano ai ripari dal rischio di colonizzazione culturale a cui siamo sempre più esposti.
Mondiale al buio
Siamo a 6 mesi dalla chiusura delle qualificazioni al Mondiale per club che si svolgerà nel 2025 (i nomi delle partecipanti li sapremo a fine stagione 2023/24) e la FIFA non ha ancora ufficializzato come verranno calcolati i punti ranking per accedervi, in particolare per le squadre europee.
Al momento l’Inter è l’unica italiana sicura di partecipare (possono andare fino ad un massimo di 2 per nazione, salvo il fatto che più di 2 squadre vincano la Champions League in quel quadriennio) mentre Juventus, Milan e Napoli si giocheranno il secondo posto.
I bianconeri sono quindi alla finestra e devono attendere i risultati in Champions League di rossoneri e azzurri. Due le ipotesi ranking.
La prima (quella ufficiale dell’Uefa) più favorevole alle due squadre in corsa nella Champions di quest’anno. Al momento la situazione vedrebbe la Juve a 47 punti, il Milan a 39 e il Napoli a 38. In caso di passaggio del turno (5 punti bonus) alle due squadre servirebbero altri 4 e 5 punti per sopravanzare, punti che sarebbero accumulabili facilmente in caso di approdo ai quarti (un altro punto bonus) visto che per arrivarci almeno 2 vittorie sono necessarie. In caso di eliminazione dei due club nei gironi la Juve sarebbe già sull’aereo per gli USA.
La seconda (quella ipotizzata dalla FIFA) sarebbe invece più favorevole alla Juventus (52 punti contro i 42 del Milan e i 39 del Napoli), non prevedendo i bonus se non un generico bonus partecipazione (ma non quello per la qualificazione ai playoff) e imporrebbe a Milan e Napoli di avanzare quest’anno in Champions vincendo almeno altre 4 partite (il Milan) e 5 partite (il Napoli) ovvero in pratica arrivare come minimo ai Quarti di Finale. Peraltro - in conseguenza della mancanza di chiarezza - non si sa nemmeno quale sarebbe il criterio prioritario in caso di due squadre a pari punti.
Ce ne sarebbe invero una terza: il ranking Uefa comprendente anche i risultati in Europa league. Ma a quel punto ogni soluzione fantasiosa è valida.
Giochi aperti insomma, ma aperte anche le controversie, perché la mancanza di chiarezza sulle regole d’ingaggio lascia aperte molte strade alle ipotesi… e alla politica.
Intanto, senza fretta, la FIFA ha fatto sapere che entro fine mese farà sapere quali sono i criteri di ammissione. Sostanzialmente una decisione a tavolino.
Sinner ribelle
Il forfait di Jannick Sinner a Parigi Bercy di cui avevo già parlato la settimana scorsa ha fatto da cassa di risonanza ad alcuni problemi che il tennis si porta dietro da tempo.
In particolare nel circuito WTA (femminile) le giocatrici lamentano le condizioni economiche a cui sono sottoposte, dovendo di fatto scommettere su se stesse prima di portare a casa i premi del circuito visto che nulla è garantito.
I temi sono molteplici ma allargando lo spettro mi pare di poter dire che sono sempre di più gli sport che oggi fanno fatica a mantenere determinati standard.
La rivendicazione economica non è distante da quella più legata a condizioni fisico atletiche e mentali sottolineata da Sinner.
Il problema è circolare: si gioca di più per guadagnare di più in termini sportivi e non, e i circuiti fanno giocare di più per spremere le potenzialità dello sport.
Non va dimenticato (vale per tutti gli sport) tuttavia che gli eventi per essere tali devono essere davvero straordinari e che la proliferazione di tornei e appuntamenti nuoce in generale a tutti. Ma è la strada più facile, anche se la scorciatoia porta inevitabilmente ad un punto morto.
La pandemia ha fatto riflettere inizialmente sull’eccesso di eventi, ma l’uscita è stata decisamente peggiore. Un tema che non si può continuare ad ignorare.
Intanto i sauditi
Continuano lo shopping ed hanno messo gli occhi sui tornei ATP di Madrid e Miami ma anche su uno sport come il cricket, che a noi dice poco, ma che in Asia (ovvero in paesi con popolazione numerosissima, come l’India) è spesso l’equivalente del nostro calcio per attrattiva e impatto sulla cultura sportiva e sociale.
Questo conferma la vocazione internazionalista dell’Arabia Saudita nel mondo dello sport e la necessità di allargare la propria influenza a 360 gradi.
Nelle scorse settimane scrivevo: l’obiettivo dei sauditi non è quello di farsi un torneo a casa loro, ma da lì dovevano cominciare.
Le ultime mosse confermano questa visione a tutto tondo. Che presto farà nuovi passi anche nel calcio.
Il business della maratona
Le maratone sono nel bel mezzo di un’ascesa storica: un record mondiale maschile è stato stabilito meno di un mese fa a Chicago e un record femminile è stato stabilito a settembre a Berlino – entrambi riducendo di oltre 30 secondi i precedenti.
Ne avevo parlato recentemente con un pezzo sulle super scarpe, tra gli elementi che li hanno resi possibili, e il dibattito sul cosiddetto doping tecnologico che ne è derivato.
Il prossimo traguardo sarà la maratona corsa in meno di due ore.
Nel frattempo si è svolta la maratona di New York, appuntamento di culto più per gli appassionati che per rilevanti motivi sportivi, a cui hanno preso parte 51.933 persone: il totale più alto della gara dal 2019.
