Quanto vale davvero il calcio italiano?
In nessun posto al mondo il termine "europeo" è sinonimo di qualità in contrapposizione al termine che definisce l’appartenenza alla propria nazione (italiano) sinonimo di calcio noioso.
Berlino, 13 novembre 2024
Da almeno tre settimane ho una domanda che mi frulla nella testa: quanto vale realmente il calcio italiano di club?
Sono convinto, ve lo dico in premessa, che ci stiamo perdendo qualcosa, abituati come siamo ad essere critici con l’esistente e nostalgici dei bei tempi andati.
Ma mettiamo un po’ di ordine, con una seconda premessa. Ho detto “calcio italiano di club” di proposito perché considero “Club e nazionali due mondi opposti” come ho avuto diffusamente modo di dire.
Quindi l’obiezione “eh ma non andiamo ai mondiali” qui viene rigettata con fastidio. I club sono un’altra cosa. Parliamo di questo.
Al termine di Napoli - Atalanta (0-3), Dario Marcolin su DAZN (che in Germania trasmette anche le telecronache in lingua originale e quindi di conseguenza i postpartita) si è rivolto a Giampiero Gasperini in questi termini:
Complimenti, l’Atalanta sembra una squadra europea, non mi sembra nemmeno di stare in Italia.
In nessun posto al mondo il termine europeo è sinonimo di qualità calcistica, mentre il termine che definisce l’appartenenza alla propria nazione (italiano, nel nostro caso) all’opposto è sinonimo di scadente e noioso.
Non ho ben capito quando sia nato questo complesso, anche perché giustamente su twitter (scusate non ce la faccio a chiamarlo X, tanto capite di cosa stiamo parlando no?) Mauro Erriu mi fa notare:
Non vedo cosa non avessero di europeo il Milan o la Juventus degli anni 90 o l’Inter dei 60 o il Torino di Radice nei 70 che l’Atalanta di Gasperini ha oggi.
Da analista di cose economico-sportive allargo la visuale e immagino che la genesi del pregiudizio di cui sopra sia all’inizio di questo millennio nella transizione da un decennio di dominio agli ultimi 15 anni di penurie in termini di trofei, interrotte recentemente solo da Roma e Atalanta.
Ed è proprio il fatto di dovermi addentrare negli aspetti economici, allargando l’analisi, che mi conferma quella che è la mia idea sul tema, non molto dissimile da quella che il mio amico Francesco Simoncini (dai più conosciuto come Otis1907, atalantino doc) mi ha scritto su Whatsapp:
Trovo che la Serie A qualitativamente a livello di spettacolo e risultati stia crescendo ed ho come l’impressione che stiamo perdendo un treno che sta passando.
Per me il punto è tutto qui: c’è una narrazione mainstream del nostro calcio assai miope, che si concentra su fatti isolati e perde la visione d’insieme, e spesso confonde la dimensione economica con quella tecnica e anche tattica.
Per questo ci ostiniamo a parlare di crisi o declino in termini negativi. Laddove invece i risultati, in proporzione, dicono altro.
E soprattutto dicono che oltre confine non c’è alcuna superiorità tattica rispetto a quello che vediamo in Serie A.
Ragioniamo su tre piani:
quello economico, che non descriverei nemmeno come “crisi” (una crisi non può durare 25 anni, qui è accaduto qualcosa di strategico e strutturale). Semplicemente il nostro calcio oggi si colloca in una posizione subalterna alla Premier e in una fascia di mercato media simile a Liga e Bundesliga (non parlo dei colossi Real e Bayern ma della media generale).
quello tecnico, ovvero la distribuzione del talento e del puro valore dei singoli prima che questi vengano assemblati tatticamente. Anche qui i club italiani si sono riposizionati su un livello inferiore rispetto a quanto eravamo abituati tra gli anni ‘90 e i primi 2000 (o almeno fino a che il mecenatismo berlusconiano e morattiano ha retto a Milano) ovvero quando spendevamo (e perdevamo soldi) più di chiunque in Europa, ma che è direttamente legato al piano economico e ad esso viene inglobato
quello tattico, che negli ultimi 25 anni è sembrato andare in crisi facendoci dire che il gioco “italiano” è superato e quello “europeo” più moderno e vincente, ma che in realtà è stato fortemente influenzato dai cambianenti economici (e di distribuzione tecnica) più che da una sua intrinseca debolezza.
Provo a dirlo con qualche numero a supporto della mia tesi.
