Elogio della gavetta [IVC #25]
La Serie A è il campionato in cui allenano (a differenza che in Spagna, Inghilterra e Germania) gli allenatori con la maggiore militanza in Serie A da calciatori, proviamo a capire perché.
Padova, 31 gennaio 2025
Ho smesso di analizzare singole partite o momenti specifici per concentrarmi su idee originali basate su eventi reali. Preferisco condividere concetti senza tempo, applicabili a qualsiasi situazione, passata o presente. Harvey Coover, l’inventore della Super Glue, inizialmente la chiamò "Eastman 910 adhesive", un nome tecnico legato a un singolo test aziendale. Ma quel nome non rimase impresso nella memoria collettiva come "Super Glue", diventato un termine iconico e universale.
Scrivere di una partita o di un’azione specifica è come chiamarla "Eastman 910": il concetto resta legato a quel momento e perde valore con il tempo. Un’idea più ampia e duratura, invece, ha il potenziale per essere ricordata. Super Glue è senza tempo. Parlare di attaccanti distratti in generale è un concetto eterno; limitarsi a menzionare Kai Havertz o Darwin Núñez è un’idea effimera. Inoltre, se un’idea è senza tempo, non c’è l’urgenza di condividerla subito: resterà rilevante anche dopo mesi.
Non ricorderai mai "Eastman 910 adhesive", ma Super Glue sì.
Le parole qui sopra non sono mie ma di Kyle Boas, che scrive Tactics Journal, una delle tante cose di qualità che si trovano sul web (a saperle trovare…) di questi tempi.
Ed è a partire da questo concetto che sono partito per rivedere il piano editoriale di Fubolitix in cui da questa settimana Io li ho visti così diventa un appuntamento fisso del martedì che unisce le precedenti versioni italiana ed europea, con l’obiettivo di fornire punti di vista sui fatti di campo più concettuali e meno legati all’attualità.
Non sempre ci riuscirò, ma questo è l’intento.
Fedele a quanto scritto sopra, oggi non voglio parlarvi di Juventus - Inter (trovate una riflessione sul vertice della serie A nella prima nota a margine), in fondo avremo due Derby d’Italia come minimo ogni anno, e forse presto ne avremo due anche in Champions, ma di Claudio Ranieri, Rolando Maran e Attilio Tesser.
Cos’hanno in comune questi tre allenatori?
Il primo da quando è arrivato alla Roma sta avendo una marcia da zona Champions League. È addirittura secondo per punti conquistati nelle ultime 10 partite.
Il secondo arrivò un anno fa a Brescia e diede la svolta, centrando i playoff. Quest’anno ha tenuto la squadra (tredicesimo monte stipendi della Serie B) in zona playoff prima del solito inevitabile esonero con richiamata dopo 7 giornate in cui la sua squadra ha peggiorato il rendimento del 35%.
Il terzo dopo essere stato incredibilmente mandato via dalla Triestina in Serie C a inizio febbraio 2024 con la squadra in corsa per la Promozione l’ha ritrovata ultima in classifica a fine anno e da allora ha fatto 23 punti come il Vicenza (secondo) e uno più del Padova (primo).
Sarebbe tuttavia sbagliato concentrarsi solo sull’età di questi tre allenatori. Che tra le altre cose hanno - con diverse fattispecie - in comune il fatto di essere sostanzialmente “cavalli di ritorno”. La vera cosa che hanno in comune è l’aver conquistato quel che hanno conquistato in carriera dopo una sana gavetta coronata con successi sul campo.
Non è una banalità, se pensate che la Serie A è il campionato in cui allenano (a differenza che in Spagna, Inghilterra e Germania) gli allenatori con la maggiore militanza in Serie A. Il che significa che allenare ad alti livelli in Italia è sempre più mestiere per ex calciatori famosi e sempre meno per allenatori per vocazione. A differenza che all’estero.
Questo accade perché, mentre Spagna e Germania si sono concentrate sulla formazione dei tecnici (con un legame maggiore con la formazione dei giovani giocatori gli spagnoli, e tratti più aziendal-manageriali in Germania) e l’Inghilterra ha invece puntato - essendo più ricca - ad importare le migliori idee dall’estero, in Italia abbiamo provato a fare di necessità virtù.
In passato ho parlato di “allenatori d’azienda”, per dire di come oggi i tecnici vengano scelti anche in funzione della loro adesione da un’idea strategica del club. E ne avevo anche parlato nella lunga analisi che feci dopo l’eliminazione dell’Italia dagli Europei in Germania in I giovani e il calcio: un problema nazionale?
Ma questo cose, appunto, accadono secondo le caratteristiche nazionali che ho descritto sopra, e le nostre mi sembra possano essere riassunte da questi parametri:
i rapporti di questi con i direttori sportivi;
il loro costo in termini salariali (che porta a fare scommesse e prendere allenatori o giovani o esperti ma non in fase crescente);
la loro notorietà (che risulta funzionale a fare da parafulmine in momenti difficili);
inoltre storicamente è più facile per un tecnico essere assunto se già a libro paga del precedente club che lo ha esonerato, uno scambio di favori tra club lo porterà ad un nuovo ingaggio (il famoso concetto del non “uscire dal giro”).
Questo va a scapito di:
tecnici che iniziano da livelli più bassi ma vincono campionati (e vengono relegati al concetto di “allenatori di categoria”);
coloro che non hanno una rilevante carriera da calciatori alle spalle.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, e per questo sono aperti i commenti. Io lascio il tema aperto, perché ci sarà tempo per tornarci su. Nel frattempo, giusto per non lasciare nulla al caso, Christian Chivu è diventato il candidato numero uno per la panchina del Parma. Non aggiungo altro.
Note a margine.
Valori assoluti. Tra il 2016 e il 2019, per quattro anni consecutivi, la Juventus ha vinto il campionato imponendo quota 90 punti a chi volesse competere per il titolo. Nel 2020 con Maurizio Sarri ha vinto a 83, la minor quota del ciclo dei 9 anni. Negli ultimi 5 anni il titolo è andato 3 volte su 5 ad una squadra arrivata sotto i 90. Ad oggi il Napoli sta marciando ad una media che lo porterebbe a fine anno a 85/86 punti. L’Inter invece sta avendo lo stesso calo in termini di performance che ebbe tra il 2021 e 2022 quando vinse l’altro scudetto. Ci sono due aspetti che emergono da questa analisi spicciola:
Il valore complessivo necessario per vincere lo scudetto è inferiore a quello che i bianconeri avevano imposto nel periodo del loro dominio. Questo fa bene alla competizione interna e rende tutto più avvincente, ma va letto per quello che è, anche in Europa dove infatti continuiamo ad essere ottimi sui risultati medi ma paghiamo sempre la mancanza di valori assoluti alti e di squadre ammiraglia, ed abbiamo appena perso la seconda posizione del ranking che ci garantirebbe la quinta in Champions tra un anno.
Esiste ad oggi un problema di continuità di prestazioni dei top club di Serie A, legato principalmente a due aspetti:
strategico: caso Napoli, vinci un anno, l’anno sbagli totalmente ogni scelta, l’anno dopo ancora cambi radicalmente il tuo metodo di reclutamento dei giocatori e di formazione della squadra;
economico:
- caso Inter, le incertezze societarie di questi anni si riflettono sulla squadra. Nel 2021 campione d’Italia a 91, nel 2022 vicecampione a 84 nel 2023 a 72, di nuovo campione nel 2024 sopra i 90.
- caso Milan, un modello di business tutto da verificare nel lungo periodo.
- caso Atalanta, un valore della rosa che anche quest’anno porta la squadra vicina agli 80 punti, non abbastanza per vincere il tricolore.
- caso Juve analizzato qui qualche giorno fa e frutto di vicende interne ed esterne alla società che se non stessimo parlando dei bianconeri sarebbero letali per chiunque.
Potenziale. Il CIES ha pubblicato un'analisi sui migliori calciatori Under 25 che, in base alle loro prestazioni, meriterebbero una convocazione nelle rispettive nazionali maggiori. Lo studio ha utilizzato un indice specializzato basato sui dati Wyscout per identificare i 10 giocatori non ancora convocati più promettenti di 50 diverse nazioni. Tra i nomi più rilevanti ci sono due giocatori di Serie A: Yann Aurel Bisseck (Inter Milan, Germania) e Marco Carnesecchi (Atalanta, Italia).
Gunners. L’Arsenal di Arteta continua a sorprendere nonostante una rosa meno costosa rispetto ai principali rivali della Premier League. Nonostante un budget inferiore rispetto a squadre come Manchester City, Chelsea e Manchester United, l’Arsenal è riuscito a competere ai massimi livelli grazie a un’attenta gestione del mercato. La politica di mercato dell’Arsenal privilegia l’acquisto di giocatori già pronti piuttosto che operazioni multiple a rischio. Questo ha portato risultati, ma anche critiche da parte dei tifosi, specialmente dopo un mercato invernale senza grandi rinforzi.. Gli aspetti principali, analizzati da Stefan Bienkolwski sul suo Substack:
pur avendo speso 783 milioni di euro negli ultimi cinque anni, il club ha concentrato il 74% di questi investimenti su pochi giocatori chiave come Havertz e Rice, evitando sprechi rispetto ad altre big della Premier;
una strategia salariale mirata: pur avendo il quinto monte ingaggi più alto del campionato, riesce a ottenere più valore dai suoi investimenti rispetto a squadre con stipendi più elevati avendo ottenuto 3 secondi posti consecutivi.
Outro.
Guardiola spiegato.
Sempre su Tactics Journal trovo una interessante analisi sulle squadre di Pep Guardiola che ripropongo qui in sintesi.
Le squadre di Pep Guardiola si distinguono non tanto per il controllo, ma per l'imprevedibilità tattica, che sorprende gli avversari. Tuttavia, gli infortuni limitano questa capacità, rendendo il Manchester City più prevedibile e meno dominante.
Guardiola sperimenta le sue soluzioni in anticipo, come nel caso di Gvardiol, provato più volte a centrocampo. Nella sfida contro il Real Madrid in Champions League, ha schierato cinque difensori senza centrocampisti di ruolo, sorprendendo tutti con Gvardiol e Stones a centrocampo. Questo ha costretto il Real a difendersi stretto, creando spazi per il City sulle fasce.
Tuttavia, questa strategia può essere rischiosa contro attaccanti veloci come Vinicius, Mbappé e Rodrygo, lasciando pochi uomini a coprire le ripartenze. Guardiola è noto per il suo controllo assoluto, ma senza alternative a causa degli infortuni, il City ha perso imprevedibilità e, di conseguenza, efficacia.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
Ciao Giovanni, la tua è un'analisi che condivido, diciamo che ultimamente la presenza in panchina degli (da poco) ex calciatori sta aumentando di brutto, alla faccia del merito. Riuscire ad iscriversi al corso di Coverciano per gente che non fa parte del "circolino" è diventato praticamente impossibile e quando anche ci riesce è relegata, almeno ad inizio carriera e per un bel pezzo, nelle categorie inferiori. Vero è che i più grandi allenatori italiani sono per la maggior parte ex calciatori, Bernardini, Bearzot, Capello, Trap, Lippi, Ancelotti e Conte i primi che mi vengono in mente, quindi un motivo ci sarà, però anche il calcio è cambiato molto e sta cambiando continuamente, magari non tanto a livello tecnico-tattico (di Crujff e Guardiola ne nasce uno ogni 25 anni...) ma tutto quello che gira intorno, prima e dopo la partita fino a 10-12 anni fa ce lo si sognava (pensiamo alla mole di dati disponibili oggi rispetto al passato sulla salute e sulle performance degli atleti), quindi serve anche studiare. Ultima cosa, questo vizio di chiamare ex calciatori ha contaminato pesantemente anche il parco commentatori sportivi in TV, ecco qui non mi piace proprio la cosa, la trovo una paraculata solo a beneficio degli ascolti, per me non sono abbastanza preparati e soprattutto danno poco, sono ancora troppo coinvolti emotivamente e troppo amici dei protagonisti che devono giudicare risultando quindi poco obiettivi ed interessanti. Auspico un ricambio generazionale, ho 50 anni suonati ma mi auguro presto meno ex calciatori e anche basta solite facce note, con idee stantie e logore, largo ai giovani, facce nuove, fresche e idee magari anche strambe ma almeno originali. Apriamo le finestre!!!
Dal mio personale e un po' professionale punto di vista ti dico che secondo me il vero surplus che offre un ex calciatore è che sa gestire la pressione che in Italia c'è sull'allenatore in Serie A. La gestione emotiva per il mio punto di vista è fondamentale per un allenatore e un ex di Serie A o un ex nazionale o internazionale ci mette meno tempo a capire come funziona quel mondo. Chi arriva dal basso ha bisogno di più tempo che spesso non gli viene dato. Penso sia un elemento a favore dei giocatori ora in panchina e una mancanza nel percorso formativo degli allenatori italiani