Il calcio italiano è davvero in crisi? [1/6]
Non è facile analizzare lo stato dello sport più popolare del paese. In questa serie affronto gli argomenti che mi sembrano rilevanti per offrire un punto di vista diverso sullo stato delle cose.
Berlino, 2 luglio 2024
Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza
Richard Fuller
Mi sono preso tempo per riflettere, 6 ore di viaggio da Łódź a Berlino mi sono sembrate un tempo congruo :)
Scrivere in movimento è sempre una bella esperienza.
Non ho visto la partita tra Italia e Svizzera, da tempo avevo deciso che quel giorno avrei fatto altro, ma questo non é un controsenso rispetto a quello che voglio scrivere qui.
Anzi, credo sia un valore aggiunto, perché se credete che quanto accaduto in campo contro gli svizzeri influenzi in qualche modo quel che scriverò beh, siete nel posto sbagliato.
Il 2-0 preso dalla Svizzera e il gol di Zaccagni all’ultimo minuto hanno una cosa in comune: il contesto di mediocrità in cui é maturato é lo stesso. E non è questione di belgioco o meno.
La Germania che dal 1954 al 2014 non ha mai fallito l’ingresso nelle prime 8 squadre del Mondiale e solo 3 volte su 16 non è stata tra le prime 4 ai Mondiali, viene da 2 eliminazioni consecutive nei gironi. E non vince l’Europeo ormai da quasi 30 anni;
La Spagna può essere considerata paese emergente del calcio mondiale: fino al 2010 non è mai stata nei primi 4 ai Mondiali ed ha vinto un solo Europeo nel 1964 (si giocava un quadrangolare);
Il paese con più tradizione calcistica al mondo e con il campionato più ricco, l’Inghilterra, non vince il Mondiale dal 1966;
Gli ultimi due paesi campioni del Mondo, Argentina e Francia, sono rispettivamente seconda e terza per esportazione di talenti all’estero.
Il terzo paese maggior esportatore di talenti, il Brasile, non vince il mondiale da 22 anni ed ha vinto una sola edizione della Copa America su 5, un torneo in cui due squadre partono sempre favorite per distacco.
Ho citato questi fatti perché voglio sgomberare il campo da facili semplificazioni.
Io non ho un modello o una soluzione e sarei stupido e supponente a pensare di averne.
Nei prossimi giorni parlerò del nostro sistema con una convinzione: che quella che noi chiamiamo “crisi del calcio italiano” altro non é che una crisi di identità che nasce all’inizio di questo millennio ed è sempre più profonda per alcune ragioni:
una ragione calcistica: tattica, prudenza, contropiede quando serve, tecnica come presupposto, non come manifestazione di superiorità, questi sono i nostri modi di intendere il calcio, ma non producono spettacolo e quindi risultano antitetiche rispetto alla narrazione dominante dei giorni nostri;
una ragione economica: all’inizio del millennio è entrato in crisi il modello mecenatistico che ha retto il nostro calcio sin dagli albori. Non è un problema di utili o perdite: i club italiani perdono da sempre, ma adesso non vincono più, finiscono in mano a fondi stranieri o a proprietà italiane inadeguate al ruolo per quanto pronte a mettere mano al portafoglio. Non è un problema di utili e perdite, è una questione di plusvalenze per sopravvivere e di paletti del Fair play finanziario spiegati a chi fino a ieri scialacquava per vincere ed oggi è insostenibile e perdente.
una ragione generazionale: quelle passate (baby boomer e Gen X) intendevano il calcio come sport per antonomasia, quasi senza alternative. I giovanissimi (buona parte dei millenials e la Gen Z) lo intendono come opportunità non esclusiva, come possibilità nella misura in cui questo mi dà protagonismo e partecipazione (la dinamica “social), un’opzione dentro un ventaglio di scelte.
Non cerco capri espiatori e non parlerò di Luciano Spalletti e della spedizione tedesca.
Perdere fa parte del gioco del calcio e solo un’idea stupida e un po’ razzista dello sport pretende che l’Italia in quanto tale debba stare ai vertici per diritto.
Se gli altri sono meglio di te vai a casa, punto. Tutti noi anche se non ce ne rendiamo conto siamo granelli dentro la storia: se saremo bravi ci rifaremo, altrimenti saremo la nuova Ungheria potenza calcistica degli anni 50 scomparsa dai radar.
Vale per tutti, non solo per l’Italia e non crediate che gli scandali federali o le spedizioni fallimentari non siano all’ordine del giorno anche in Spagna, Germania, Francia, Inghilterra, ovvero i paesi con cui maggiormente ci confrontiamo per dimensione economica, politica e sportiva.
Ma come si fa ad esere meglio degli altri? Suggerirò alcune chiavi di lettura cercando sempre di separare, come si dice, il grano dal loglio, perché personalmente vedo tanta confusione sotto il cielo.
Non pretendo di avere risposte granitiche, ma opinioni si, e di queste opinioni rivendico complessità e fondatezza.
I temi chiave secondo me:
la posizione del presidente FIGC;
l’autonomia dello sport;
il calcio di club e delle nazionali;
la sostenibilità come metodo;
il calcio di base: giovani, dilettanti… e Coverciano.
Mi piacerebbe, tuttavia, ricevere sia qui che sul canale Youtube, le vostre riflessioni per poter fare una puntata di Q&A (domande e risposte) una volta che avrò esaurito tutti gli argomenti.
Vorrei selezionare una decina di argomenti, tra i più originali e i più gettonati, per dare vita ad un confronto costruttivo tra di noi.
Se volete partecipare lasciate un commento qui, oppure su Youtube.
Note a margine
65 milioni di dollari. Sono l’indennizzo che i Detroit Pistons devono a Monty Williams dopo aver licenziato l'allenatore dopo solo una stagione con la squadra. La scorsa estate, Detroit ha reso Williams l'allenatore più pagato della NBA con un contratto di sei anni da 78,5 milioni di dollari totali. I Pistons hanno concluso la stagione con il peggior record della lega, 14–68, che includeva una serie di 28 sconfitte consecutive, la più lunga nella storia della NBA.
Contro corrente. O se preferite: anche i ricchi piangono. I diritti dei media sportivi continuano a generare enormi ricavi negli USA, ma potrebbe essere la classica fiammata della lampadina bruciata. Nonostante il calo degli abbonati TV, i diritti di trasmissione degli sport continuano ad aumentare. Recenti accordi includono: French Open +435%, College Football Playoff +115%, NASCAR +40%, NBA +155%. Le principali compagnie TV hanno perso 1,35 milioni di clienti nel primo trimestre del 2024: Comcast 487.000, Spectrum 405.000, Dish TV 348.000, YouTube TV 150.000, causando perdite di centinaia di milioni di dollari.
Io ballo da sola. La FIFA vuole raccogliere fino a 2 miliardi di dollari per espandere il servizio di streaming Fifa+, collaborando con UBS. La raccolta fondi potrebbe iniziare a luglio, con investitori mirati negli Stati Uniti e Medio Oriente. Fifa+ ha stretto un accordo per trasmettere tutte le competizioni della Oceania Football Confederation per i prossimi due anni. La piattaforma, lanciata nel 2022, offre oltre 40.000 partite live all'anno, contenuti originali e archivio. Non è chiaro come Fifa utilizzerà i fondi raccolti, ma potrebbero essere destinati a sviluppo tecnologico, marketing e acquisizione diretta di diritti.
Outro
Un mondo di paradossi
In chiusura della lettera odierna rinnovandovi l’invito a commentare e partecipare, vorrei chiedervi di riflettere su alcune situazioni reali nel mondo del calcio.
Quello che mi fa rabbia, e lo dico facendo una parentesi che esula dal contesto calcistico, è che la narrazione nazionale della resilienza, del recupero ostinato, del risultato insperato, dell’impossibile che diventa possibile, sta diventando sempre più casuale, sempre più preghiera e sempre più fine a se stessa.
Perdiamo treni più o meno volontariamente raccontandoci che un raggio di luce dal cielo a un certo punto ci benedirà, alimentando una fede cieca, oziosa, illogica. Non si sa come e dove, ma la speranza non muore mai.
Faccio risalire la deriva di questo costume nazionale ai primi anni 90 quando Gene Gnocchi scrisse “Il culo di Sacchi” un libro comico ma di grande acume, che in sostanza era la consolazione di una generazione che per formazione non credeva minimamente alle predicazioni del vate Arrigo Sacchi da Fusignano ma si affidava alla sua proverbiale fortuna.
Era l’Italia neo berlusconiana, ed oggi in era post berlusconiana assistiamo all’attecchimento sistematico del culdisacchismo di cui Zaccagni è stato l’ultimo autorevole esponente e depositario, l’unto del signore si diceva un tempo.
Vale per il paese reale e per lo sport in generale in cui ultimamente vanno anche di moda il “siamo campioni a pallavolo”, “siamo i migliori nel tennis” e “siamo i più veloci del mondo” senza capire se esistono nessi e concause che ci portino in qualche modo a consolarci sulla base a ragioni e meriti.
Siamo solo all’inizio, rimaniamo in contatto e discutiamone, in questi giorni, perché ci sono tante cose da dire.
A domani!
Giovanni
Ciao Giovanni,
Come sai, leggo sempre le tue newsletter con molto interesse. E anche questa volta sei riuscito a catturarmi con una lettura diversa da tutte quelle che ho trovato in giro. Infatti la narrativa principale dopo il disastro della nostra Nazionale è più o meno: "Oddio, siamo in crisi! Come facciamo ad uscirne?". Come fai solitamente, invece, ti sei posto un passo indietro chiedendoti (e chiedendoci) se davvero il nostro calcio sia in crisi.
Invece di rispondere, la domanda che invece io vorrei fare a te, spostandomi ancora più lontano, è la seguente: "Se anche il nostro calcio fosse in crisi (e potrà esserlo per i prossimi decenni), perché dovrebbe essere un problema?".
È la domanda che mi frulla in testa da qualche giorno, e che, molto stranamente, ho postato anche su LinkedIn (cosa che non faccio praticamente mai).
Come paese stiamo eccellendo, non so se per fortuna o pianificazione, in tantissimi sport: tennis, pallavolo, atletica, nuoto per dirne alcuni.
E questo mentre il calcio è da diverso tempo che non è più un ambiente sano praticamente su molti livelli, economico e sociale su tutti.
E se quindi questo potenziale fallimento del mondo del pallone sia invece una opportunità di spostare l'attenzione e la pratica sportiva verso altri sport, peraltro più completi ed indicati per uno stile di vita più salutare?
Per completare il mio ragionamento, provo a farti due esempi pratici:
1) Ho vissuto per circa 3 anni a Copenhagen, dove peraltro sono andato a vedere alcune partite del FC Copenhagen (disclaimer: non un grande spettacolo). Al netto del rocambolesco Europeo del 92, non si può dire che il calcio danese sia mai stato particolarmente d'elite, né per la squadra nazionale né come campionato. Tuttavia, in tutti i parchi pubblici (btw, perfettamente tenuti e perfettamente lasciati dopo l'attività) vedevi moltitudini di persone di tutte le età giocare ed allenarsi perfettamente organizzati. Allo stesso modo, nella società di consulenza per cui lavoravo si organizzava da anni una partita di calcetto ogni settimana alle 7 di mattina (disclaimer: anche questo non un grande spettacolo, giocano con delle regole assurde). Da quel che ho potuto vedere, il calcio viene quindi vissuto in maniera sana, le società giovanili sono in salute e ben organizzate e giocare a pallone è sinonimo di inclusione (non per altro, vedi giocare anche molte ragazze e la loro squadra nazionale femminile è molto forte). Forse non tutti seguono il campionato danese, guardando piuttosto la Premier League e "tifando" una squadra di un altro paese (cosa che ho sempre ritenuto curiosa). Ma è davvero un problema?
2) Sviluppiamo "fanta giochi" sportivi, tra cui il Fanta basket ufficiale di Eurolega, e siamo rimasti allibiti dalle numeriche esagerate di utenti che portano paesi come Serbia, Croazia e Slovenia. Abbiamo quindi fatto un accordo con un grosso gruppo editoriale balcanico (United Group) che aveva spinto il gioco di Eurolega per fargli il Fanta Euro 24 su 8 siti. Avendo tutte le nazionali con buone prospettive, ci aspettavamo numeri incredibili. Invece non ha raggiunto minimamente i numeri del basket. E' successo anche per ragioni come un lancio con tempi più ridotti ed organizzato meno bene, ma in ogni caso questo mi ha colpito. Come ben sai, in quei paesi la cultura sportiva è eccellenza pura: nonostante i pochi milioni di abitanti, hanno il più forte giocatore della NBA ed un altro che è giusto arrivato alle Finals, il più forte tennista della storia e quello che potrebbe essere il più grande ciclista di sempre. Anche sul calcio hanno avuto ottimi risultati (la Stella Rossa, la recente Croazia), ma - con le dovute eccezioni - anche le loro spedizioni a Euro 24 non sono state particolarmente brillanti. E per il poco che abbiamo potuto toccare con mano, anche l'interesse non era minimamente paragonabile a quello del basket. Ma anche qui ricorre la stessa domanda: è davvero un problema?
Certo, il calcio è una industria. Ma come tutte le industrie, ci possono essere momenti di crisi in cui l'interesse e l'indotto vengono distribuiti su altri canali, in quella che è una continua evoluzione di domanda ed offerta.
E per ciò che riguarda il tessuto sociale, ripeto: non mi sembra che il calcio stia più assolvendo a quella funzione da tempo.
Scusa per il lungo commento e a presto :)
Enrico
Ciao Giovanni, ti leggo/seguo da qualche giorno e mi piace!
io mi limito a scrivere dell'ultimo punto poiché ci lavoro; il calcio di base e i giovani nei dilettanti.
Il divario tra il calcio dei dilettanti e il calcio dei club professionisti aumenta sempre di più. Vuoi per i numeri dei giovani oggi minori rispetto a 30/40 anni fa; gli stessi giovani che o riescono a giocare a buoni livelli oppure lasciano, proprio perché un tempo c'era solo il calcio ora le proposte sportive sono molteplici. Un tempo si poteva scovare il giocatore nei dilettanti , oggi si sente sempre meno. A 20 anni se non sei nel club professionista non ti vede più nessuno. Io sono tra quelle persone che credono che i "Torricelli" per dirne uno, ci siano ancora. Credo si debba colmare il "gap" o per lo meno, accorciare la forbice di tra professionismo e dilettantismo dal punto di vista economico con una redistribuzione delle risorse economiche e di competenza. Quindi una redistribuzione capillare delle conoscenze e di cultura sportiva che ancora tra i dilettanti manca.