Moneyball è morto, lunga vita a Moneyball
Gli Oakland Athletics giocano oggi l'ultima storica partita al Coliseum: lasciano un vuoto sportivo ma un grande lascito culturale. Proviamo a riflettere sul reale impatto dell'analisi dati nel calcio
Berlino, 26 settembre 2024
Politica vuol dire realizzare (Alcide De Gasperi)
Oggi gli Oakland Athletics giocheranno la loro ultima partita al Coliseum, casa loro dal 1968.
Per una curiosa coincidenza nello stadio degli A’s, nato per il baseball, in futuro si giocherà prevalente a calcio. L’Oakland Roots, squadra di calcio della USL, giocherà lì la stagione 2025 (capienza a 15 mila posti). Il gruppo AASEG vuole acquistare il Coliseum per 230 milioni di dollari e trasformare l'area in un hub residenziale e di intrattenimento.
La fama degli Oakland Athletics crebbe in tutto il mondo grazie a Moneyball, la storia di come un club di baseball riuscì a migliorare le proprie prestazioni adottando massicciamente la data analyisis nelle strategie di acquisizione e gestione del talento.
Da anni ormai non c’è conferenziere improvvisato (il tema si presta particolarmente) che non inizi un suo qualsiasi intervento parlando di data analyisis nello sport menzionando l’esistenza stessa di Moneyball come se ci stesse rivelando uno dei misteri di Fatima. Senza menzionare i giornalisti che lo evocano a sproposito ogni volta che qualcuno parla di algoritmi adottati da un club. Ma il tempo passa, le storie cambiano ed anche i conferenzieri dovranno aggiornarsi. Gli A’s sono destinati a finire a Las Vegas, mentre nel frattempo giocheranno 3 stagioni a Sacramento.
Accadde in uno sport in cui peraltro i dati venivano ampiamente usati anche prima: la rivoluzione di Moneyball fu il modo in cui questi venivano utilizzati, ovvero la sabermetrica, a conferma che a fare la differenza non è il dato, ma il cervello umano che lo interpreta.
Qualcosa di simile ce lo diceva Zdenek Zeman quando lavoravo alla Panini Digital a inizio anni 2000:
Conta la lettura. Se non sei capace di leggere i dati il tuo report cartaceo serve solo per accendere il fuoco.
Che poi era la versione applicata alla data analytics del suo più celebre: “Non importa quanto corri, ma dove corri e perché corri”.
Ricordo ad esempio che lui ci chiese di dare colori diversi ai tocchi di palla degli esterni difensivi del suo 4-3-3, che lui voleva vedere solo nel primo o nell’ultimo terzo (recupero o rifinitura) mentre nel secondo terzo di campo li giustificava solo se relativi a calci piazzati. Un chiaro esempio di come a fare la differenza fosse l’interpretazione, non il dato.
In Italia Moneyball è conosciuto per il film “L’arte di vincere” del 2011 basato sul libro del 2003. Una storia di 21 anni fa che ha avuto successo nel primo decennio di questo millennio.
Moneyball alla fine è stato un po’ come la Democrazia Cristiana, quando si sciolse finimmo per trovarne pezzetti in tutti i partiti. Ma la parte più importante non riguardò tanto le persone, quanto il processo che portò al fatto che “essere moderati”, in politica, finì per passare da metodo a contenuto (con danni inenarrabili, ma questo è un altro tema).
Al contempo, peraltro, non mi sembra di poter dire che gli austeri democristiani somiglino ai politici di oggi. Ed allo stesso modo faccio fatica a dire che la data analysis sia oggi la metodologia prevalente per capire i cambiamenti nel gioco del calcio.
Su The Athletic recentemente Michael Cox rifletteva proprio su questo: possiamo veramente dire che i dati hanno cambiato il calcio?. Scrive Cox:
Il dibattito sull’analisi dei dati è stato inevitabilmente, e in una certa misura giustamente, inquadrato come “nerd dei fogli di calcolo” a sinistra contro “uomini del football della vecchia scuola” a destra.
Personalmente, mi collocherei piuttosto a sinistra, forse intorno a 0,85 xSN. Accetto che ci siano sempre elementi immateriali quasi impossibili da misurare (…).
Ma avendo letto e apprezzato ampiamente 10 libri sull'analisi (…), ho fatto fatica a tracciare una linea retta da A a B.
Una questione di sfumature, quindi.
Il mito del cambiamento radicale dovuto ai dati potrebbe è certamente esagerato. Il calcio è cambiato, ma non certo per esclusivo merito dell'analisi statistica.
L'influenza dei dati nel calcio è di certo meno impattante rispetto ad altri sport come il baseball o il cricket, dove i dati hanno chiaramente modificato tattiche e strategie di gioco.
Questo forse lo sapevamo fin dall’inizio: stiamo parlando di un gioco basato su un flusso ininterrotto di eventi e a basso punteggio, non di un gioco situazionale basato sulla ripetitività e alti punteggi.
Sicuramente il calcio è cambiato (meno tiri da lontano, più passaggi ravvicinati giusto per citare due cose) ma queste tendenze erano già in atto prima dell'uso diffuso dei dati. L'influenza di allenatori come Pep Guardiola ha avuto un impatto maggiore sullo stile di gioco moderno rispetto all'analisi dei dati.
L'analisi dei dati in particolare non ha rivoluzionato il gioco nella sua creazione, soprattutto a livello tattico o di prestazioni individuali.
Ed è un fatto che le squadre di calcio usano i dati principalmente per il reclutamento dei giocatori e per valutare i trasferimenti, piuttosto che per cambiare strategie di gioco.
Al contempo l’analisi live delle partite e le decisioni prese su base statistica a partita in corso certamente esistono, ma in quantità limitata: raramente porta a cambiamenti concreti nelle tattiche, rispetto ad altri sport dove i dati influenzano maggiormente le decisioni.
Guarderei piuttosto a due ambiti interessanti per capire cosa realmente sia quanto meno evoluto, se non radicalmente cambiato:
la cultura aziendale del calcio è stata certamente influenzata dai dati, molto più del modo in cui si gioca a calcio sul campo. Certo, non bisogna commettere l’errore di raccontare i dati come fossero il sacro Graal. Chi li utilizza sa che si tratta di uno strumento in grado di orientare le decisioni. Ma alla fine le scelte sono prese da persone sulla base di elementi interni ed esterni non misurabili, oltre che statistici.
la produzione di contenuti analitici e giornalistici è stata influenzata dai dati molto piú di quanto pensiamo. Alcuni esempi: abbiamo relativizzato il puro possesso palla, si vede un crescente utilizzo dei gol attesi (xG) e di alcune metriche correlate, abbiamo un’idea più plastica di alcuni dati come gli assist (grazie anche all’adozione nei fantasy games) e delle aree di gioco. Ci siamo evoluti nella definizione dei moduli al punto che oggi è sempre più limitativo utilizzare una sola formula (ad esempio 4-4-2) per descrivere la dislocazione in campo dei giocatori.
Su questo tema vi invito a leggere una interessante analisi di Calcio Datato che spiega molto bene il livello di profondità che possiamo dare alle nostre analisi in un episodio dal titolo significativo: “Non ti fidare dei dati” che si basa sostanzialmente su questa immagine
In questa immagine, in particolare, io riconosco il mio stesso approccio che è alla base di quello che io ho scelto come mio personale livello di analisi ad esempio per i pezzi di Io li ho visti così in cui sostanzialmente mi fermo al terzo livello di questa piramide con rare incursioni nel quarto.
Personalmente poi devo molto alla data analysis perché è grazie a Digitalsoccer Project se la mia carriera a tempo pieno in quel mondo a metà tra consulenza, analisi e creazione di contenuti iniziò nel 2000.
Ed è sicuramente grazie alla spinta a cercare un approccio originale alla lettura del calcio se in questi ormai quasi 25 anni il mio stile giornalistico si è evoluto dando vita alla newsletter che state leggendo, che si occupa a 360 gradi di aspetti economici, finanziari e aziendali, ma anche di campo in modo analitico, come presupposto per porre domande e avventurarsi nella complessità, più che per dare risposte certe e monolitiche..
Note a margine.
Everton ai Friedkin. Nulla da aggiungere alla analisi completa che Calcio e Finanza ha offerto sull’acquisizione dell’Everton da parte della famiglia Friedkin proprietaria della Roma. Dal quadro generale sulle regole Uefa relative alle multiproprietà, alle rassicurazioni sull’impegno invariato per i giallorossi, fino alla analisi di scenario con le diverse chiavi di lettura (in ottica sempre romanista) dell’affare. Per ora personalmente credo che l’unica vera certezza per i romanisti è che l’Everton versa in condizioni economiche talmente disastrose che è difficile pensare che nel breve periodo gli americani possano metterlo al centro del progetto, non ultimo per il fatto che competere in Inghilterra è particolarmente difficile e porta spesso, soprattutto negli ultimi anni, a spese enormi a fronte di ritorni non sempre garantiti.
Lazio ok. Intanto sull’altra sponda calcistica della capitale la Lazio ha presentato conti record al 30 giugno 2024: un utile pari a 38,50 milioni di euro, primo dopo 5 anni di perdite. Il fatturato al netto delle plusvalenze è stato il più alto di sempre: 195,5 milioni (in netta crescita rispetto ai 148,33 milioni dell’esercizio precedente). I costi si sono attestati a 153,72 milioni di euro (145,01 milioni di euro nel 2022/23).
L’alibi perfetto. A quanto pare vendere l’idea che se nei prossimi anni i diritti tv caleranno sarà per colpa della pirateria è diventato un alibi perfetto da utilizzare non solo in Italia. L’ultimo in ordine di tempo ha provarci è stato il presidente della Liga Spagnola, Javier Tebas, mentre in Italia l’Agcom sta provando a estendere alle VPN l’obbligo di disabilitare l’accesso alle partite illegali. In “La pirateria è un reato ma va capita e contenuta” ho affrontato il tema da un punto di vista diverso, dopo che nel numero 39 di Fubolitix “La pirateria, fenomeno mondiale ed endemico” avevo snocciolato alcuni numeri a sostegno di un approccio più ragionato al problema e meno autoassolutorio, come invece tendono a voler fare le leghe europee.
Outro.
Il Var, seriamente.
Nell’estate 2017 ebbi l’onore di assistere alla prima partita ufficiale disputata in Europa con l’ausilio del VAR: Feyenoord - Vitesse di Supercoppa d’Olanda, 5 agosto 2017, quando ero in Olanda a seguire gli europei femminili (unico giornalista italiano accreditato all’evento… quando dicono che sei uno che fa cose “alternative”).
Peraltro in quella partita ci fu un bel caso controverso che potete rivedere qui: rigore non dato, gol sul fronte opposto, richiamo del var, gol annullato e rigore convalidato. Si capi subito che il sistema esponeva a qualche rischio, al di là della bontà delle scelte.
Ora, diversi anni dopo l’adozione il sistema viene apertamente contestato in alcuni paesi come ad esempio in Norvegia, mentre recentemente in una delle mie note a margine ho ripreso un articolo di Martin Cloake sulla sua newsletter “The Football Fan” critica duramente il VAR, definendolo il peggior sviluppo nel calcio moderno.
Per capire prese di posizione così nette dobbiamo immedesimarci in una cultura, quella nordica e anglosassone, che ha storicamente avuto un grado di accettazione superiore alla nostra rispetto agli errori arbitrali.
Secondo l’autore il VAR ha danneggiato l'essenza del gioco, trasformando l'esperienza dei tifosi in una di frustrazione e confusione. Piuttosto che eliminare gli errori, il VAR ha introdotto nuove controversie, rallentando il ritmo delle partite e distruggendo la spontaneità che rende il calcio unico.
L'articolo conclude che il VAR non ha migliorato il gioco, ma ha invece complicato inutilmente il calcio.
Mi pare sia giunta l’ora di una riflessione profonda tra quello che è tecnologia e quello che è supporto arbitrale. Sulla prima indietro non si torna, sul secondo farei qualche approfondimento.
Ogni riferimento al gol convalidato al Pisa sabato contro il mio Brescia (minuto 3’20” qui) è puramente casuale e non voluto. Su questa fattispecie ho interpellato 5 persone tra esperti Var, arbitri, moviolisti senza ottenere una interpretazione omogenea.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni