Il fallimento calcistico della Cina e le strategie future
Nel 2015 per la prima volta lo sviluppo del calcio era presente in un piano quinquennale cinese. Ecco cosa è successo da allora e quali sono le strategie future del paese.
Nel 2015, la Cina annunciava ambiziosamente il suo progetto per diventare una superpotenza calcistica entro il 2050.
Promosso direttamente dal presidente Xi Jinping - grande appassionato di calcio - il piano prevedeva investimenti colossali, l’espansione della Super League cinese (CSL), e la formazione di migliaia di giovani talenti.
Dieci anni dopo, quel sogno sembra sempre più distante. Ma cosa è andato storto?
Non voglio parlare dei casi Milan e Inter, le due società di maggior rilievo internazionale finite in mani cinesi e passate da esperienze egualmente finite male: la prima con una insolvenza sanata dall’azionista di minoranza (Elliott) e la seconda con un pignoramento da parte di un creditore (Oaktree). In entrambi i casi due fondi americani, pur assai diversi tra loro.
Il piano calcistico nazionale cinese lanciato nel 2015 puntava a ospitare (e vincere) una Coppa del Mondo entro il 2050, rendere la China Super League una delle leghe più forti del mondo entro il 2030, formare oltre 50.000 scuole calcio entro il 2025.
In breve tempo, club cinesi come Guangzhou Evergrande e Shanghai SIPG iniziarono ad acquistare star internazionali (come Oscar, Hulk, Lavezzi, Hamsik e Tévez) offrendo ingaggi faraonici. L'idea era che la qualità straniera avrebbe alzato il livello interno e ispirato i giovani.
Tuttavia, il progetto si è scontrato con profonde criticità.
Gli investimenti erano guidati da conglomerati immobiliari (come Evergrande) o aziende legate allo Stato, spesso più interessate al ritorno d’immagine che a una gestione sostenibile. Quando il governo ha imposto controlli sul debito e sul flusso di capitali all’estero, molti club sono crollati sotto il peso dei debiti.
La CSL ha perso diversi club professionistici tra il 2020 e il 2023.
Più che sport, il calcio è stato usato esclusivamente come veicolo di propaganda e soft power. Questo ha portato a decisioni politiche, non tecniche. Gli investimenti in infrastrutture e giovanili sono stati spesso superficiali o guidati da logiche top-down.
E qui c’è una prima lezione: si può forzare la natura di business del calcio, ma non si può mai prescindere da una solita base organizzativa che ne rispetti le dinamiche e i tempi competitivi.
Questo va detto anche e soprattutto perché a differenza di paesi calcisticamente forti, in Cina manca una cultura popolare del calcio.
Il pubblico preferisce ancora NBA o e-sports. La passione non si impone dall’alto.
Nonostante gli investimenti, la nazionale cinese è rimasta deludente. Dopo la storica qualificazione ai Mondiali del 2002, la Cina non è più riuscita a tornare sul palcoscenico globale.
L’importazione di campioni non ha prodotto un miglioramento nei giocatori locali. E qui se volete potete trovare alcuni spunti in quel che io ho scritto in “Club e nazionali: due mondi opposti” a proposito del calcio italiano.
Il governo ha imposto in divenire tetti salariali e limiti agli stranieri per “riequilibrare” il sistema, ma questi cambiamenti improvvisi hanno disincentivato investitori e ridotto l’attrattiva della lega.
Il fallimento del piano cinese nel calcio risiede nella sua impostazione dirigista, economicamente sbilanciata e culturalmente disconnessa.
Il calcio, come altri sport, si costruisce nel tempo attraverso la passione popolare, l’educazione sportiva diffusa e la competizione meritocratica — elementi che non si possono pianificare semplicemente con denaro e decreti.
Il sogno cinese del calcio, almeno per ora, resta un esempio di come anche le grandi ambizioni possano infrangersi contro la realtà delle complessità sportive e culturali.
Per usare una parola a me cara: le identità.
Dal 2015 ad oggi la Cina sembra tuttavia aver imparato dai propri errori, e se la sua strategia di soft power dieci anni fa sembrava a senso unico sul calcio, ora vi è una interessante diversificazione a cui guardare.
Recentemente The Conversation ha analizzato come la Cina stia cercando di rinnovare la propria immagine globale utilizzando elementi della cultura pop, con l’obiettivo di diventare una nuova potenza “cool” agli occhi del mondo. Invece di affidarsi solo alla forza economica o militare, Pechino punta su film, musica, moda, influencer e social media per guadagnare consenso internazionale.
Va menzionato che certamente i cinesi hanno guardato al più eclatante caso di softpower culturale asiatico dell’ultimo decennio, quello della Corea del Sud, che per anni ha promosso una immagine cool di quel paese, appannatasi tuttavia alla luce degli ultimi fatti politici che hanno messo in discussione il sistema democratico. Per saperne di più vi consiglio questa puntata di Globo, podcast del post sulle cose del mondo, dedicata alla Corea del Sud, registrata a fine gennaio 2025.
Cosa hanno fatto quindi i cinesi per veicolare la loro immagine nel mondo?
Cinema e serie TV: Produzioni cinesi stanno aumentando in qualità e diffusione, mirando a raccontare storie locali con appeal globale, spesso promuovendo valori nazionali e un'immagine moderna della Cina.
Musica e K-pop cinese: L’industria musicale cinese sta crescendo, cercando di emulare il successo della Corea del Sud con il K-pop, con idol e boy band cinesi sempre più presenti online.
Moda e lifestyle: Designer e influencer cinesi stanno ridefinendo lo stile asiatico, contribuendo a una visione più “trendy” della Cina nei contesti giovanili internazionali.
TikTok e Douyin: Le piattaforme digitali, in particolare TikTok (versione globale di Douyin), sono strumenti fondamentali per esportare contenuti culturali e influenzare gusti e tendenze giovanili nel mondo.
Narrativa alternativa alla cultura occidentale: La Cina promuove una visione del mondo che sfida la predominanza culturale americana, cercando di mostrare che anche un sistema autoritario può essere moderno, creativo e culturalmente ricco.
In sintesi, la Cina sta ridefinendo il concetto di soft power attraverso la cultura popolare, puntando a conquistare le menti e i cuori del pubblico globale, soprattutto dei giovani, con uno stile accattivante e contenuti digitali virali.
Naturalmente per nascondere che siamo pur sempre in presenza di uno stato totalitario, con libertà assai limitata e il record mondiale di esecuzioni capitali confermato anche nel 2024.
E qui è bene menzionare che sebbene lo sport non sia più così centrale nelle politiche di piano cinesi, l’ambito sportivo non è stato certo abbandonato.
La Cina ha investito significativamente nella costruzione di infrastrutture sportive in vari paesi, una strategia nota come "diplomazia degli stadi". Questi investimenti mirano a rafforzare le relazioni bilaterali e a migliorare l'immagine della Cina all'estero. Ad esempio, in Africa, la Cina ha costruito numerosi stadi e centri sportivi, contribuendo allo sviluppo dello sport nel continente e consolidando la propria presenza geopolitica.
Ospitare eventi sportivi di rilevanza mondiale è un'altra componente della strategia di soft power cinese. Le Olimpiadi di Pechino 2008 hanno rappresentato un momento cruciale, mostrando al mondo le capacità organizzative e la modernità della Cina. Questi eventi servono non solo a promuovere l'immagine del paese, ma anche a stimolare l'interesse per la cultura e lo stile di vita cinesi.
Le aziende cinesi stanno aumentando la loro presenza nel mondo dello sport attraverso sponsorizzazioni e acquisizioni. Queste iniziative non solo promuovono i marchi cinesi, ma facilitano anche la diffusione della cultura e dei valori cinesi attraverso lo sport.
È quindi evidente che lo sport gioca un ruolo complementare in questa strategia. Attraverso investimenti in infrastrutture, organizzazione di eventi e collaborazioni internazionali, la Cina - che pare aver imparato dai propri errori - utilizza lo sport per migliorare la propria immagine globale e rafforzare le relazioni internazionali.
E questa sua immagine tornerà sicuramente utile nei rapporti con gli altri paesi nella guerra commerciale dichiarata dagli USA al mondo (ma alla Cina in particolare).
Note a margine.
Sport femminile. Due giorni fa facevo notare ancora una volta il trend di crescita dello sport femminile da tutti i punti di vista. Mi ha colpito a tal proposito l’ultimo post di Evie Ashton (ieri) - una influente giornalista che si occupa di questioni femminili sportive - che sostiene di non voler vedere lo sport femminile crescere. L’articolo mette in discussione la narrativa dominante secondo cui la crescita economica debba essere l’obiettivo principale dello sport femminile d’élite. Contrariamente alla retorica di sponsor, media e governi, l’autrice invita a chiedersi: crescita di cosa, per chi e a quale costo? Pur riconoscendo i benefici economici, denuncia come il culto del profitto riproduca disuguaglianze e trascuri giustizia, benessere e inclusività. Atlete diventano prodotti, i tifosi clienti, mentre disabili e sport di base vengono ignorati. Il punto di vista è originale perché rifiuta la crescita come metrica universale del progresso, proponendo invece un modello centrato sul "prosperare" collettivo.
Regole a la carte. Evangelos Marinakis ha temporaneamente rinunciato al controllo operativo del Nottingham Forest per conformarsi alle normative UEFA che vietano la partecipazione di club con la stessa proprietà nella medesima competizione europea. Marinakis possiede anche l'Olympiacos, leader del campionato greco e prossimo alla qualificazione in Champions League. Con il Forest attualmente sesto in Premier League e in corsa per un posto in Europa, Marinakis ha trasferito le sue quote in un blind trust e si è ritirato formalmente dalla gestione del club. Questa mossa mira a evitare conflitti di interesse, garantendo la conformità alle regole UEFA.
Top 10. A Madrid si è finalmente compiuto il sogno: Lorenzo Musetti entra per la prima volta in carriera nella Top 10 del ranking ATP. È un traguardo annunciato, ma non per questo meno emozionante. Dopo anni di alti e bassi, di "genio e sregolatezza" che lo avevano spesso avvicinato più a Fabio Fognini che a Jannik Sinner, Musetti oggi sembra aver trovato il bandolo della matassa. E la terra rossa ha fatto da cornice perfetta a questa maturazione.
Outro.
All’improvviso una sentenza.
Ieri in tanti hanno osservato il riposo festivo del primo maggio, festa dei lavoratori, in cui i giornali erano chiusi.
Ha invece lavorato la procura federale della FIGC che ha emesso un comunicato sul caso ultras di Inter e Milan che trovate su Calcio e Finanza.
Le tempistiche, i risultati, ma soprattutto il silenzio mediatico totale delle ultime settimane ci danno a mio giudizio la certezza plastica che attorno alla vicenda ci fosse una volontà chiara volta a silenziare e minimizare.
Il mio non è un giudizio sulla sentenza ma sulla gestione della vicenda. Soprattutto se confrontata con casistiche simili in passato.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
Stesso commento del buon Paolo Ziliani che anzi, faceva un confronto fra gli strilli ipocriti odierni a confronto di...