La fine del giornalismo sportivo come lo abbiamo conosciuto
Per anni elemento di attrazione dei giornali, da sempre figlio di un dio minore, spesso più epico che fattuale, è stato inglobato da social e mondi digitali: non resta che constatarne la metamorfosi
Berlino, 15 novembre 2025
Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.
(Indro Montanelli)
Il mio amico Stefano Salandin, prima firma di Tuttosport sulla Juventus, spesso si lamenta:
…inutile studiare e ragionare, chiedere a chi li allena ogni giorno. Non interessa. Non qui. Ma neppure da altre parti “più complesse”.
Il riferimento è al mancato riconoscimento, dalla parte del pubblico, di una differenza intrinseca tra l’opinione del giornalista che ha accesso a allenatori e giocatori, e quella dell’uomo della strada, ma anche del content creator venuto dal nulla, del ragazzino nella sua stanza che legge cose in giro e le riporta.
È una rivendicazione sacrosanta, oggettiva, fattuale ma che nel mare magnum di Twitter incredibilmente passa per supponenza, per una arrogante rivendicazione di superiorità.
Io provo a trovargli una via d’uscita:
Il problema Stefano è che tu esprimi pensieri complessi su un social, questo, che semplifica in 280 caratteri. E quindi finisci per ondeggiare tra i verdetti della Sfinge e il pendolino di Maurizio Mosca. Sai che noi ci capiamo, ma il come e dove oggi conta più del cosa.
Ma poi alla fine il tema è più ampio: il giornalismo sportivo come lo abbiamo conosciuto è stato inglobato dall’enorme blob comunicativo creatosi con l’affermazione del web.
È stato fagocitato, e a breve, nel tempo di meno di una generazione, rischiamo di perderne la memoria.
Il filosofo francese Jean Baudrillard, che per me rappresenta sempre un grande punto di riferimento, nel suo “Il delitto perfetto” - peraltro scritto prima dell’era Internet - affronta il tema della sparizione della realtà, proponendo una riflessione critica sul ruolo dei media e della tecnologia nel nostro rapporto con il mondo.
L'autore sostiene che la realtà, così come la verità, è stata "uccisa" e sostituita da simulacri, ossia da rappresentazioni che imitano o sostituiscono il reale. Questo "delitto perfetto" non lascia tracce perché avviene senza violenza, in modo sottile: il mondo diventa sempre più una simulazione, una copia di se stesso, perdendo autenticità e profondità.
Lo so, vi è venuta voglia di leggerlo…
Baudrillard argomenta che i media e la tecnologia non si limitano a rappresentare la realtà, ma finiscono per sostituirla, creando un’iper-realtà fatta di immagini, simboli e simulazioni che sembrano più "vere del vero".
La realtà viene quindi uccisa da questa sovrapposizione di immagini che diventano indistinguibili dall'esperienza autentica. Di conseguenza, la nostra percezione della verità e della realtà si dissolve, poiché ciò che vediamo e viviamo è sempre filtrato da una rete di rappresentazioni virtuali e manipolate.
In sintesi, Baudrillard nel Delitto perfetto denuncia la scomparsa della realtà come un "crimine" commesso dal mondo contemporaneo, dominato dai media e dalla tecnologia, in cui l'autenticità viene sostituita da copie infinite, e il vero si perde in un mare di simulacri.
La stessa cosa secondo me si può portare nel giornalismo sportivo, dove la notizia (che è tale in quanto qualcosa è successo) è sostituita dal contenuto (che risponde alla necessità di alimentare gli algoritmi), e dove la bulimia del tifoso, che chiede costantemente di fagocitare informazioni sulla propria squadra, finisce per essere soddisfatta con una continua produzione di simulacri, appunto, che rappresentano la simulazione di notizie ma che tali non sono.
I “contenuti” che riempiono il web ma anche le tv locali che parlano di calcio 24/7 a prescindere dal fatto di avere qualcosa da dire.
È l’intrattenimento che fagocita il giornalismo.
Esiste un decalogo, approvato l’ultima volta il 31 marzo 2009 dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che in piena conformità con la Carta dei Doveri ha definito i fondamentali riferimenti deontologici della professione, esplicitando in modo sintetico alcune norme dedicate espressamente al giornalismo sportivo.
Lo si può trovare sul sito dell’Ussi, che è l’Unione della stampa sportiva italiana, ma voglio riproporlo qui di seguito.
Il giornalista sportivo riferisce correttamente, cioè senza alterazioni e omissioni che ne modifichino il vero significato, le informazioni di cui dispone.
Il giornalista sportivo non realizza articoli o servizi che possano procurare profitti personali; rifiuta e non sollecita per sé o per altri trattamenti di favore.
Il giornalista sportivo rifiuta rimborsi spese, viaggi vacanze o elargizioni varie da enti, società, dirigenti; non fa pubblicità, nemmeno nel caso in cui i proventi siano devoluti in beneficenza.
Il giornalista sportivo tiene una condotta irreprensibile durante lo svolgimento di avvenimenti che segue professionalmente.
Il giornalista sportivo rispetta la dignità delle persone, dei soggetti e degli enti interessati nei commenti legati ad avvenimenti agonistici.
Il giornalista sportivo evita di favorire tutti gli atteggiamenti che possono provocare incidenti, atti di violenza, o violazioni di leggi e regolamenti da parte del pubblico o dei tifosi.
Il giornalista sportivo non usa espressioni forti o minacciose, sia orali che scritte, e assicura una corretta informazione su eventuali reati che siano commessi in occasione di avvenimenti agonistici.
Il giornalista sportivo rispetta il diritto della persona alla non discriminazione per razza, nazionalità, religione, sesso, opinioni politiche, appartenenza a società sportive e a discipline sportive.
Il giornalista sportivo conduttore di programma si dissocia immediatamente, in diretta, da atteggiamenti minacciosi, scorretti, litigiosi che provengano da ospiti, colleghi, protagonisti interessati all’avvenimento, interlocutori telefonici, via internet o sms.
Il giornalista sportivo rispetta la Carta di Treviso sulla “tutela dei minori”; per la particolarità del settore pone particolare attenzione all’art.7 di detta Carta (tutela della dignità del minore malato, disabile o ferito).
So benissimo che qualcuno di voi avrà alzato gli occhi o sarà scoppiato in una fragorosa risata.
La realtà è che anche il decalogo più bello e ben scritto è nulla se non esiste la volontà di rispettarlo. E quello qui sopra è ampiamente disatteso.
Da tempo sono convinto che una libera associazione sarebbe molto più ligia alla deontologia rispetto ad un Ordine professionale, proprio perché quel mutuo riconoscimento che sta in una associazione nata su base volontaria ha più valore di una adesione imposta a qualcosa che in pochi sentono come proprio.
Peraltro in un mondo (non solo in Italia) dove esiste la figura del giornalista-tifoso o ancora, in un mondo in cui la produzione di contenuti è appannaggio dei club stessi, che quindi giocoforza devono assumere dei giornalisti per svolgere il lavoro, è evidente che quel concetto di indipendenza che aleggia sopra il decalogo sembra uscito dal libro dei sogni.
Ma non è dei buoni e dei cattivi che voglio parlare oggi quanto piuttosto del fatto che oggi la produzione di contenuti sportivi è stata inghiottita dall’intrattenimento e quelle regole non solo sono disattese, ma molti ignorano completamente le basi come il non fare pubblicità diretta ad un prodotto.
Prendete i creator online per i quali è del tutto normale sponsorizzare, prestare il proprio volto ad endorsement di prodotti da mostrare nei loro contenuti.
L’era del web, che ha facilitato l’accesso permettendo a tutti di creare un proprio canale ha confuso totalmente notizie e intrattenimento. Non ci rimane che prendere atto del fatto che il giornalismo sportivo come lo abbiamo conosciuto è oggi una nicchia di una più ampia produzione di contenuti.
Mi chiedo: ha ancora senso difendere la deontologia? Bisogna rivederla? Bisogna rivedere gli accessi all’Ordine dei giornalisti? O la sua esistenza stessa, quantomeno nel settore sportivo?
Non è un caso ad esempio se il più grande influencer calcistico del mondo, Fabrizio Romano, sia stato accusato in due momenti diversi di condotte non in linea con quelle che un giornalista dovrebbe tenere.
A inizio stagione a proposito di alcuni suoi tweet su Mason Greenwood, in passato a proposito di presunti accordi commerciali con i club.
E se anche fosse?
Chiedo: c’è differenza se una agenzia raccoglie pubblicità per una testata o se quella testata si chiama con il nome dell’autore, come accade sui social? Il confine è sottile come sottile è il momento in cui si passa dall’informazione all’intrattenimento.
Lui del resto fa notizia per i milioni di persone che lo seguono, ma la pratica è ampiamente diffusa a livello social. L’unica differenza al netto degli importi sarebbe quindi il nome della pagina?
Del resto la conduttrice di punta della principale piattaforma streaming, Diletta Leotta, non è iscritta all’Ordine dei giornalisti proprio per evitare il rischio dei limiti deontologici che le verrebbero imposti.
Un tempo si sarebbe detto a chiare lettere: sta esercitando la professione abusivamente. A lei viene concesso e quindi fa bene lei a massimizzare la monetizzazione della sua immagine.
Ha senso sollevare il dito ora?
Chiedo, perché onestamente non so. Ho argomenti pro e contro, ma non vedo là fuori un dibattito sul tema. L’impressione è che nessuno voglia scoperchiare il pentolone per paura di vedere quel che si sa esserci dentro.
Ho provato ad assumere dei praticanti, mi dicono che preferiscono lavorare ai loro social e mi hanno fatto notare che non hanno bisogno di formazione perché i numeri della loro audience sono la dimostrazione che quella cosa la sanno fare.
Queste parole me le ha dette poche ore fa un editore sulla sua esperienza di reclutamento di nuovi giovani.
Qualche mese fa dopo la morte di David Messina raccontai in “L’inventore delle cronache di calciomercato” come proprio questa fortunata branca del giornalismo sportivo sia stata la prima a puntare molto sulla leva della spettacolarizzazione e dell’entertainment a discapito della pura notizia.
Oggi, in epoca di algoritmi, tutto è moltiplicato centinaia di volte.
Ma attenzione: non siamo di fronte al dilemma dell’uovo e della gallina. Sappiamo bene quando è iniziata l’escalation. Ed allo stesso tempo dobbiamo ammettere che forse, questa evoluzione, era nella natura stessa del giornalismo sportivo.
Per anni elemento di attrazione dei giornali di carta, da sempre figlio di un dio minore, più epico che fattuale, il giornalismo sportivo che abbiamo conosciuto nei decenni scorsi, semplificando direi prima dell’era Internet (dentro un mutamento già avviato da televisioni e radio private) è stato inglobato da social e mondi digitali: non resta che constatarne la metamorfosi.
Non la morte, ma una radicale trasformazione dentro la quale permane un approccio classico destinato a diventare minoritario e di cui forse, presto, perderemo la memoria.
Come in un delitto perfetto.
Note a margine.
L’influencer in campo. Ed a proposito di dove si può spingere l’attività di un influencer c’è questa simpatica storia del Deportivo Riestra che in Argentina ha fatto debuttare un influencer. Lunedì, contro la capolista Velez Sarsfield, “Spreen” é stato schierato in attacco e ha giocato poco più di un minuto prima di essere sostituito senza aver mai toccato il pallone. Ora la Federcalcio argentina indaga per accertare che nessun illecito sia stato compiuto.
Marcia indietro. In questi giorni in cui si parla molto di diritti umani e di Arabia Saudita 2034, ovvero il Mondiale di calcio che presto verrà assegnato al paese, Joshua Kimmich, capitano della nazionale tedesca, ha espresso non senza grande sorpresa un certo rammarico per aver partecipato alla protesta durante i Mondiali del 2022 in Qatar, in cui i giocatori coprirono la bocca per denunciare la censura di FIFA sui diritti della comunità LGBTQ+. Kimmich ha dichiarato che questa posizione politica ha influito negativamente sull’unità e le prestazioni della squadra, sottolineando che gli atleti dovrebbero concentrarsi sullo sport più che sulle dichiarazioni politiche.
Serie A spaccata. Undici club di Serie A, tra cui Inter, Juventus e Roma, hanno rifiutato di supportare un ricorso della Lega Serie A contro il nuovo statuto della FIGC approvato il 4 novembre. La loro opposizione lascia la Lega senza la maggioranza necessaria per presentare il ricorso, anche se singoli club potrebbero agire in autonomia.
Outro.
Sporting Lisbona
Si è parlato molto nei giorni scorsi dello Sporting Lisbona, in seguito al passaggio di Ruben Amorim, il suo allenatore, al Manchester United. Tra le cose che meritano di essere lette ed evidenziate Game State ha svolto una analisi finanziaria evidenziando la strategia del club per compensare le limitazioni nei ricavi domestici, con un’attenzione specifica su entrate derivanti dal settore giovanile e dal calciomercato.
Il club anche nel 2023/24 ha ottenuto importanti entrate tramite la valorizzazione e la vendita di giovani talenti formati nel club, come evidenziato dalle cessioni di calciatori come Manuel Ugarte (60 milioni di euro al PSG) e Pedro Porro (43 milioni di euro al Tottenham).
Dal 2015, lo Sporting ha incassato circa 714 milioni di euro dalla cessione dei giocatori, somma maggiore rispetto ai ricavi da diritti TV e sponsor, posizionandosi come il secondo club portoghese per profitti da trasferimenti (dietro al Benfica).
Il calciomercato serve per compensare le perdite operative, che hanno raggiunto un massimo di 85 milioni di euro nel 2023/24. Grazie a trasferimenti record, lo scorso anno ha generato 99 milioni di euro di profitto netto dai trasferimenti, stabilendo un nuovo record di club e contribuendo al surplus complessivo di 12 milioni di euro per l’anno. Questo surplus è stato raggiunto nonostante la riduzione dei ricavi TV, dovuta alla mancata qualificazione alla Champions League, e all’aumento dei costi dei giocatori.
La gestione dei costi del personale è stata elevata, con un aumento dei salari del 18%, portando il rapporto salari/fatturato all'88%.
I ricavi complessivi dello Sporting sono scesi a poco più di 100 milioni di euro, un calo del 18% rispetto all'anno precedente, principalmente a causa dell’assenza in Champions League.
È del tutto evidente da questi numeri come il calcio inclusivo dell’Uefa in realtà abbia istituzionalizzato e cristallizzato ruoli, tra i club, che vanno oltre le logiche competitive.
Lo Sporting Lisbona è questo e, stante il sistema, questo sempre sarà.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
La prima parte dell'articolo è incredibilmente esplicativa: siamo tutti vittime, chi più o meno coscientemente, di un crimine silenzioso che è la scomparsa della realtà. Stessa cosa nel mondo dell'informazione e dei media. Però: io sono del 95, perciò personaggi come Montanelli e Terzani li ho conosciuti solo a posteriori, ma oggi mi pare che ci siano molti progetti editoriali e giornalistici interessanti e di alto livello, sia per capacità di analisi, che di scrittura: Fubolitix in primis, ma anche Ultimo Uomo e Rivista Undici (che riesce nella non banale operazione di avere sponsor come Eni e altri brand di livello e al tempo stesso manenere un ottimo stile senza eccedere nelle markettate), The Athletic, The Ringer, Lowe Post ecc ecc. E non solo nello sport: il principale sito di informazione della mia città (Reggionline) è un ottimo esempio di giornalismo di qualità (non sportivo) e di analisi, così come TP24 a Trapani in tema di giornalismo d'inchiesta o Storie Sport di Spiezia. Ora: io sono un topo di biblioteca e leggo tanto di e da tanti, ma altri leggeranno qua e la a seconda dei propri interessi, alzando il numero di persone che, evidentemente, non si accontentano del contenuto urlato di IShowSpeed. C'è speranza.
Come sempre molto interessante, ma in particolar modo oggi mi sento vicino al tema discusso e purtroppo cosciente di quanto esposto con estrema precisione. Contenuto molto apprezzabile e che dovrebbe far riflettere, soprattutto sul passaggio virgolettato legato al reclutamento dei giovani. Se il metro di giudizio diventa la quantità, non possiamo stupirci che la qualità sia destinata a essere nascosta e confusa nel marasma. Problema allargabile a tantissimi altri settori, soprattutto quelli artistici.