In Europa negli ultimi 5 anni abbiamo fatto meglio di Spagna e Germania ed infatti da inizio stagione abbiamo ottenuto il secondo posto nel ranking Uefa per club (che altro non è se non la media dei risultati ottenuti nel quinquennio dai club di un determinato paese) e la quinta squadra in Champions grazie al secondo posto assoluto dello scorso anno nei risultati cumulati dalle nostre.
“Il ranking non conta nulla, contano i trofei”, dice l’uomo della strada.
Proviamo a spiegarci.
Siamo a fine 2024 tra il 2000 ed oggi c’è il 2012 ovvero l’anno dell’introduzione del Fair play finanziario.
Da allora per 10 volte su 12 hanno vinto la Champions League squadre che vantavano uno dei 3 migliori fatturati d’Europa (dati Money League), eccezion fatta per due club di Premier League:
il Chelsea 2021, ha vinto con l’ottavo fatturato, ma nel 2022 al momento della cessione del club abbiamo scoperto che vi era un miliardo e mezzo di debito con la proprietà parcheggiato nella holding e condonato da Roman Abramovich ai nuovi acquirenti. Un fatto non perseguibile dal FFP (ne ho parlato tra l’altro in questo video), tutto regolare quindi dal punto di vista della giustizia sportiva finanziaria europea, ma di certo un dato che influenza la competizione sportiva in fase di “distribuzione del talento”, eccome;
il Liverpool 2019 che con il successo del 2019 avvenuto con il settimo fatturato per grandezza è l’unica vera eccezione alla regola di cui sopra, in un anno peraltro straordinario visto che il Liverpool vinse contro il Tottenham (ottavo fatturato) quando mai negli anni precedenti la finale era stata disputata da due squadre fuori dalla top 3. Con una conferma, per quanto vale: la finale di Champions la vince 10 volte su 12 il club dal fatturato più alto.
Negli anni precedenti al Fair play finanziario vinse una squadra nella top 3 dei fatturati per 6 volte su 12.
Ma lo scenario era diverso:
negli anni 2000 ben 12 squadre avevano un divario rispetto alla più ricca entro i 150 milioni di fatturato e tutte le altre nei 150 milioni successivi;
dal FFP (2012) in poi (a conferma dell’esito eminentemente conservatore di questa regolamentazione) queste si sono progressivamente dimezzate e sono diventate solo 6 squadre entro i 150 milioni di differenza dalla prima, e ad oggi tra la prima e la tredicesima squadra europea per fatturato passano più di 300 milioni di differenza. Una curiosa proporzionalità progressiva non trovate?
La vera eccezione fu il Porto 2004, che non stava nemmeno nei primi 30 fatturati.
Ma anche le eccezioni contano relativamente, proprio perché il FFP era assente.
Si prenda ad esempio la vittoria della Champions League 2010 dell’Inter.
I nerazzurri vantavano il nono fatturato, ma non possiamo certo parlare di eccezione: i nerazzurri vinsero con un costo del lavoro pari al 113% del fatturato e un bilancio che quell’anno fece registrare 154 milioni di perdita (contro il 74% e 7 milioni di utile dei catalani). La non regolamentazione finanziaria era la livella che tutto appianava.
Tutto questo per dire appunto di come le nostre vittorie, come le nostre sconfitte, avevano ed hanno una natura eminentemente economica (che come detto sopra definisce la dimensione tecnica, ovvero la pura somma dei singoli di una squadra) prima ancora che tattica.
Scendiamo un gradino.
In Europa League - dove il divario economico si assottiglia - abbiamo avuto anni molto difficili. Ma negli ultimi 5 anni abbiamo piazzato 2 finaliste (Inter 2020, Roma 2023), tre semifinaliste (Roma 2021 e 2024 e Juventus 2023) e una vincitrice (Atalanta 2024).
In 5 anni: 4 squadre diverse piazzate (come l’Inghilterra, meglio di Spagna, 2 e Germania, 3), 1 vittoria (come la Germania, ma dietro la Spagna con 3), 2 finali perse (1 a testa per Inghilterra e Germania) e 3 semifinaliste eliminate (come l’Inghilterra, una in più della Germania).
Ha vinto Giampiero Gasperini, ma si sono piazzati Max Allegri, Josè Mourinho, Antonio Conte, Simone Inzaghi e il tanto vituperato Paulo Fonseca. C’è dentro di tutto: io qui non vedo l’identikit dell’allenatore che fa il calcio “europeo” di cui sopra ed anche tra coloro che sono considerati “moderni europeisti” fatico a trovare delle linee ideologiche comuni.
Sono dati che ognuno può pesare come vuole ma che dicono una cosa oggettiva: quando i divari economici si riducono non siamo subalterni a nessuno.
In altre parole: contano i soldi, che sono il metro per distribuire la qualità tecnica disponibile, mentre la tattica è un elemento assolutamente marginale per attribuire le vittorie. C’è chi vince alla Guardiola e chi come Thomas Tuchel batte Guardiola facendo le barricate come il Chelsea nel 2021.
Aggiungiamo (anche qui ognuno attribuisca il peso desiderato) che in Conference League abbiamo centrato 3 finali su 3, vincendone una.
Il quadro che esce secondo me è questo:
negli anni 2000 abbiamo subito il contraccolpo di un divario economico in aumento rispetto agli altri Paesi e abbiamo perso totalmente il livello medio, quello che ci faceva vincere le Coppe Uefa. Siamo spariti dal secondo torneo continentale, mentre in Champions sopravvivevano solo Milan e Inter (con le premesse economiche di cui sopra) oltre alla Juve, finalista 2003 poi decapitata nel 2006.
negli anni 2010, finito il mecenatismo milanese la crisi è diventata totale, le due finali della Juventus di Massimiliano Allegri sono state l’exploit isolato di una squadra piazzata comunque tra il nono e l’undicesimo posto nel ranking dei fatturati, che come abbiamo visto non basta per primeggiare in Champions: quella in caso di vittoria sarebbe stata la più clamorosa eccezione;
dal 2020 abbiamo ritrovato la nostra dimensione. Ma forse non ci siamo ancora accorti di cosa è successo e il pigro opinionismo salottiero delle piattaforme di trasmissione della Serie A è rimasto ancorato ai suoi pregiudizi.
Concentriamoci quindi su questo decennio, dalla stagione 19/20 in poi.
Non mi risulta che il calcio italiano sia cambiato (in due video qui e qui ho analizzato i dati tecnici): da noi si continua a giocare in maniera diversa che altrove, con meno ritmo e meno pressing ultraoffensivo (tranne le ovvie eccezioni, Atalanta in primis).
Continua a mancarmi l’evidenza di una superiorità tattica europea rispetto ad un approccio italiano. Ammesso poi che questa cosa esista, cosa di cui non sono nemmeno così certo, al netto delle differenze riscontrate negli studi di cui ai video sopra.
Abbiamo superato due decenni difficili, sicuramente ci siamo aggiornati, ma oggi mi pare che i giudizi e i pregiudizi sul rapporto tra atteggiamenti tattici e i risultati siano totalmente fuori bersaglio rispetto alla realtà.
Quando ci confrontiamo con chi ha la nostra dimensione economica non siamo subalterni: lo dicono i risultati europei dell’ultimo quinquennio.
Forse è tempo di accorgersene e di rivalutare il campionato ed i suoi protagonisti. Un campionato che nel frattempo è diventato il più combattuto di sempre visto che come detto ieri in “Serie A e svalutazioni competitive”:
Nell'epoca dei 3 punti la SerieA non ha mai avuto 6 squadre in 2 punti dopo 12 partite. Nel 99-00 si verificò l'anomalia delle 3 in testa a 25 (Roma, Juve e Lazio) mentre il record precedente era di 5 in 2 nel 1996-97 (Vicenza e Juve 22, Inter e Bologna 21, Napoli 20).
L'ultima volta in cui la vetta della SerieA ha visto almeno 6 squadre in 2 punti era il 1983/84, c'era la A a 16 e 2 punti a vittoria: Juve e Roma 16; Verona, Torino e Samp 15, Fiorentina e Milan 14.
Vogliamo aprire il dibattito? Potete lasciare un commento.
Note a margine.
Calcio tedesco. Interessante numero di German Football Culture (in inglese) che spiega le convenzioni dei nomi dei club di calcio tedeschi, che includono dettagli come scopo, soprannome, luogo e anno di fondazione. In Germania i nomi possono avere abbreviazioni storiche o culturali, come “TSV” o “VfL,” o prefissi unici come “Borussia” o “Bayer.” Questi dettagli rivelano le origini e le affiliazioni dei club, ad esempio le radici ginniche di TSV 1860 München o il legame di Bayer Leverkusen con l'azienda farmaceutica. Per curiosi.
Queste prime 12 giornate. Se vi piace analizzare il calcio nei dettagli tecnici anche attraverso i numeri non potete perdervi la prima parte dell’ampia analisi di Calcio Datato sulle prime dodici giornate di Serie A. In particolare l’autore (che elenca le squadre in ordine alfabetico) si sofferma su Inter e Juve dando alcuni aspetti chiave. Per i nerazzurri la crescita preoccupante delle azioni pericolose concesse agli avversari, per i bianconeri la maggiore efficacia quando la squadra costruisce dal basso e il progressivo miglioramento della fase offensiva. Da studiare.
Ascolti Tv. A quanto pare l’unica a non giovarsi del gran momento di competitività della Serie A è DAZN che lo scorso anno alla dodicesima giornata registrò 6,064 milioni di spettatori mentre quest’anno si è fermata a 5,236 milioni. Una perdita di 828 mila persone su cui prima o poi servirà una riflessione seria (magari la farò a fine andata) perché qui mi pare che si ondeggi tra chi esagera i numeri per condurre la propria battaglia anti sistema e chi smarketta girando i numeri come fa più comodo. Ci torneremo.
Outro.
Serie A vendesi.
Nei giorni scorsi in “Chi vuol essere Percassi” raccontavo il modello gestionale dell’Atalanta come un qualcosa a cui molti club italiani attualmente sul mercato alla ricerca di acquirenti aspirano.
Tra questi club non c’è invece il Genoa che ha una situazione ben diversa visto che la società 777 Partners, attuale proprietaria, ha incaricato la banca d’investimento Moelis di trovare nuovi acquirenti per il club.
La decisione segue la crisi finanziaria della holding americana, coinvolta in numerose cause e vicina alla bancarotta, di cui avevo scritto il 18 giugno scorso un approfondito reportage.
Moelis si occuperà di valutare potenziali investitori interessati a subentrare nella gestione del Genoa.
La procedura esplorativa coincide con l’approvazione del bilancio societario, prevista per fine mese, e potrebbe richiedere alcune settimane per identificare eventuali acquirenti.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
A grandi linee sono pienamente d'accordo, anche paragonando i decenni presi in esame. Ma concentrandosi sul tema economico che effettivamente è (forse) la principale causa di questo divario, bisogna ammettere quanto segue. Di sicuro non è colpa delle altre leghe europee se abbiamo un sistema (a partire da quello politico nazionale e locale) che non consente di ammodernare (per non dire creare ex novo) stadi all'avanguardia come il resto d'europa. Basta anche solo vedere le presentazioni della candidatura univoca turco/italica per EURO32, ed osservare le foto di tutti gli impianti candidati. Quelli Turchi (non stiamo parlando di Germanie o UK) sono tutti moderni e all'avanguardia. Noi...lasciamo perdere, tolta qualche rara eccezione. Nel ns campionato ancora si vedono tribune e gradinate in tubolare! Nel 2024!! Poi se scendiamo in B per non dire in C... Last but not least...non essendo impianti comodi, molti sono mezzi vuoti. E quì mi collego al secondo punto sempre in tema economico. Senza ovviamente prendere in esame la Premier League che sta avanti a noi anni luce (negli anni 80/90 era il contrario), come mai la Bundesliga e la stessa Liga, vendono i diritti all'estero del loro campionato a cifre che noi ci sogniamo? Forse per il punto di cui sopra che televisivamente parlando non ha molto appeal? Forse perchè come dice Paolo Ziliani, all'estero hanno mangiato la foglia e parliamo del campionato col verme dove la Juve con il benestare di Gravina & co, fa e disfa a suo piacimento facendo modo che il campionato non abbia mai nulla di regolare? Si abbia la decenza di dire cosa proponiamo ed in quale modalità. All'estero se pagano per vedere il wrestling, sanno che c'è molta finzione ed è uno show. La Serie A ha molta finzione e nulla di regolare ma nessuno ha le palle di ammetterlo. Così come gli abbonamenti tv stanno crollando in Italia (anche quì la gente si è stancata? E non parliamo di pezzotto perchè siamo i più virtuosi in EU subito dopo la Germania), figuramioci se all'estero spendono soldi per vedere il ns campionato!
Chi lo governa da almeno un paio di decenni, è una banda di scappati di casa che cura solo il proprio orticello e non ha una visione di Lega come all'estero.