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lug 9Messo Mi piace da Giovanni Armanini

La carne al fuoco è tanta, provo a esprimere la mia opinione in base all'esperienza vissuta per 7 stagioni come istruttore di calcio giovanile.

Partirei dal Settore Tecnico che predispone un sistema di ingresso alle graduatorie per accedere ai corsi di formazione ormai ridicolo dove hai possibilità di entrare solo se hai un passato da calciatore: "Per essere un buon fantino non serve essere stato un cavallo" disse più o meno Arrigo Sacchi.

I corsi che poi abilitano (molto costosi economicamente, 700Euro per UefaB) e gli aggiornamenti obbligatori (pure quelli a pagamento, ma che fine faranno poi tutti 'sti soldi?) fanno ridere: durante il periodo lock down partecipai ad un webinar in cui il tema ad un certo punto era l'eterna (e stupida secondo me) diatriba e dualità tra metodologia analitica ( esercitazioni senza la presenza di avversario) e situazionale (con avversari, compagni, porta, direzione etc.) e uno dei relatori, che in quel momento sosteneva a mo' di talebano l'inutilità di qualsiasi cosa fatta senza la presenza di avversari, di fronte al mio tentativo di difendere almeno la possibilità di proporre ogni tanto che so un passaggio +controllo senza doversi sentire passibile di arresto in flagrante mostrò dei video in cui LUI in persona, sui campi di Coverciano, con la sua palla nei piedi e nessun avversario all'orizzonte eseguiva delle gestualità tecniche presenti nel calcio attuale definendo quella roba come spazzatura; era naturalmente il 2020 e questi video registrati qualche mese/anno prima li avrei successivamente trovati tra gli aggiornamenti dopo averli visti e averne discusso durante quel webinar. In pratica il Settore Tecnico (che si autodefinisce miglior scuola allenatori del pianeta) propone come aggiornamento qualcosa realizzato anni prima e definito spazzatura proprio da chi si era adoperato per realizzare il contenuto dell'aggiornamento. Ah, bene. Sono soddisfazioni. Coverciano e il Settore Tecnico dovrebbero smettere di cantarsela e suonarsela. Cominciassero con il dare la possibilità a TUTTI di formarsi e magari (insieme alla Federazione) far sapere cosa fanno delle vagonate di soldi che incassano visto che, per inciso, in due delle tre Società Sportive in cui ho lavorato che (si) facevano bella mostra e vanto del riconoscimento "Scuola Calcio Elite" rilasciato dalla Federazione ho riscontrato difficoltà nell'avere i palloni per fare allenamento (Elite?!). Come si gioca a calcio se non c'è il pallone?

La seconda cosa che mi sento di condividere e di commentare è la tragica povertà di cultura sportiva che affligge il calcio giovanile dilettantistico. Tutti si fanno belli con la frase "Il ragazzo è al centro del progetto". Personalmente ho riscontrato che al centro c'è tutto tranne il ragazzo (non ho frequentato nessun club di calcio femminile). Al centro vedo il sistema delle quote strettamente legato ai risultati (se "faccio i regionali" divento più attrattivo e avrò più iscritti). Tanti si vantano di avere in X momento TOT iscritti: ci dicessero quanti di questi iscritti giocano ancora a calcio a 24/25 anni. Parli ai ragazzi dell'importanza del percorso, di come sia necessario considerare il risultato sportivo come una conseguenza di quello che si fa e non il fine unico di quello che si fa. Che la bontà di un percorso si valuta rispetto all'impegno che si è disposti a metterci, a come si possono utilizzare l'errore e la sconfitta come strumenti di apprendimento e miglioramento. Che vincere significa rispondere sì a 3 domande: a) Mi sono divertito oggi? b) Sono stato un buon compagno di squadra oggi? c) Ho imparato qualcosa oggi? etc etc etc e poi scendi negli spogliatoi e l'unica cosa che vedi a fine partita sono ragazzi che ancora con maglia e sudore addosso prendono lo smartphone per consultare tale app Tuttocampo per vedere i risultati e che sanno essere felici solo quando vincono (giocando magari da schifo) ed invece escono a testa bassa quando perdono (giocando magari bene e lottando come dei leoni). Poi ci pensi, realizzi quello che senti a volte dalle tribune, che i risultati su Tuttocampo vengono aggiornati (live, con tanto di marcatore!) dai genitori, che nella quotidianità frequenti madri e padri di giovani atleti che (quando staccano gli occhi da Tuttocampo) ti raccontano l'esperienza del figlio in prima persona plurale (abbiamo vinto, ci ha fischiato un rigore contro, siamo andati a giocare qua e la) non riuscendo proprio (in buona fede naturalmente) a sganciarsi e lasciare che l'esperienza sportiva sia del ragazzo e non loro. Non riuscendo a capire la distinzione tra essere sostenitore e fare il tifoso. E il ragazzo a te istruttore non ti segue più ad un certo punto perchè i messaggi che riceve tuoi e dal suo entourage (per non parlare di quelli quantomeno ambigui delle Società Sportive) sono troppo distanti.

Credo perciò che il primo passo per una collaborazione (necessaria e potenzialmente rivoluzionaria) tra scuola e sport debba passare da una formazione continua, un accompagnamento costante nei confronti dei genitori, alcuni dei quali totalmente fuori controllo in questo momento storico e invasati ad un livello a mio avviso molto molto preoccupante. Grafici e statistiche come quello NBA esistono ovviamente anche per il calcio. Altro discorso è mettersi lì a parlarne con genitori e atleti. Tralascio volutamente il discorso che riguarda gli arbitri (COMPONENTE FONDAMENTALE) per non essere oltrmodo lungo.

L'ultimo tema che vorrei commentare è quello molto complesso dell'identità legata alla metodologia .

Penso che la parola chiave sia COERENZA. Questa si può esercitare a mio avviso solo se c'è totale sintonia, condivisione e consapevolezza tra gli adulti che hanno un ruolo attivo e si relazionano con gli atleti (parlo di dirigenti sportivi, istruttori, genitori). Bisogna scegliere una strada e perseguirla con coerenza. Secondo me non è una questione dogmatica proporre la costruzione dal basso all'oratorio soprattutto se l'alternativa è buttare la palla avanti (appunto) alla viva il Parroco. Cosa è più formativo: provare ad essere propositivo sforzandosi di superare i propri limiti (individuali e di squadra) o risolvere la difficoltà con una bella fucilata in avanti (poi tanto c'è quello bravo con la 10 e la fascia di capitano che fa goal e si va tutti ad abbracciarlo)?.

Certo è importante saper riconoscere il contesto. Il problema, a volte, è che pur riconoscendo il contesto (non ho spazio/tempo per giocare palla a terra) non ho i mezzi (tecnici) per lanciare (non a caso ma con intenzione) la palla in avanti. Quindi? Vogliamo vincere ma "giocando bene" (qualsiasi cosa significhi!). Se provi a giocare bene (belgiuochismo) inevitabilmente prima di vincere devi perdere (e tante volte) per poter sbagliare, capire, imparare, migliorare. Allora poi non va più bene perchè si perde. Ma si può essere propositivo (belgiuochismo) senza padronanza tecnica? Si può riassemblare un motore solo con cacciavite e martello sul tavolo da lavoro? Penso che si debbano superare le mode: quando l'Ajax di De Ligt - De Jong - Tadic etc. buttò fuori Juventus e Real Madrid tutti a parlare di tecnica (quindi lavoro analitico, senza avversario). Poi quella squadra, frutto di anni di lavoro, viene smembrata e nel frattempo quelli bravi che ci insegnano nei corsi (ma non quelli della Federazione, perchè lì ancora vedi i "video/spazzatura") dicono che la neuroscienza (che personalmente adoro, ammiro e nel mio piccolo seguo) sostiene che l'apprendimento avviene solo "in situazione" (anche se personalmente non ho mai letto/sentito nulla di così definitivo) allora quello che due (non duecento, due) anni prima era la priorità diventa spazzatura e se proponi un po' di tecnica individuale (sai, se mi chiedi di uscire dal basso e mi infami dalla panchina quando sbaglio almeno dammi gli strumenti necessari: padronanza dell'attrezzo, saper passare la palla di interno piede con dx e sx, utilizzo della suola, saper scavalcare una linea di pressione, saper calciare di collo, saper colpire una palla al volo, saper battere decentemente una rimessa laterale... tutta roba secondo la moda attuale allenabile ormai solo "in situazione") ti guardano storto e ti considerano un fanatico del lavoro analitico che quindi perde tempo prezioso visto che se non c'è l'avversario non si apprende. Perciò, anche se uno decidesse di accantonare l'idea belgiuochista per la ragion di Stato ( bisogna salvare la categoria regionale altrimenti i ragazzi l'anno prossimo vanno via) e decide che primo non prenderle, vai palla lunga e pedalare in libertà poi si ritrova con il portiere o il difensore capace di alzare la palla massimo 10 cm, il suo lancio che finisce dritto nei piedi dell'attaccante avversario, 1 a 0 per loro e questo perchè non sa calciare e non sa calciare povero perchè nessuno gli ha mai dato il tempo e lo spazio per imparare a farlo. Quindi? Sì, scegliere chi si vuole essere e stabilire come diventarlo è fondamentale ma purtroppo (o per fotuna per chi ha la forza di farlo) richiede tempo, pazienza e coerenza. Grandi sconosciute nel panorama del calcio giovanile dilettantistico che ho avuto modo di frequentare.

Spero che possa essere meglio in altre realtà.

Il mio primo maestro, condiviso con l'autore dell'articolo diceva: "Giocare a calcio è facile, basta esserne capaci". Oggi a calcio ci gioca non chi è capace, ma chi paga per giocare. Sta diventando purtroppo uno sport per benestanti.

Per gli eroi che sono arrivati fino in fondo, grazie.

P.S. : in Spagna, fino all'U16 credo, un giocatore sostituito può rientrare (come nel basket). Meditiamo...

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Grazie Nick, adesso mi hai dato un'ideona. Naturalmente il tuo contributo è stato apprezzatissimo come tutti i contributi di chi ha voluto condividere la propria esperienza. Ne farò tesoro... ma per davvero.

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lug 9Messo Mi piace da Giovanni Armanini

Allenatore-educatore: una figura rarissima, sia nel calcio che in altre discipline di squadra. Tra i molti validi motivi che hai citato, anche la mancanza delle competenze pedagogiche da parte degli allenatori di squadre giovanili, porta alla situazione che viviamo, con giovani che vengono demotivati e abbandonano, spesso non per limiti tecnici, ma per ostacoli psicologici che l'allenatore non solo non e' in grado di affrontare, ma nemmeno di individuare. Allenatori che puntano "alla vittoria come necessità" e non "come opportunità", per vanagloria personale, della societa', di alcuni gruppi di genitori. Tutto cio' avviene anche in squadre senza alcuna velleità "professionistica" dopo essersi regolarmente riempiti la bocca con la solita vuota formuletta "siamo qui per insegnare calcio (o basket o altro) non per vincere a tutti i costi", salvo poi smentirsi immediatamente gia' dopo la prima partita di campionato. Questo accade perche' nella stragrande maggioranza delle società, gli allenatori sono ragazzi poco piu' grandi dei loro "allievi" e vengono mandati allo sbaraglio senza alcuna preparazione, che non vada al di la' di un banale corso tecnico federale della durata di poche ore. La conseguenza piu' grave, non e' la successiva mancanza di talenti, ma la generale disillusione e demotivazione dei ragazzi che successivamente abbandoneranno lo sport. Ci sarebbe anche da spendere qualche parola sull'ampio ventaglio di sport disponibili tra cui i ragazzi (o i genitori) possono scegliere oggi, ma questo e' un altro discorso.

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Tanti spunti, quasi troppi, sia nell'articolo che nei commenti, su un argomento che mi interessa particolarmente visto che alleno da 20 anni praticamente solo nel settore giovanile. Secondo me i punti di vista dei diversi attori di questo mondo sono e devono rimanere diversi. Sono convinto che la piramide dell'NBA riportata nell'articolo debba essere chiarissima nella testa della federazione e ancora di più dei genitori, ma non condivido la frase "A me piacerebbe una Federazione capace di mettere ogni giovane calciatore di fronte alla realtà in questo modo", perché credo sia gusto che i ragazzini sognino di vincere la champions, e pure che ci credano. Poi si rendono conto da soli della realtà, e se sono cresciuti in un ambiente sano il risveglio non è nemmeno così traumatico. Vedendo la gente che gira mi sono fatto l'idea che il problema vero sono i genitori che un tempo sognavano per il figlio un futuro da medico e il "non è bravo a scuola ma gioca bene a calcio" era quasi un modo di consolarsi di un fallimento, mentre adesso hanno il calciatore (o l'influencer o quello che volete) come massima aspirazione per il figlio e il diventare medico diventa la soluzione di ripiego. Che fino a un certo punto può anche andare bene, ma significa che sono loro a non avere il contatto con la realtà. Questo però mi pare un problema più profondo su cui penso la federazione non possa fare troppo.

Sono d'accordo sull'assurdità delle quote, anche se mi piacerebbe vedere dei numeri, perché la mia impressione è che gli abbandoni non siano poi tanto diversi da quelli che ho sempre visto fin dagli anni 80/90.

Passando alla metodologia, trovo poco centrato l'esempio della costruzione dal basso. Come dice Nicola molto spesso il lancio lungo è una pallonata alla viva il parroco e altrettanto spesso una scorciatoia per vincere senza però far crescere i ragazzi, visto che il più delle volte quello che riesce a andare in porta sul lancio lungo quando passa di categoria non combina più niente visto che non ha imparato che possono esserci delle alternative. E' vero invece che quello che va insegnato e a fare delle scelte, ma sempre più spesso incontro allenatori che non danno soluzioni ma propongono problemi. Solo che questo tipo di approccio ha dei difetti. Innanzitutto è più difficile e anche lento, e poi mette in evidenza il giocatore e non l'allenatore, e questo a chi vede il settore giovanile come punto di partenza per arrivare alle prime squadre non può piacere.

Sempre per rispondere a Nicola, pensare a un telefono negli spogliatoi mi fa rabbrividire, ma a parte quello, per me si torna al discorso dei punti di vista diversi per attori diversi. Il mio obiettivo deve essere quello di formare un giocatore, e in questo il risultato conta poco, ma io voglio giocatori che in campo ci entrano per vincere. Che sappiano dare il giusto peso a vittorie e sconfitte, che sappiano che si lavora per vincere ma poi capita di perdere, che riescano a cogliere il buono che ci può essere in una partita persa e il brutto di una vinta, ma che comunque in campo ci entrino per vincere, altrimenti possono anche stare a casa.

Per finire, il discorso formazione dei tecnici. Intanto qualcosa è stato fatto perché per poco che sia sempre meglio avere allenatori che un corso lo hanno fatto che gente del tutto improvvisata, e si sta andando in quella direzione con l'obbligatorietà del patentino anche nelle giovanili (anche se credo sia più per fare contenta l'AIAC che per convinzione). Anche per la separazione fra settore giovanile e prime squadre qualcosina si muove (vedi Uefa C che abilita solo per le giovanili e un percorso diverso per i dilettanti, anche se poi per fare il corso Uefa A servono entrambi). A proposito di corsi, 700 euro per 120 ore di lezione a me non sembrano esagerati, ci sono evidentemente docenti di tutti i tipi, ma il cambio di direzione fra analitico e situazionale non mi scandalizza troppo, come in praticamente tutte le attività umane ci sono corsi e ricorsi, è come un pendolo e immagino che prima o poi si ritornerà a lodare l'analitico. Poi potrebbero evitare di farsi passare per gli unici depositari della verità, ma che cambino idea per me ci sta. Sull'accesso invece è vero che è troppo chiuso, ma se parliamo di un'attività che è praticamente volontariato non si può pensare di fare una formazione più importante di quella di adesso e a quel punto fra uno che ha giocato a calcio 20 anni e in 120 ore cerca di capire come insegnarlo e uno che sa come insegnare ma non sa fare un passaggio di interno a 5 metri siamo sicuri che sia meglio l'insegnante? Questo soprattutto nel settore giovanile, più avanti è meno importante, ma insegnare un controllo orientato senza saperlo fare mi sembra impossibile.

Mi rendo conto di avere fatto un bel minestrone, ma la carne al fuoco era veramente tanta.

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