Il fitness tracker Strava ha affermato che la quota di corridori che corrono nelle maratone è quasi raddoppiata sulla sua piattaforma lo scorso anno, con una crescita maggiore prevista per il 2023.
La maratona è semplice: basta correre 42,195 km e il gioco è fatto. Ma ciò che recentemente la rende attrattiva è la forte presenza di innovazioni e tecnologia.
Non solo le superscarpe di cui parlavo sopra, o i fitness tracker e gli orologi sempre più sofisticati. Gli organizzatori giocano sempre più su questo approccio da nerd dello sport per attirare gente.
E naturalmente c’è il racconto, la maratona vista da fuori.
La versione aggiornata dell'app ufficiale della TCS New York City Marathon ha consentito il monitoraggio in tempo reale dei singoli corridori, feed live da cinque posizioni lungo il percorso ed elementi aggiuntivi sul secondo schermo volti a integrare la trasmissione della gara principale su ESPN2 e WABC di New York TV.
Questi elementi sono progettati per aiutare a creare un livello di connessione diretta tra partecipante e spettatore non necessariamente visto in altri sport, oltre a mostrare anche le divisioni di gara che in genere ricevono meno tempo di trasmissione rispetto ai concorrenti maschili d’élite.
La maratona di Boston, altro evento importante delle World Marathon Majors, ha stabilito un record per l'evento la scorsa primavera con una media di 369.000 spettatori su ESPN.
Numeri lontani da eventi calcistici europei o dei maggiori sport USA, ma significativi di un trend e della creazione di un valore che si incrementa di anno in anno in una logica di sport, business ed entertainment crescenti.
NWSL: diritti tv da record
La vendita dei diritti tv del soccer femminile (NWSL) negli Stati Uniti ha toccato i 60 milioni di dollari a stagione, un record.
In totale la lega ha venduto il prossimo ciclo a 240 milioni di dollari grazie agli accordi con ESPN, CBS, Amazon e Scripps Sports che daranno una copertura multipiattaforma tramite televisione via cavo e streaming.
Il valore annuo collettivo di 60 milioni di dollari e secondo fonti del settore, supera di un multiplo di 40 le precedenti entrate televisive nazionali della lega di 1,5 milioni di dollari all’anno. La NWSL ha sottolineato che si tratta del più grande accordo mediatico nella storia dello sport femminile.
Outro
L’arrivo di Julio Velasco sulla panchina della nazionale femminile di pallavolo nasconde alcune controversie che ci riportano al tema del rapporto tra i club e le federazioni (non solo pallavolistiche) nello sport europeo.
Sul piano tecnico il ritorno del 71enne argentino alla guida di una nazionale è una notizia che mi lascia indifferente. A prescindere dalla stima infinita per quello che Velasco è ed è stato per il movimento pallavolistico italiano, il suo richiamo rappresenta una debolezza intrinseca: per provare a raccogliere trofei con la nazionale più talentuosa dell’ultimo decennio si richiama un tecnico a fine carriera.
Sul piano regolamentare invece la controversia è evidente.
Velasco ha fatto valere la clausola contrattuale che gli permetteva di svincolarsi dalla UYBA Busto Arsizio in caso di chiamata della Nazionale.
La Lega Volley Femminile permette che un tecnico sia contemporaneamente alla guida di un club e di una nazionale (tema annoso del volley dove in pratica in un anno si lavora 7 mesi nei club e 5 con le nazionali). E la risoluzione è stata confermata nell’ultima assemblea dai club partecipanti.
La Federazione italiana invece non ammette il doppio incarico per un tecnico delle sue nazionali.
Finora la reazione di Busto Arsizio è stata diplomatica ed ha sottolineato ulteriormente la decisione della Lega di permettere il doppio incarico. Ma il conflitto è evidente, e rappresenta l’ennesimo atto di forza federale nei confronti di un club, e conferma uno sbilanciamento in atto (in molti sport) che va affrontato al più presto.
Per questa settimana è tutto.
Rimaniamo in contatto!
Bellissimo pezzo Giovanni.
In merito al tema maratone, nel giro di soli due anni si è visto chiaramente come l’avvicinamento dei semplici appassionati di running alla distanza regina sia stato facilitato non solo da un numero di gare pressoché infinito (una gara ogni weekend almeno, con ampissime possibilità di scelta), ma anche dalla capacità di questi eventi di fornire:
a. Una proposta sportiva per tutti i livelli, dai maratoneti, ai mezzofondisti, fino alle relay race, 10 kilometri, non competitive, ecc.
b. Tutto un universo che si affianca alla gara vera e propria, di cui è parte integrante è complementare.
Penso ai vari Marathon Expo che diventano vere e proprie fiere di appassionati e luoghi di ritrovo rituali - come dici te, il luogo perfetto per i nerd della corsa di passare un pomeriggio pre gara; o per chi un nerd ancora non lo fosse, per farcelo diventare (con me è andata così).
C’è poi il tema delle ricadute economiche sulla promozione territoriale, sui benefici alle strutture ricettive, specie per quegli eventi che muovono grandi quantitativi di persone.
Sarà interessante capire se e come gli eventi nelle grandi città tenteranno di capitalizzare il vantaggio competitivo verso maratone “minori”, o semplicemente corse in città più piccole, nell’ottica di una polarizzazione (magari spezzettata in più eventi, a Milano tra maratona, mezza maratona, stramilano, Dj Ten, pink Run si corre una volta ogni trimestre). Oppure se, al contrario, almeno in un contesto nazionale ci sarà la capacità delle varie organizzazioni di fare sistema per trarre mutui benefici.