Il bilancio 2024 dell'Italia di Spalletti
È stato l'anno del disastro agli Europei di Germania, ma anche di una ritrovata unità alla Nations League, finita con una significativa sconfitta con la Francia che ci dice esattamente chi siamo.
Berlino, 19 novembre 2024
Che cosa ti vuoi aspettare da un paese che ha la forma di una scarpa? (Freak Antoni)
Nel 2024 la nazionale italiana di calcio, allenata da Luciano Spalletti, ha disputato 14 partite (8-3-3).
Mai come in questi casi i numeri vanno pesati perché il puro responso quantitativo ci dice che è stata la seconda peggiore stagione delle ultime 5 mentre quello qualitativo ci farebbe concentrare sul disastro in Germania.
Però c’è una cosa interessante in quella tabella, ovvero che se guardiamo i numeri del 2020 e del 2021 sembra quasi che la vittoria a Wembley fosse in qualche modo scritta nei risultati di lungo periodo; che poi, ripeto, vanno pesati sul valore degli avversari, ma tant’è.
Iniziamo con il togliere di mezzo gli alibi.
Quando Luciano Spalletti dice “ho sbagliato solo con la Svizzera” dice una cosa onestamente non accettabile.
Una auto assoluzione fuori luogo su cui era meglio non tornare, in cui l’unica cosa umanamente comprensibile è la sua volontà di guardare avanti e quindi minimizzare il peso di quel torneo per dare al gruppo una prospettiva futura più ottimistica.
Ma per il resto, non scherziamo, quel torneo è stato un disastro anche quando faceva risultato.
Il gol di Zaccagni all’ultimo minuto contro la Corazia ci fece gioire e portò ad un profluvio di “io c’ero” degli influencers, ma non tolse la sensazione di precarietà che aleggiava intorno alla squadra, altro che “una sola partita”.
Mettiamoci anche un punto a favore, volendo: la Svizzera nel 2021 eliminò la Francia dagli Europei, non è certo una comparsa, e sempre più rappresenta un’insidia anche per le grandi nazionali.
Poi abbiamo disputato un girone di Nations League messo in positivo dal successo di Parigi, che avrebbe potuto andare anche meglio se non ci fosse stata l’espulsione di Pellegrini contro il Belgio.
Ma in generale credo che la nostra dimensione in questa stagione sia data dalle due partite della Nations League con la Francia: 3-1 a sorpresa a Parigi, 1-3 in casa quando c’era da non perdere con due gol di scarto.
Questi due risultati ci dicono che siamo sempre una squadra che quando si alza l’asticella, non solo del valore dell’avversario, ma soprattutto del valore del risultato, tende a sciogliersi.
Oggi Spalletti può contare su una rinnovata fiducia, e nessuno gli dirà nulla per quest’ultimo risultato: in fondo eravamo già qualificati, si dirà.
Eppure permangono su questa squadra due difetti che sono soprattutto suoi:
quando dici che sarebbe un grandissimo errore pensare al pareggio e poi perdi 3-1 devi farti qualche domanda, il belgiochismo militante ancora una volta si è avvitato su se stesso;
le convocazioni, ancora una volta, sono mirate ad un solo modo e modulo, ce lo dicono le esclusioni di Lucca e Orsolini, perché purtroppo il ct continua a ragionare da allenatore di club e non da selezionatore con tutte le alternative tattiche anche a gara in corso che potrebbe avere.
Certo, il rientro di Sandro Tonali ci dà qualità in mezzo, ma ad oggi continuano a mancarci i grossi calibri e quando il livello aumenta, ma soprattutto aumentano le pressioni, lo si vede chiaramente.
Alla fine credo che questa squadra non sia tanto dissimile da quella che ha perso in Germania. Di certo ha un valore superiore di quello che quest’anno la sua guida tecnica è stata in grado di far emergere.
E quindi mi pare giusto, qui, proporre una rilettura di quella lunga serie di analisi che ho offerto su Fubolitix all’indomani dell’eliminazione dall’Europeo:
Il calcio italiano è davvero in crisi? Non è facile analizzare lo stato dello sport più popolare del paese. In questa serie affronto gli argomenti che mi sembrano rilevanti per offrire un punto di vista diverso sullo stato delle cose.
Euro 2024, Gravina è responsabile? Ha senso chiedere le dimissioni di un presidente Federale in seguito ad una pessima prestazione della nazionale? Alcune riflessioni su ruoli e compiti della FIGC.
Autonomia dello sport, un valore da difendere. La furia iconoclasta di molti tifosi vorrebbe vedere lo sport riformato a colpi di sentenze, oppure cedendolo alle mani lunghe della politica. Ma tutto questo non è auspicabile.
La sostenibilità aiuta a vincere? Non solo conti a posto ma una vera e propria mentalità da promuovere, che abbracci l'intera piramide del calcio e l'approccio dei giovani calciatori al gioco più bello del mondo.
I giovani e il calcio: un problema nazionale? Educare al fallimento nello sport è una priorità assoluta - Va superato il sistema del "non bravo a scuola che però gioca bene a calcio" - Il mondo ipercompetitivo in cui viviamo va reinterpretato.
Club e nazionali: due mondi opposti. Analizzando i tornei internazionali l'identikit vincente porta al calcio come noi lo intendiamo: dalla presunta crisi si esce dimenticando la nostalgia per tornare alla nostra identità sportiva.
Note a margine.
I campioni d’oggi. Analizzando la situazione del Brasile, e le prove opache di Vini Jr. che brilla nel Real Madrid ma non con la sua nazionale, ESPN ci dice in realtà una cosa su tanti calciatori considerati oggi fuoriclasse ma che forse tali non sono. E la cosa è questa: ci sono giocatori abituati a giocare in squadroni tipo il Real Madrid, che nella gran parte delle sfide che giocano si trovano di fronte avversari largamente inferiori alla loro squadra, ma che quando i gap si assottigliano (come sempre più capita nel calcio delle nazionali), rivelano la loro natura di campioni incompiuti e di leader mancati. Vale per Vini e valeva negli scorsi anni, secondo me, per Neymar. Paradossalmente per molti anni e tornei pure per Messi. Ma credo che ognuno possa aggiungere i nomi che vuole.
La Francia invece. Se l’Italia non ride la Francia addirittura si lamenta e So Foot prima della sfida di Nations League con gli azzurri ha analizzato l’annata della squadra di Didier Deschamps dicendo sostanzialmente che i risultati sono sempre inferiori alle qualità tecniche. E qui possiamo forse completare il discorso precedente fatto per il Brasile ma da un punto di vista più collettivo: spesso quando si trovano dentro le loro nazionali i giocatori di valore medio alto vedono calare il loro rendimento qualitativo perché i dettami e le codificazioni tattiche meno rigide di quelle dei club impongono loro di mostrare qualcosa di più personale, direi creativo e imprevedibile, e non tutti (pochissimi) lo sanno fare, abituati come sono a un gioco ipercodificato.
La comunicazione della Roma. Michele Tossani fa una interessante analisi dell’arrivo di Claudio Ranieri a Roma, concentrandosi soprattutto sulla parte relativa alla comunicazione:
…la Roma ha emesso il comunicato del licenziamento del croato pochi attimi dopo il termine della gara interna persa col Bologna. La sensazione quindi è che la società non aspettasse altro e avesse il testo già pronto. C’è una certa logica, dato che Jurić era uomo scelto da Lina Souloukou, l’ex CEO del club capitolino.
Ma allora, se si era già pronti a dividere le strade col croato, perché non farlo dopo la batosta di Firenze (con la Roma sconfitta 5-1)? Rimandare una decisione già presa ha solo fatto perdere tempo.
E poi, con la scelta dell’esonero già maturata, perché tutta questa manfrina per trovare il nuovo allenatore? In questo senso, a leggere la stampa, l’impressione è che i Friedkin abbiano ricevuto diversi rifiuti da altri tecnici. O che abbiano tergiversato un po' troppo, finendo per stancare alcuni dei potenziali candidati.
Sono tutte valutazioni che confermano la mia opinione sulla vicenda: non c’è nessuna sfida in corso, Claudio Ranieri era l’unico nome buono per una stagione fallita in partenza (“se devi fallire fallisci in fretta”, scrive John Blain su More than a Game) che permette al tecnico romano di alimentare il mito a livelli che fin qui ricordo solo per Carlo Mazzone ed alla Roma di traghettare una stagione di cui si parlerà moltissimo, ma di cui da qui in avanti non ci sarà in realtà nulla da dire.
Outro.
Simulacri di sport.
Mi ha fatto particolarmente piacere il dibattito che si è aperto in seguito al Diario di venerdì “La fine del giornalismo sportivo per come lo abbiamo conosciuto” in cui tra le altre cose - richiamando il concetto dei simulacri di Jean Baudrillard - dicevo:
Per anni elemento di attrazione dei giornali di carta, da sempre figlio di un dio minore, più epico che fattuale, il giornalismo sportivo che abbiamo conosciuto nei decenni scorsi, semplificando direi prima dell’era Internet (dentro un mutamento già avviato da televisioni e radio private) è stato inglobato da social e mondi digitali: non resta che constatarne la metamorfosi.
Non la morte, ma una radicale trasformazione dentro la quale permane un approccio classico destinato a diventare minoritario e di cui forse, presto, perderemo la memoria.
Ebbene, per estensione si comincia a vedere questa cosa per estensione nello sport stesso.
L’incontro tra Mike Tyson e lo youtuber Jake Paul rientra in questa categoria.
Sia chiaro: eventi sportivi dimostrativi organizzati per puro spettacolo sono da sempre esistiti. Quello che cambia qui è l’hype intorno all’evento stesso, in grado di mandare in tilt i sistemi di trasmissione di Netflix (che ha dovuto pure scusarsi per il disservizio).
Poco conta che gli opinionisti (chi vuole fare giornalismo tradizionale) abbiano stroncato l’evento: una volta che hai pagato il biglietto e questo è andato all’incasso il resto per l’organizzatore conta quasi zero (se non in una logica futura, ammesso che esista ancora quell’esercizio chiamato memoria).
I passaggi sono abbastanza chiari: il contenuto batte la notizia, ma l’hype a sua volta batte il contenuto.
La stessa cosa vale per la Kings League presentata ieri in Italia.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni