Da global a local, il Mondiale 2026 al tempo dei dazi
La minaccia protezionista rappresenta una nuova sfida commerciale per il Mondiale FIFA 2026. Il torneo si prospetta essere tanto una questione di dinamiche economiche quanto di calcio.
Come sempre il Mondiale FIFA 2026 sarà un fenomeno globale che tutti diranno di ignorare fino al giorno prima e che poi catalizzerà l’attenzione del mondo intero per un mese.
E’ stato così anche in Qatar, quando si giocò a dicembre, con buona pace dei benpensanti che prefiguravano sciagure.
Ogni mondiale, tuttavia, è caratterizzato culturalmente ed è figlio del suo tempo. Per questo, quello che si terrà congiuntamente negli Stati Uniti, in Messico e in Canada, a seguito dell'ondata di dazi annunciata dal presidente Trump potrebbe modificare profondamente non solo l'atmosfera culturale della competizione, ma anche la percezione internazionale dell'America all'interno della comunità calcistica globale.
Ne ha parlato in un recente post su Geosport il prof Simon Chadwick, e ne ho parlato su questa newsletter pure io nell’ultimo Fubolitix del sabato in “La mappa del soft power sportivo mondiale” in cui tra le altre cose ho detto:
Se l’amministrazione Trump dovesse proseguire con una politica più isolazionista, lo sport potrebbe assumere un ruolo ancora più cruciale nel mantenere l’influenza globale degli Stati Uniti. Tuttavia, è anche possibile che il soft power sportivo americano venga ridimensionato, qualora l’atteggiamento del Paese portasse a una disaffezione internazionale.
Il tema è semplice: quale sarà l’immagine futura proiettata dagli Stati Uniti? L’ultimo secolo è stato dominato dal sogno americano, il prossimo come sarà?
Oltre alle tensioni diplomatiche che fanno notizia, queste politiche economiche potrebbero trasformare radicalmente l'esperienza del Mondiale per visitatori e residenti attraverso ciò che i geografi economici definiscono "dinamiche di fissazione spaziale", erodendo al contempo la buona reputazione che gli Stati Uniti hanno cercato di costruire nel mondo del calcio.
Il concetto di "fissazione spaziale" di David Harvey aiuta a comprendere come il capitalismo risolva le proprie contraddizioni interne riorganizzando lo spazio geografico. Nel contesto del Mondiale 2026, il regime tariffario aggressivo di Trump potrebbe diventare un caso studio esemplare di questo fenomeno.
Un esempio? Le iconiche fan zone, tradizionalmente caratterizzate dalla presenza di brand globali, venditori di cibo internazionale e merchandising da tutto il mondo, potrebbero diventare più marcatamente "americane" a causa dell'aumento dei costi d'importazione.
Il che non è per forza un male, in fondo un turista vuole sempre poter dire di aver avuto una autentica esperienza local. Ma potrebbe piuttosto compromettere, tra le altre cose, la capacità della FIFA di attrarre sponsor.
Rischi ed opportunità, come sempre. Ma da quale parte pendera la bilancia?
Potrebbe ad esempio creare delle "enclavi culturali" che trasformerebbero la celebrazione globale del calcio in un evento più nazionalizzato.
Per i tifosi internazionali, questi spazi potrebbero simboleggiare il protezionismo americano piuttosto che l'ospitalità, alimentando risentimento e danneggiando l'immagine degli Stati Uniti come nazione accogliente.
Comunità di consumo e adattamento dei tifosi
Un'altra possibilità interessante riguarda il modo in cui le comunità globali di tifosi potrebbero adattarsi a queste barriere economiche. Potrebbero emergere economie informali attorno al torneo, con scambi diretti di merchandising tra tifosi, mercati pop-up per prodotti internazionali che evitano i tradizionali canali d'importazione o piattaforme digitali che connettono i sostenitori al di là dei confini tariffari.
Queste pratiche non sarebbero solo espedienti economici, ma rappresenterebbero nuove forme di solidarietà tra i tifosi e scambi culturali nati proprio dalle barriere imposte dalle politiche tariffarie.
Le difficoltà economiche potrebbero, paradossalmente, stimolare nuove forme di costruzione comunitaria che altrimenti non sarebbero emerse. Come detto non si tratta qui di dire bene o male ma di intuire i confini e i nuovi comportamenti.
La sfida geopolitica della FIFA
Tradizionalmente, eventi sportivi di portata globale come il Mondiale servono a dimostrare apertura culturale e connettività internazionale. Il torneo del 2026 doveva segnare il ritorno trionfale degli Stati Uniti sulla scena calcistica globale dopo la delusione della mancata assegnazione dell'edizione 2022, vinta dal Qatar.
Tuttavia, il nazionalismo economico incarnato da questi dazi si scontra con la natura intrinsecamente globalista del Mondiale.
Per la FIFA, ciò rappresenta una sfida geopolitica complessa. L'organizzazione ha sempre cercato di presentarsi come un ente sovranazionale, capace di trascendere gli interessi nazionali, pur essendone profondamente influenzata.
I dazi imposti dagli Stati Uniti costringeranno la FIFA a navigare in un contesto in cui il paese ospitante promuove il calcio globale mentre allo stesso tempo impone barriere economiche a molte nazioni partecipanti. Il rischio è che la fiducia guadagnata dagli organizzatori americani durante la fase di candidatura venga erosa da politiche che contraddicono lo spirito di cooperazione internazionale su cui si basa il torneo.
Questa tensione potrebbe riflettersi nelle decisioni operative della FIFA in vista del torneo, influenzando la selezione degli sponsor, la gestione dei diritti televisivi e i programmi culturali associati all'evento.
Potremmo vedere la FIFA tentare di negoziare deroghe temporanee per il commercio legato al Mondiale, creando zone di libero scambio attorno agli eventi per preservarne il carattere cosmopolita. E, ancora, incassare dagli sponsor.
Non dimentichiamo ad esempio il peso del mondo cinese ed arabo in termini di sponsor nelle ultime manifestazioni.
Per il calcio negli Stati Uniti, questo momento rappresenta un bivio cruciale. La crescente popolarità dello sport nel paese è stata alimentata dalla sua connettività globale: l'accesso facile a campionati internazionali, stelle del calcio e prodotti provenienti dall'estero.
Se i dazi compromettessero questa connettività, potrebbero involontariamente danneggiare l'infrastruttura culturale che renderebbe il Mondiale 2026 un successo a livello domestico.
Man mano che ci avviciniamo al 2026, queste questioni diventeranno sempre più rilevanti non solo per economisti e politici, ma anche per chiunque sia interessato a capire come gli eventi sportivi globali rispecchino e reagiscano ai paesaggi politici in cui si svolgono.
Non è un fenomeno nuovo, accade da sempre. Pensate a Brasile 50, giocato in un paese scelto perché fuori dal conflitto mondiale, o alle edizioni sudamericane del 62 e 78 caratterizzate dalle dittature, o a Spagna 82 concepita sotto il franchismo e realizzata dopo o alla stessa Italia 90, che doveva essere la celebrazione del made in Italy dopo i ruggenti anni 80. Ed ancora l’apertura agli USA (94), all’Asia (2002) o all’Africa che fu dell’apartheid (2010).
Il Mondiale non è mai stato solo un torneo: è uno specchio che riflette le nostre relazioni globali. Con i nuovi confini economici che si delineano sulla sua superficie, il costo ultimo dei dazi di Trump potrebbe essere misurato non solo in termini economici, ma anche nella perdita di prestigio degli Stati Uniti nella comunità calcistica mondiale.
Il rischio è che l'immagine lasciata ai tifosi non sia quella di stadi spettacolari e organizzazione impeccabile, ma di un paese che ha anteposto il nazionalismo economico allo spirito di celebrazione internazionale.
Note a margine.
Verità oltre la narrazione. Andrea Carnevale ha raccontato la sua vita tra trionfi e drammi, in un libro scritto con Giuseppe Sansonna. La sua infanzia fu segnata dal femminicidio della madre per mano del padre, che poi si suicidò. Orfano, Carnevale ha trovato nel calcio la sua salvezza, arrivando a giocare nella Serie A più competitiva di sempre, vincendo con Maradona al Napoli. Convocato per Italia ’90, vide poi la sua carriera frenata da una squalifica per doping. Superate le difficoltà, oggi è un talent scout per l’Udinese. Un’esistenza segnata da cadute e rinascite, raccontata con profondità in Il destino di un bomber edito da 66thand2nd. Un documento di vita, con le sue iperboli s le sue crudezze, prima ancora che una storia personale e di sport.
Predatori. Lo stipendio del presidente UEFA Aleksander Ceferin è aumentato ancora nella stagione 2023/24, raggiungendo i 3,25 milioni di franchi svizzeri (circa 3,4 milioni di euro), con un incremento del 13% rispetto all'anno precedente. Dal 2017, il suo compenso è più che raddoppiato (+108%). In totale, ha guadagnato quasi 18,1 milioni di euro durante il suo mandato.
Facciamo come la FA Cup. Si fa presto a dire FA Cup. Poi la realtà è che Empoli-Bologna è stata tra le semifinali meno viste negli ultimi 15 anni. Se tutti quelli che van ciarlando di format anglosassoni l’avessero guardata, probabilmente si abbattevano un paio di record.
Outro.
Potere per il potere.
Gianni Infantino e Aleksander Čeferin, rispettivamente presidenti di FIFA e UEFA, esercitano il loro potere promuovendo un'unità formale che a conti fatti trascende principi e valori democratici, e si pongono su un piano che non compete loro, in nome del loro potere.
Gianni Infantino, durante il Congresso UEFA a Belgrado, ha auspicato il ritorno della Russia nel panorama calcistico internazionale, condizionandolo al raggiungimento di un accordo di pace con l'Ucraina. Ha dichiarato: "Spero che possiamo presto voltare pagina e riportare la Russia nel panorama calcistico, perché ciò significherebbe che tutto è stato risolto" .
Una corsa in avanti che stupisce e solleva interrogativi sulla coerenza tra le decisioni politiche e i valori democratici, considerando che la Russia è stata precedentemente esclusa dalle competizioni internazionali a causa dell'invasione dell'Ucraina.
Aleksander Čeferin, nel suo discorso al medesimo congresso, ha enfatizzato l'importanza dell'unità in un mondo sempre più diviso, utilizzando la metafora di una sinfonia per illustrare la necessità di armonia nel calcio europeo.
Ha affermato: “Il calcio europeo deve continuare a essere un modello di unità in questo mondo sempre più diviso. Uniti stiamo e uniti staremo" .
Una enfasi sull'unità che rappresenta una mera strategia politica per mantenere il controllo e soffocare le critiche interne, soprattutto considerando le tensioni esistenti riguardo a questioni come la Superlega e la governance del calcio europeo.
Sia Infantino che Čeferin utilizzano il concetto di unità per consolidare il loro potere, promuovendo una coesione che, in realtà, mette in secondo piano principi e valori democratici fondamentali nel mondo del calcio. E non solo.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni