Per cosa tifiamo, veramente?
Il Napoli ha 4 scudetti o soltanto 2? Il Torino attuale è erede di quello di Superga? E il Lanerossi Vicenza esiste ancora o la matricola del Bassano ne ha annullato l'eredità? Ditemelo nei commenti.
Il 17 luglio 1911 la Victoria, l'Unione Sportiva Bresciana e la Gimnasium si fusero, dando vita al Foot Ball Club Brescia. La storia vuole che i ragazzi che decisero questa svolta si fossero riuniti in un locale all’angolo tra via Antiche Mura e via Gabriele Rosa, dettaglio che mi è sempre piaciuto un sacco perché ho sempre trovato bellissima l’idea di raffigurare un momento storico dentro uno scorcio cittadino ancora esistente, una via che ho attraversato migliaia di volte quando passeggiavo da casa al giornale nei miei anni a Bresciaoggi.
Nella sua storia il Brescia ha avuto diverse denominazioni: Foot Ball Club Brescia dal 1911 al 1936, Associazione Calcio Brescia dal 1936 al 1976, Brescia calcio dal 1976 al 1994 e Brescia calcio spa dal 1994 agli anni recenti quando veniva identificata dalla sua proprietà come Brescia calcio Bsfc.
Oggi nasce l’Unione sportiva Brescia. Esattamente 114 anni dopo. Il 17 luglio.
Per effetto del cambio di denominazione della Feralpisalò (di cui avevo scritto qui ampiamente quando venne promossa in Serie B). Giocherà allo stadio Mario Rigamonti, avrà un’identità del tutto riconducibile a quel Brescia: il leone della città, il biancoazzurro. Immagino anche la V bianca, e mi piacerebbe vedere anche una maglia arancioblu a strisce come quella dei pionieri.
Quando la stessa cosa è accaduta a Vicenza o a Piacenza il dibattito che si è creato è stato il medesimo: ripartire, ma da dove ripartire? Ognuno naturalmente è libero di scegliere, anche di cambiare opinione se necessario, nessuno ha dogmi o risposte in tasca.
Il problema più ampio è questo: per costa tifiamo, veramente?
Quando nel 2004 il Napoli fallì dopo anni di crisi finanziarie, il 2 agosto 2004 il Tribunale fallimentare di Napoli decretò la fine della "Società Sportiva Calcio Napoli". Il 6 settembre 2004 Aurelio De Laurentiis acquisì il titolo sportivo e fondò la nuova società con il nome di Napoli Soccer. Grazie a questa acquisizione e all'intervento della FIGC, il club fu riammesso in Serie C1 iniziando una nuova era con una matricola federale nuova.
Chi ha vinto, quindi, gli ultimi due straordinari scudetti napoletani? Il club di Maradona o un’altra cosa? Credo onestamente che in pochi a Napoli abbiano dubbi in proposito.
Mi chiedo quindi se altre grandi società fallite, la Fiorentina che giocò un anno come Florentia Viola, il Parma, il Torino, siano da considerare eredi naturali dei club cittadini finiti in guai finanziari o meno.
Possiamo dire di si. Oppure possiamo dire che no, queste società sono una cosa diversa e quindi il Napoli non ha 4 scudetti, ma soltanto 2.
E quando ci saremo dati una risposta non possiamo dimenticare che in altri sport le rinascite spesso hanno tagli con il passato molto più netti. Basta guardare gli albi e i palmares per vedere come spesso si tende - in altri sport - a marcare più chiaramente le storie dei club.
Ma rimaniamo a noi. Per cosa tifiamo veramente?
Riprendo quello che ha scritto mio fratello Alberto in questi giorni su un forum di tifosi:
Si tifano le squadre di calcio o le partite iva? All’inizio del prossimo campionato esisterà una squadra che si chiamerà Brescia e giocherà al Rigamonti. Non basta questo per dire che la storia è salva?
La storia non è in un numero di matricola (…cut…). E la storia non è nemmeno un logo. Tutte le società di calcio hanno fatto almeno 4 o 5 rebranding nel corso della loro storia. Brescia compreso.
Nei giorni scorsi invece parlavo con un tifosissimo come Paolo Frusca, bresciano che vive a Vienna, noto pure come scrittore (a me è piaciuto molto il suo “Una casacca di seta blu” sulla storia di Bela Guttmann).
E lui alla domanda “Per cosa tifiamo veramente?” mi ha risposto con un audio whatsapp (dopo avermi spiegato la storia del Napoli di cui sopra):
Noi tifiamo i ricordi. Questo è quello che noi tifiamo secondo me.
E se arriva qualcuno, in questo caso Giuseppe Pasini, che fa in modo che questi ricordi vengano mantenuti, io non vedo veramente nessuna difficoltà a seguirlo.
Mi pare peraltro che la città e le persone siano in gran parte schierata con lui. Ma noi tifiamo i ricordi e i ricordi non sono la partita Iva depositata in FIGC.
Sono sostanzialmente d’accordo con entrambi ma secondo me c’è di più.
Esattamente come a scuola ci hanno insegnato che lo Stato ha degli elementi costitutivi (che sono un popolo, il territorio, la sovranità) che permettono di identificarlo, parallelamente io mi sento di dire che una società sportiva deve avere elementi identificativi.
E il primo è comune ed è il popolo. Il quale esprime la propria appartenenza andando allo stadio, tifando, affezionandosi al club ed esprimendo in vari modi il proprio attaccamento.
Se all’inizio del prossimo campionato ci sarà un Brescia in C e ce ne sarà uno in Eccellenza e quest’ultimo avrà migliaia di spettatori mentre il primo lascerà il Rigamonti deserto saremo di fronte ad una chiara presa di posizione, il popolo avrà scelto ed allora ci saranno questioni da porre, da porci, forse da affrontare sul piano politico.
Anche la sovranità ha il suo equivalente. Non esiste un club se non vi è una società iscritta ad un qualche campionato. E la storia è piena di cambi di sovrano e anche di minoranze che non riconoscono il sovrano, ma poi - banalilzzando - si tirano le somme, la maggioranza decide e la minoranza è libera di andarsene senza per questo dove essere perseguitata o perseguita oltre.
A questo punto, tuttavia, l’identificazione di un club calcistico diventa cosa ancor più seria ed al terzo posto ci può stare il territorio (lo stadio come luogo della rappresentazione di quella territorialità) ma non solo.
Io credo - e questa è la cosa più importante - che una parte consistente delle scelte del tifoso riguardino l’identità. Una identità che nel caso di un club di calcio si esprime nella simbologia e che semplificando possiamo definire con il nome ufficiale del club, il logo, i colori sociali e gli eventuali simboli storici.
Come vedete qui siamo dentro confini più variabili. E in qualche misura ha un ruolo anche lo stadio.
Fateci caso, in molti a Brescia (come un po’ ovunque) vorrebbero pensare a qualcosa di alternativo allo stadio Rigamonti (vi evito il dibattito degli ultimi 30 anni). Eppure oggi, nel momento del regime change, lo stadio diventa un elemento identificativo fondamentale. Per questo intanto bisogna piantare la bandiera, per questo quell’intervento che ha tagliato i lucchetti d’entrata ha appassionato così tanti.
Poi magari il Rigamonti tra qualche anno verrà ristrutturato e si dovrà anche emigrare temporaneamente come successo ad altri. Ma oggi nel momento della rinascita lo stadio diventa un elemento centrale.
Non sto parlando solo di Brescia, parlo del calcio moderno e del suo modo di parlare alla gente, alla sua gente.
I giornali sono pieni di riflessioni sulla commercializzazione dello sport, sulla perdita di identità, sugli eccessi del marketing. Ma anche ad esempio sulla presenza di proprietà straniere che inevitabilmente hanno un impatto sulla percezione identitaria di cui dicevamo.
Prendete l’esempio limite. In moltissimi dicono il peggio possibile dell’RB Lipsia, macroscopica operazione RedBull di marketing sportivo nata dall’acquisizione di una società dilettantistica. Quella narrazione è talmente dominante che si ha quasi soggezione a far notare che poi la realtà non è univoca come la si legge.
Del resto negli ultimi anni l’affluenza è sempre superiore ai 45 mila in uno stadio da 47 mila. Ovvero oltre il 90% di riempimento.
Anche lì il popolo ha scelto. L’RB Leipzig è “il Lipsia”.
Ovvio poi che ogni città può avere tante squadre di calcio quante ne vuole, e che tutti si possono richiamare alla tradizione che vogliono.
Io stesso vi ho raccontato in “Il calcio del popolo” di essere stato a Praga con altri 700 tifosi dell’FC United of Manchester, club che i tifosi che non si riconoscevano più nel Manchester United dei Glazers hanno fondato quasi 20 anni fa, per seguire quella squadra in una partita internazionale.
Quel che voglio dire è che in fondo, tutto è concesso e nulla è giusto o sbagliato, quando si parla di identità sportiva. Diverso è il piano giuridico legale, ma qui ciascuno risponde poi per il proprio ruolo e le proprie responsabilità a un impianto che per sua natura è ben più monolitico di quello assai liquido delle identità sportive e del tifo.
Per cosa tifiamo, insomma? Forse ognuno ha una risposta molto personalizzata e sarebbe bello che voi me lo diceste nei commenti. Io ho provato a dare il mio contributo.
Note a margine.
Disuguaglianze. Il commissioner MLB Rob Manfred ha evidenziato come il divario salariale nella Major League Baseball continui ad ampliarsi, con il 10% dei giocatori che guadagna quasi tre quarti degli stipendi totali. Manfred ha sottolineato la necessità di un cambiamento strutturale nei modelli economici, soprattutto a causa delle trasformazioni nel settore media e delle critiche sul bilanciamento competitivo tra squadre. Tuttavia, la proposta di introdurre un salary cap incontra forte opposizione da parte della MLB Players Association, che la considera una minaccia ai diritti dei giocatori e un tentativo di aumentare i profitti delle franchigie. Il problema delle squadre a basso budget è riconosciuto ma resta irrisolto.
Guerra Fifpro FIFA. La guerra tra la FIFA e il sindacato mondiale dei calciatori FIFPRO (fermi, lo so, fa già ridere così, altro che Davide e Golia) sembra destinata a proseguire dopo l’ennesima accusa di quest’ultimo al presidente Gianni Infantino, definendo «una finzione» il quadro positivo dipinto sulla Club World Cup. FIFPRO denuncia l’esclusione dalle discussioni sulla tutela dei giocatori e critica le condizioni estreme del torneo, con temperature elevate e calendari saturi che mettono a rischio la salute degli atleti. Il presidente Sergio Marchi paragona Infantino a Nerone, accusandolo di ignorare le difficoltà reali dei calciatori, alle prese con precarietà e poca protezione. La gestione unilaterale, finalizzata al profitto economico, ignora il dialogo e la sostenibilità umana, alimentando tensioni che si riflettono anche nelle contese legali su calendario e diritti dei giocatori.
Nuovi standard. Gli Europei femminili 2025 in Svizzera stanno segnando un record storico per il calcio femminile, con oltre 600.000 biglietti venduti prima dell’inizio e più di 460.000 spettatori solo nella fase a gironi, dimostrando un crescente interesse e passione per questo sport. Le partite sono quasi tutte sold out, con molteplici record di affluenza, come la gara Germania-Danimarca con 34.165 spettatori, la più vista in Svizzera. Il torneo non è solo evento sportivo, ma un vero e proprio movimento che sta elevando gli standard del calcio femminile e ampliando la sua base di tifosi.
Outro.
La spesa per gli eventi sportivi in Italia nel 2024 conferma il dominio incontrastato del calcio, che rappresenta ben il 76,1% del totale, con un giro d’affari superiore a 611 milioni di euro, secondo il rapporto SIAE.
Questa cifra è nettamente superiore rispetto a tutti gli altri sport, evidenziando un divario enorme tra il calcio e le discipline minori. In media, un tifoso spende circa 21,3 euro per assistere a una partita, valore che supera i 30 euro nelle regioni con maggiori tradizioni calcistiche come Lombardia e Piemonte.
La fotografia offerta da Calcio e Finanza dà l’esatta dimensione.
Nel complesso, il calcio pesa per oltre 11 miliardi di euro sul PIL italiano, con quasi 130mila occupati diretti, e con ricavi in crescita trainati da diritti televisivi, sponsor e scommesse. Gli altri sport, pur in crescita, non riescono ad avvicinare queste cifre né in termini di spesa diretta né di impatto economico globale. La differenza sostanziale testimonia come il calcio sia non solo lo sport più seguito, ma anche il vero motore economico del settore sportivo italiano.
Ciao Giovanni, sembra quasi una domanda da lettino con l'analista di fronte... Cosa tifiamo? Forse tifiamo noi stessi: la squadra è una forma di rappresentazione di sé resa pubblica e condivisa con tantissime altre persone. È un modo per sostenersi, riconoscere la propria storia attraverso un catalizzatore che è la nostra squadra, scelta in giovane età per i motivi più disparati. Rappresentare se stessi, quando si tifa per la squadra della propria città, vuol dire anche sentirsi parte più profonda di una collettività vissuta giorno per giorno, che tramite la competizione sportiva si spera che possa affermarsi come migliore, più forte di altre realtà. Tifiamo la nostra storia, individuale e collettiva, teniamo in piedi i ricordi della nostra vita, che le vicende della squadra di calcio tengono legati nella memoria. Tifiamo qualcosa che riteniamo esprima i nostri sentimenti e una parte della nostra identità. Perché, alla fine, il tifo è una forma di amore fortemente passionale
Il tifo lo vedo un po' come un'espressione tribale e di campanilismo. Il tifo esiste solo se c'è un rivale. E quando la nostra squadra vince ci battiamo il petto in questa lotta virile contro gli altri cavernicoli. Ci gasa che qualcuno dimostri la nostra superiorità che sia sportiva, ma anche morale.