La sostenibilità aiuta a vincere? (4/6)
Non solo conti a posto ma una vera e propria mentalità da promuovere, che abbracci l'intera piramide del calcio e l'approccio dei giovani calciatori al gioco più bello del mondo.
Berlino, 8 luglio 2012
Qual’è il modo più veloce per diventare milionario? Essere miliardario e comprare un club sportivo. (vecchio detto di Wall Street in disuso)
Quarta lettera dedicata alla serie di riflessioni sulla crisi del calcio italiano.
Già pubblicate:
Il calcio italiano è davvero in crisi?
Euro 2024, Gravina è responsabile?
Autonomia nello sport, un valore da difendere
Oggi parliamo di un tema che mi sta a cuore, la sostenibilità, mentre nei prossimi due giorni mi dedicherò a:
il calcio di base: giovani e dilettanti;
il calcio di club e delle nazionali.
Vi anticipo una cosa di cui parlerò nei prossimi giorni: il calcio di club e delle nazionali sono due cose diverse.
Non siamo all’Ikea, non si acquista la borsa blu perché ci piace quella gialla, le due cose sono diverse hanno diverse finalità e vanno sviluppate secondo le loro peculiarità.
Ma il contesto in cui queste cose si sviluppano e la capacità di individuare il come e il perché si opera e ragiona in una certa logica fa tutta la differenza del mondo.
Ah, dimenticavo: Contesto è anche il nome della nuova newsletter di Nicolas Cariglia in cui si parla di calcio e di creators economy, e secondo me vale la pena di seguirla con attenzione.
Iniziamo da alcuni numeri.
In base agli ultimi dati di bilancio disponibili (2023) il fatturato aggregato delle squadre italiane di Serie A porta ad una perdita aggregata di 400 milioni di euro. Quello della Bundesliga a un utile di 40 milioni (ne ho parlato qui e qui).
In base ai dati CIES i club della Liga Spagnola, che investono nell’acquisto di giocatori stranieri 1/3 degli italiani, schierano 4-5 volte in più i giocatori cresciuti nel vivaio (ovvero che dai 16 ai 21 anni hanno giocato almeno tre stagioni nel club in cui militano). Ne ho parlato qui.
Spagna e Germania sono le due nazioni che più somigliano all’Italia per livello dei ricavi tv, degli investimenti e dei risultati europei.
Il dominio europeo della Spagna a livello di club (che ha vinto 9 delle ultime 15 Europa League con 3 squadre diverse e perso una finale), oltre alle note Champions di Real Madrid e Barcellona è nato negli anni in cui i club medi e piccoli hanno dovuto rientrare di un debito enorme che li metteva a rischio fallimento.
Non è mia abitudine parlare di “modelli” e tanto meno di paesi da imitare. Odio quando si prende lo spunto da una vittoria per parlare di club modello, secondo me al contrario il modello lo si vede nella sconfitta più che nella vittoria.
Ho citato Spagna e Germania per dimostrare che se ci sono idee, identità e capacità manageriali si possono ottenere risultati anche perseguendo la sostenibilità.
E attenzione perché a farci domande sulla Spagna dovrebbero essere gli inglesi molto più di noi, perché i loro club sono più ricchi ma negli ultimi anni hanno vinto molto meno degli spagnoli…
Dove sta il segreto?
Vincere nello sport è un obiettivo che va perseguito come opportunità.
Quando vincere diventa necessità, quando se non si vince si va incontro ad un fallimento economico o sportivo, quando perdere diventa una minaccia esistenziale, a quel punto emergono tutti i limiti di un sistema sbilanciato e controproducente.
Vale per chi punta alla Champions league come per chi lotta per non retrocedere. E vale per le nazionali. Si può vincere in tutte le condizioni.
Vincere non ha una formula, è l’eccezione che tocca a uno dentro una moltitudine. Io lo dico a modo mio, perdonatemi l’autocitazione ma è il mio mantra giornalistico sportivo:
Chi vince ha sempre ragione, ma non sempre chi perde ha torto.
Voglio declinare questo ragionamento su due diversi piani: quello economico e quello sportivo. Del primo parlo oggi, del secondo più approfonditamente nel capitolo dedicato ai giovani.
La sostenibilità economica.
Cos’è conta di più? Vincere oggi o essere nelle condizioni di vincere continuativamente nei prossimi anni?
Per chi scende in campo la prima, ma per chi pianifica e analizza dovrebbe essere la seconda.
Io lo so che alla fine tutti pensate che vincere una volta, costi quel che costi, sia meglio che perdere 5 volte ed essere sostenibili.
Ma questo vale per chi scende in campo ed ha l’occasione di una vita: voi come tifosi tra due o quattro anni sarete ancora lì e sarete ancora voi stessi a prescindere.
Chi si occupa di management ha ben chiara una cosa: l’armonia organizzativa è una condizione per competere e competere è essenziale per vincere.
Ci si può attrezzare per competere. Ma la vittoria si lega a tante variabili incontrollabili.
Lavorare sulle variabili controllabili è quindi l’unica cosa fondamentale che si può fare per aumentare le possibilità di vincere.
Se potessimo per una volta allargare la visuale capiremmo che nel lungo periodo la sostenibilità porta più benefici, anche se a volte necessiterà di sacrificare un trofeo sul suo altare.
La sostenibilità in tutte le sue declinazioni non è un favore che fai alla Covisoc ma la prima pietra da posare se vuoi costruire fondamenta solide e durature in un club.
C’è poi una questione fondamentale di base.
Il sistema deve sostenerti in questa missione, ma non esiste alcuna legge imposta che possa sostituirsi alla sincera convinzione di risultare sostenibili ed equilibrati perché questo porta benefici di lungo periodo.
Un sistema come quello italiano in cui le maggiori perdite sono in capo ai club maggiori e più vincenti degli ultimi 20 anni non è un sistema sano.
Che fare?
Entrambi gli aspetti elencati sopra secondo me devono avere azioni appropriate.
superamento del Fair play finanziario prima di tutto all’interno e in seconda istanza attraverso una forte opera di lobbying a livello europeo per superare le attuali regole UEFA:
Salary Cap definito (non una percentuale sui ricavi);
forte riduzione dei prestiti tra società;
superamento del paracadute;
blocco delle rose (solo Under 21 dopo un numero di giocatori prestabilito (conta poco se siano 22 o 25, mi interessa il concetto);
nel lungo periodo (e giocoforza nell’intero sistema calcistico mondiale): superamento del valore patrimoniale dei cartellini, i giocatori sono liberi professionisti, non asset di un club;
va promosso un sistema non sbilanciato, in cui se retrocedi non rischi il fallimento entro tre anni:
riunificazione della lega di Serie A e B (16 + 16) con distribuzione del miliardo di diritti tv su due livelli come da modello tedesco;
riduzione delle retrocessioni e promozioni tra categorie;
allargamento dei requisiti di promozione oltre che al risultato sportivo a bilanci, progettualità, strutture sportive e bacino d’utenza;
Perché dovrebbe funzionare?
Se si vuole sviluppare il gioco al di là del risultato bisogna fare in modo che le competizioni diminuiscano a tutti i livelli il rischio immediato di fallimento sportivo.
Un campionato come la Serie B in cui ogni anno cambiano 7 squadre su 20 è impossibile da pianificare nel medio lungo periodo e questo inevitabilmente si riflette sul tipo di progettualità e di gioco da sviluppare.
Una promozione e una retrocessione attraverso i playoff darebbero invece a tutti la possibilità di pianificare e lavorare sulla crescita e la sostenibilità anziché sull’obiettivo immediato.
In Italia non potrebbe mai esistere un Amburgo che da ormai 5 anni non riesce a salire in Bundesliga ma nonostante questo ha sempre conti in ordine (grazie anche al modello tedesco della distribuzione dei diritti tv).
Tutti partono con le buone intenzioni ma ai primi colpi di vento il primo non prenderle, le astuzie e la palla in tribuna diventano regola.
Note a margine
L’esclusiva non conta più. ESPN si è detta aperta a condividere i suoi diritti di trasmissione della WNBA (il maggior campionato di basket femminile americano) con altri broadcaster affermando che l’esclusiva non è un diritto fondamentale per chi trasmette gli eventi sportivi. È una frase sorprendente che va in netta controtendenza con quelli che sono i meccanismi di acquisizione dei diritti tv e che lascia interrogativi aperti.
Autonomia. Sul tema dell’Autonomia della Serie A dalla Federcalcio registriamo le parole del presidente di Lega, Lorenzo Casini: «La Serie A ha deciso. L'autonomia è un bene per tutti», ma anche gli interventi difensivi di UEFA e Quirinale. Popcorn.
Diritti tv dimezzati. La Ligue 1 francese negli ultimi anni ha rappresentato quasi sempre un curioso benchmark in materia di diritti tv. Durante il Covid fu l’unica a sospendere e non riprendere, successivamente dovette incassare il fallimento diel canale di Lega promosso MediaPro ed ora sembra orientata a dover accettare un dimezzamento del valore dei diritti tv che pretendeva di vendere a 1 miliardo ma che al momento non incasserebbe più della metà. È un campanello d’allarme da non sottovalutare per nessuno.
Outro
Investimenti americani
Nella sua newsletter del sabato, Dan Kaplan di Front Office Sports (un giornale online americano che racconta lo sport business, finanziato tra gli altri da RedBird, proprietario del Milan) fa una interessante analisi sulla crescita degli investimenti nello sport dei capitalisti americani, investimenti che come sappiamo hanno ricadute anche in Italia dove il prossimo anno quasi metà della Serie A sarà in mano a capitali stranieri.
In particolare Kaplan si ferma su alcuni punti che vale la pena fissare qui:
Lo sport continua a crescere come classe di attivi, soprattutto dopo la legalizzazione delle scommesse sportive nel 2018. L'espansione globale delle squadre e delle leghe, compresi gli sport femminili, rappresenta nuove opportunità per i fondi di private equity. Il settore delle leghe universitarie sarà il prossimo grande obiettivo per gli investitori.
I valori delle franchigie sportive sono aumentati notevolmente, attirando l'attenzione di fondi di private equity e altri gestori professionisti di grandi capitali. Questa crescita è stata alimentata dall'ecosistema in espansione di tecnologia, scommesse e media legati allo sport.
Gli investimenti globali nell'industria sportiva professionale sono cresciuti da meno di 10 miliardi di dollari nel 2008 a oltre 30 miliardi di dollari recentemente. Questo incremento è dovuto a una combinazione di tendenze degli ultimi 5-10 anni che hanno reso lo sport un'opportunità d'oro per i fondi di private equity.
I moderni fondi di private equity sono cambiati rispetto al passato. Ora sono disposti a investire per periodi più lunghi senza caricare di debiti le nuove acquisizioni, a differenza del passato in cui miravano a comprare aziende sotto-performanti per smembrarle e rivenderle.
La tecnologia ha modernizzato il settore sportivo, rendendolo attraente per gli investitori. I diritti media, sia per le trasmissioni tradizionali sia per lo streaming, hanno aumentato il valore delle squadre.
A presto!
Giovanni