E se i tifosi fossero proprietari degli stadi?
Da Berlino a Londra, idee creative per finanziare le opere e condividere i piani di sviluppo infrastrutturale dei club. Aspetti e positivi da valutare, e una questione di identità non secondaria.
Berlino, 24 ottobre 2024
Siete mai entrati in uno stadio vuoto? Fate la prova. Fermatevi in mezzo al campo e ascoltate. Non c’è niente di meno vuoto di uno stadio vuoto. Non c’è niente di meno muto delle gradinate senza nessuno. (Eduardo Galeano)
In questi giorni qui a Berlino si parla molto di stadi. Due in particolare. Quello che storicamente ospitò la Dinamo Berlino, negli anni del muro e della Germania Est, situato a Prenzlauerberg, quartiere che porto nel cuore ed in cui vivo da 6 anni, e quello dell’Union Berlin, a Köpenick.
Il primo è in fase di totale demolizione e verrà ricostruito, un passaggio epocale per la storia calcistica della città.
Era lo stadio in cui la Stasi celebrava il suo potere a spese dello sport negli anni della dittatura comunista.
Nella zona Sud della città, invece, l'Union Berlino ha lanciato un'iniziativa per vendere azioni del proprio stadio ai tifosi dopo che nel 2011 aveva già venduto il 58% dello stadio, raccogliendo quasi 5 milioni di euro.
Sono disponibili 120.000 azioni a 500 euro ciascuna, riservate ai 70.000 membri del club.
Il progetto mira a raccogliere fondi per il restyling dello stadio "An der Alten Försterei", aumentando la capacità da 22.000 a 40.500 spettatori, con 32.000 posti in piedi. I lavori inizieranno nel 2026.
Ma Dirk Zingler, presidente del club, ha precisato:
Mi piacerebbe che qui nello stadio ci fossero circa 40.000 proprietari. Non è che questa emissione di azioni finanzierà i lavori di costruzione. Vogliamo fare nuovamente questa offerta e dare a queste persone, questi 70.000 membri del club, la proprietà dello stadio.
Per ragionare su quanto sta facendo l’Union Berlino va chiarito il contesto culturale dell’operazione. In particolare su due aspetti.
in Germania i club sono - come noto - proprietà dei tifosi che detengono per legge il 50% delle azioni +1 (la famosa regola del 50+1) e benché come spesso scritto qui esistano eccezioni e sia evidente che poi la governance dei club abbia regole più sofisticate, vi è un livello di partecipazione dei tifosi molto più marcato che, ad esempio, in Italia;
l’Union in particolare non è nuovo ad operazioni di questo tipo: dal 2008 al 2009, più di 2.000 tifosi lavorarono per oltre 140.000 ore per ristrutturare lo stadio.
Il contesto culturale, insomma, non è un aspetto secondario per il successo di un’iniziativa. Dopo di che, naturalmente, non basta. Come non basta la bontà dell’idea.
Mi permetto ad esempio umilmente di far notare che probabilmente in Italia una operazione del genere sarebbe di più difficile realizzazione, probabilmente vista con scetticismo: da noi la mentalità padronale non é solo quella dei proprietari ma anche quella dei tifosi che dai facoltosi presidenti si aspettano sempre investimenti e spese.
E del resto una esperienza simile ha avuto sorti controverse a Londra, dove il Chelsea nel 1992 fece qualcosa di simile.
Mi riferisco alla nascita di Chelsea Pitch Owners, che come lo definisce The Athletic è: l’unica organizzazione che ha il potere di bloccare lo spostamento di Stamford Bridge.
E che infatti da quasi quindici anni si mette di mezzo nelle scelte strategiche del Chelsea legate allo stadio.
Chelsea Pitch Owners (CPO) è una società no profit che possiede il terreno dello Stamford Bridge dal 1992 per proteggerlo da interessi esterni. Anni diversi: la Premier League stava nascendo ed il Chelsea nel 1987-88 aveva subito quella che sarebbe stata la sua ultima retrocessione fino ad oggi in Seconda Divisione.
Subito promosso aveva stupito con un quinto posto nel 1988-89 prima di tornare ad una mediocre mezza classifica (undicesimo e quattordicesimo nelle stagioni successive).
Ken Bates creò CPO nel 1992 quando in seguito a tentativi di acquisizione del club intuì che il futuro dell’identità del Chelsea era a rischio. Per difendere questa identità decise di vendere il terreno su cui sorge l’impianto (insieme ai diritti di denominazione della squadra) proprio ai tifosi.
L’operazione non fu un successo.
I tifosi comprarono azioni a £100 per raccogliere £5 milioni. Servì quindi un bond da £75 milioni nel 1997 salvò CPO, che aveva venduto poche azioni.
Ma da allora CPO è cresciuta e conta oggi 27.000 azioni e 15.000 azionisti.
Nel 2011, Abramovich fallì nel tentativo di ricomprare lo stadio.
La proprietà attuale lavora per migliorare i rapporti con CPO che per statuto deve approvare qualsiasi spostamento dello stadio.
Al momento il Chelsea deve ancora presentare un piano per il nuovo stadio. Ma è evidente che la voce dei tifosi (ancorché per lo più indirizzati da tifosi vip che fanno da opinion leader) ha una grossa influenza sui piani strategici del club.
Non so se questi modelli saranno mai d’attualità anche nel calcio italiano, ma aggiungo due riflessioni, accanto a quanto già detto poco fa sui limiti della mentalità padronale che domina il nostro calcio.
La prima è che l’idea di uno stadio di proprietà dei tifosi a mio giudizio va studiata. Sono più scettico sulle proprietà diffuse nei club, ma la necessità di strutture sportive che facciano riferimento alla fan base è suggestiva.
Principalmente per un motivo: mentre il club rappresenta il software ed è per sua stessa definizione più variabile ed anche economicamente rischioso, lo stadio e le strutture connesse (penso anche ai centri sportivi, ad esempio) sono caratterizzate da piani di più ampio respiro e lungo periodo.
La seconda riflessione è sull’identità dei club: non c’è dubbio sul fatto che dopo il nome e i colori sociali lo stadio sia l’elemento strutturale che maggiormente definisce identità e identificazione di un club. Per questo un suo legame coi tifosi va visto in maniera positiva.
Dopo di che non si deve certo tacere che i problemi attuali con il tifo organizzato non sono certo un elemento esterno alla discussione. Ma anche qui, una buona idea rimane tale anche in presenza di elementi avversi e da questi va eventualmente difesa con lucida consapevolezza.
Dopo di che la questione stadi in Italia è un enorme tema irrisolto. Ma non per questo dobbiamo precluderci riflessioni su come potrebbero in futuro strutturarsi i club anche a partire da questo.
Note a margine.
Oggi monografica per fare il punto sugli stadi…
Milano. Torna d’attualità il dibattito sul futuro di San Siro e il presidente del Milan, Paolo Scaroni, ha affermato che “superato il vincolo possiamo costruire un nuovo stadio a San Siro”. Non solo: ora che il vincolo sul secondo anello dello stadio esistente è stato ridotto, si attende la valutazione del prezzo del Meazza e delle aree circostanti, con una stima attesa per dicembre. Nel frattempo il Milan continua a valutare l'opzione di San Donato, mentre l’Inter mantiene l'esclusiva sull'area di Rozzano fino a gennaio 2025. Ma la presenza sul fronte nerazzurro di una proprietà americana, come quella rossonera, sembra aver modificato i termini del confronto fra le due società.
Roma. La Roma ha presentato nuovi rendering del futuro stadio di Pietralata durante un incontro segreto con il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Il progetto include dettagli architettonici ispirati all'antica Roma, con archi e parchi verdi attorno allo stadio. La Roma sta collaborando con Ferrovie dello Stato per la costruzione di ponti pedonali e spera di ottenere una deroga per realizzare una curva simile a quella del Borussia Dortmund. Il progetto definitivo dovrebbe essere consegnato entro la fine del 2024.
Genova e Firenze. Nel capoluogo ligure, Genoa e Sampdoria stanno trattando per risolvere le recenti tensioni riguardanti la gestione congiunta dello Stadio Luigi Ferraris. Dopo disaccordi sulle proposte separate presentate al comune, i club stanno lavorando a un'offerta unificata da presentare entro la fine dell'anno. A Firenze invece il capogruppo di Italia Viva, Francesco Casini, ha criticato la gestione del progetto di restyling dello stadio Artemio Franchi, accusando il Comune di non aver fornito un cronoprogramma dettagliato per i lavori, nonostante la richiesta di accesso agli atti e ritenendo solo ipotetica la fine dei lavori nel 2029. L'assenza di risposte ufficiali e la mancanza di trasparenza hanno aumentato le preoccupazioni.
Outro.
Pirateria.
E dagli stadi reali al grande stadio virtuale che ogni fine settimana attira milioni di tifosi davanti a teleschermi di tutte le dimensioni.
La Lega Serie A è pronta a fare causa a Google per la mancanza di collaborazione nella lotta contro la pirateria dei diritti TV.
Nonostante strumenti come il Piracy Shield permettano di bloccare i domini che trasmettono illegalmente le partite, la Lega accusa Google di non rimuovere adeguatamente tali contenuti.
La diffida inviata a Google il 7 ottobre elenca vari casi di inadempienza, compresa la presenza di app illegali su Google Play. Google risponderà a breve, con un'audizione prevista all'Agcom.
Nel fine settimana, come avevo riportato nelle note di ieri, la piattaforma nazionale contro la pirateria era intervenuta per bloccare diversi accessi a domini che trasmettevano contenuti illegali.
Tuttavia, tra i diversi domini bloccati, c’era anche Google Drive, che in Italia ha avuto dei problemi a partire dalla serata di sabato e che sono proseguiti anche nella mattinata di domenica 20 ottobre.
Il tema della pirateria è particolarmente sensibile perché va ricordato soprattutto che la Serie A incasserà cifre maggiori dai diritti tv anche in base al numero di abbonati.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni