[39] La pirateria, fenomeno endemico e mondiale
L'Italia non è messa peggio di paesi come la Germania e l'Inghilterra, il calcio paga il prezzo più alto ma il problema è una proiezione del successo: non va dimenticato ma nemmeno usato come alibi
Berlino, 2 dicembre 2023
C’è molto calcio nella newsletter di questa settimana, nel bene e nel male. Ma non potevo fare altrimenti dopo settimane in cui ho spaziato in diverse altre discipline.
Non so se è un fatto personale, legato ad un mio momentaneo interesse molto più ampio, a vedere oltre la Serie A, ma mi pare che l’ultimo derby d’Italia abbia acceso gli animi meno del solito.
Oppure - ipotesi pure valida - ho questa impressione come riflesso del mio allontanamento dai social, il che confermerebbe la bontà della scelta, ma questa è un’altra storia.
Sta di fatto che ho avuto l’impressione che l’ultimo Juventus - Inter abbia fatto parlare di sè soprattutto per un paio di articoli prepartita che hanno permesso ai tifosi di accapigliarsi sulla questione bilanci.
L’abitudine a fare confronti di bilancio tra due squadre risale all’incirca a una decina di anni fa. Fu una delle prime cose che introdussi da coordinatore di Calcio e Finanza quando ci si presentò la necessità di fare contenuti piú legati al calendario senza per forza scrivere di campo. Io ricordo di aver avuto un’idea originale, ma onestamente non so dire con precisione se altri lo fecero prima. Di sicuro non in modo sistematico come accadeva su CF.
Ebbene, a dieci anni di distanza, onestamente, questo tipo di esercizio mi pare ampiamente superato.
In primis perché rispetto a prima ormai i bilanci sono attesi e ampiamente dibattuti in uno spazio che si sono conquistati grazie all’attenzione crescente dei tifosi, che prescinde dai calendari. Oggi quel tipo di cose dicono ai tifosi cose che i tifosi sanno già.
In secondo luogo perché ecco, alla fine, la realtà è che il conto economico e lo stato patrimoniale di due squadre spostano nulla nei 90 minuti che si andranno a giocare.
Il terzo è che, se eventualmente questo tipo di articoli un senso ce l’ha è quello di dirci qualcosa non tanto sui conti, ma sulla loro proiezione, ovvero su quanto la situazione che andremo a vedere in campo ha una sua solidità di fondo e quindi ripetibilità nel tempo garantita da bilanci più o meno floridi.
E del resto il punto che ha fatto discutere riguarda proprio questo, ovvero la piccola dimenticanza della Gazzetta che a differenza di quanto enfatizzato mesi fa dal New York Times e ripreso venerdi da The Athletic (che non a caso di NYT rappresenta ormai a pieno titolo il braccio sportivo dopo la chiusura delle pagine sportive), ha bypassato il dettaglio del debito Oaktree a scadenza 2024 che potrebbe minare la proprietà cinese nella sua tenuta.
Una proprietà che da tempo deve operare con quel che c’è, senza apporti di capitale proprio. Oltre al fatto che ormai si tratta di tenuta a breve e non di lungo periodo.
Sul tema aggiungo solo due cose che continuano a stupirmi.
La prima è l’incredibile narrazione a proposito degli aumenti di capitale. Che sono la dimostrazione di una proprietà solida che vuole investire nel club, anche dopo errori economico finanziari come quelli che hanno riguardato la Juventus, ma che vengono poi dipinti da stampa, tifosi e stampatifosa come sotterfugi, escamotage, qualcosa di cui quasi vergognarsi.
La seconda è che secondo me quando si parla di Inter (e di tutti i club con proprietà cinesi o arabe, per citare quelle più discusse e in vista) si perde sempre d’occhio il vero tema di fondo: non si può parlare di una proprietà che proviene da un paese illiberale e dittatoriale come la Cina comunista con gli stessi parametri che si userebbero per un investitore occidentale proveniente da un paese democratico come ad esempio gli USA.
È un errore in termini, in altre parole, misurare la prevedibilità dei secondi (in base a regole finanziarie di mercato) ed attribuirla proporzionalmente in una logica di coerenza ai primi.
Credo che questo sia sfuggito ai più, nell’epoca cinese del club nerazzurro, al netto del fatto che se l’Inter è oggi considerata ancora la principale candidata allo scudetto c’è un solo uomo da ringraziare per pianificazione, scelte e lungimiranza, e si chiama Beppe Marotta.
Buona lettura
G
Questa settimana
1. Non è un campionato per giovani
L’ultimo rapporto del CIES conferma l’Italia tra i paesi che meno valorizzano i giovani. La Liga al contrario segue una strategia che la fa sembrare più simile ad alcuni campionati di formazione anziché alle grandi leghe come quella italiana, inglese e tedesca.
Nel mio approfondimento su giovanniarmanini.com individuo 4 aspetti chiave: giovani, investimenti all’estero, continuità tecnica e turnover: i dati del CIES confermano il circolo virtuoso che permette al campionato spagnolo di essere quello più vincente a livello europeo.
2. I prossimi passi di DAZN
La piattaforma di streaming ha avuto la Germania come suo primo mercato (il Giappone secondo) e da sempre ragiona secondo una logica: “Se funziona in Germania funziona dappertutto”. Questo perché i tedeschi sono più lenti (ad esempio degli inglesi) ad accettare le novità, e quindi il mercato, considerato più rigido, viene usato come test per nuove idee.
Ebbene, l'anno scorso l'azienda ha lanciato in Germania il suo primo canale televisivo gratuito supportato da pubblicità (FAST). Ha anche sperimentato altre opzioni di monetizzazione nel paese come il pay-per-view (PPV) e si appresta a lanciare a breve un livello freemium nel mercato tedesco. E presto potrebbe farlo altrove, anche in Italia (SportsProMedia).
3. Cricket da record
La copertura televisiva lineare di Disney Star della Coppa del mondo di cricket del 2023 ha battuto ogni record in India, con 518 milioni di spettatori sintonizzati. (SportsPro)
4. Bundesliga vendesi
La Bundesliga sta provando nuovamente a vendere una quota dei propri diritti tv ai fondi, per aiutare i club minori. Ma i club (largamente controllati dalla formula 50+1 e quindi dai tifosi stessi) rimangono scettici. (giovanniarmanini.com)
5. Superleghe nazionali
Dalla prossima stagione il campionato femminile di calcio inglese (WSL) sarà indipendente dalla Federazione proprio come la Premier League. È l’ennesimo capitolo di una ipocrisia che non ferma i campionati nazionali (in particolare in Inghilterra) ad autodeterminarsi, ma non permette ai club europei di organizzare una loro competizione (Superlega) extranazionale. (Sportspro)
L’obiettivo ora è quello di creare una lega da un miliardo di dollari di ricavi l’anno (FrontPageSport).
Peraltro FrontPageSport fa notare giustamente come l’interesse ad investire nel calcio femminile inglese non sia mai stato così alto. Mentre - aggiungo io - molti grandi club maschili sono chi più chi meno, in vendita.
La differenza? Una delle differenze… da una parte la libertà ad autodeterminarsi, dall’altra i vincoli politici britannici (che supportano con toni populisti la marea di tifosi).
6. Calcio e birra
La notizia più importante della settimana tuttavia riguarda senza dubbio il Twente, club olandese che ha dichiarato di aver incassato più dalle birre vendute nel suo stadio che dalla vendita di calciatori. Notevole no?
Oltre a mostrare che il club ha realizzato un utile netto di 5 milioni di euro, i dati mostrano che il club ha incassato 10,5 milioni di euro dalla ristorazione, un forte aumento. In confronto, l’acquisto e la vendita di giocatori dal 2022 al 2023 ha fruttato loro un profitto di 3,75 milioni di euro.
La Pirateria uccide il calcio?
Partiamo da una premessa doverosa, e da una citazione cinematografica.
Nel film The Social Network, Justin Timberlake interpretando il fondatore di Napster, Sean Parker, spiega a Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg) il senso della pirateria ammettendo che si, Napster perse la battaglia legale (sui download di musica), ma dimostrò a tutti che quella cosa era possibile, aveva successo, era il futuro.
Ed il senso della pirateria - che è un atto illegale, nessuno lo mette in dubbio - sta proprio lì. Spesso dimostra prima che lo faccia una azienda che un nuovo modo di fare qualcosa è possibile.
Le piattaforme streaming dalle quali guardiamo i contenuti (sportivi e non) non esisterebbero se qualche pirata non avesse dimostrato prima che quello era un mondo possibile, di successo, potenzialmente redditizio.
Veniamo all’altra faccia della medaglia.
È vero che le piattaforme perdono i soldi degli abbonamenti, ma i venditori di pubblicità delle stesse emittenti, per posizionare i loro spazi sul mercato, non usano mai i dati ufficiali, bensì la distribuzione che comprende anche chi in qualche modo sta imbrogliando ma visualizzerà l’annuncio pubblicitario.
Questo accade oggi. Ed accadeva anche 20 anni fa quando Sky veniva sistematicamente piratata, prima che poi un giro di vite vincente fece fare un salto tecnologico in grado di mettere in fuorigioco gli allora pirati satellitari che usavano le famose “carte clonate”.
La pirateria è un fenomeno complesso e va affrontata con consapevolezza e senza formulette.
Perché questo tema sia tornato al centro dell’attenzione è presto detto, andando indietro di una settimana, alla newsletter di sette giorni fa, in cui ho analizzato come in tutta Europa i diritti tv del calcio non stiano più crescendo e quindi chi si trova con la coperta corta e la necessità di incrementare i ricavi per far felici i club, raschia il barile per andare a recuperare qualcosa.
Una dinamica - quella sui diritti tv - peraltro confermata da un interessante intervento su SportsPro Media di Minal Mohda di Ampere Analysis, questa settimana.
Ma la pirateria è un fenomeno endemico. Che esiste e sempre esisterà. E quindi giusto combatterla (come giusto per dire, combattere le tossicodipendenze), ma il tono narrativo deve essere adeguato altrimenti pare solo buffo e fuoriluogo. Un po’ come se un politico un giorno si svegliasse e decidesse di abolire la povertà, per dire.
Togliamo di mezzo anche un equivoco comunicativo, generato da una frase fatta, retorica quanto infondata: non succede solo in Italia.
Anzi, l’Italia - quando parliamo di pirateria televisiva - sta messa meglio (ovvero perde meno soldi) di paesi come la Germania e l’Inghilterra.
Lo dice un recente studio di Synamedia e Ampere da cui emerge un’altra realtà, fotografata dall’immagine qui sotto.
In Italia rispetto a Germania e Inghilterra (i due paesi a noi piú simili tra quelli considerati nella ricerca) la pirateria ha poi le sue caratteristiche. La prima: è prevalentemente calcistica e proporzionalmente meno orientata a tv, cinema e altri fenomeni d’intrattenimento.
Un dato che sembra quasi dire di un fenomeno guidato dalla passione più che da una maggiore tendenza/volontà a delinquere-danneggiare (perché diciamolo, di questo si tratta).
Due numeri: in Italia il danno viene valutato in 688 milioni di dollari all’anno per quanto riguarda lo sport e 728 per gli altri generi. In Inghilterra fenomeno che si avvicina al doppio 1,1 miliardi e 1,3 miliardi, in Germania dati nettamente superiori, ma meno imperniati sullo sport: 907 milioni persi dallo streaming sportivo illegale contro 1,3 miliardi per i prodotti di altro intrattenimento.
Il tema non è semplice e univoco ma merita grande attenzione. Soprattutto per gli aspetti sociali, economici e culturali che porta con sé.
Il profilo di chi usa servizi pirata è quello di uomini under 35 con figli piccoli, e in generale “famiglie con figli”. Il che ci porta a pensare al fatto economico come preponderante (in una mia recente newsletter parlavo di congiuntura, ma chiaramente non è tutto qui per un fenomeno che ci trasciniamo ormai da decenni).
Un aspetto rafforzato da un altro dato: il 57% di questi utenti già paga per un altro servizio a pagamento.
Non viviamo in un mondo di dame bianche contente di pagare e pirati neri che evadono, ma un mondo di utenti grigi, un po’ piratano e un po’ no.
Curioso no?
Significa che il gap che porta a perdere i soldi di cui si diceva prima non è legato ad una tendenza voluta all’illegalità, ma al fatto che la soluzione illegale è a portata di mano anche di chi tendenzialmente già dedica un budget ad alcuni contenuti a pagamento.
Ed il 74% di essi si dice propenso a non usare servizi illegali in cambio di un prezzo considerato più equo.
Banalilzzando: i broadcaster dovranno sempre più in futuro modulare le loro offerte (alle leghe sportive) e i loro prezzi (ai consumatori) in base al mercato per ottenere il massimo da questo, anziché limitarsi ad una critica a senso unico verso chi usa piattaforme pirata.
Pare scontato, ma non lo è.
Anche per questo Avigail Gutman, vice president of Intelligence and Security Operations di Synamedia, individua tra le altre cose due aspetti su cui gli aventi diritto dovrebbero lavorare, che sono propedeutici alla repressione: combattere la frammentazione e definire strategie (proprio in quest’ottica) che privilegino il mobile rispetto ad altre piattaforme.
Significativo poi il fatto che il 4 maggio 2023 la Commissione Europea abbia emesso una raccomandazione sulla lotta alla pirateria online degli sport e degli eventi dal vivo (compresi concerti e spettacoli teatrali), a seguito di una ampia consultazione con le varie parti interessate, che ha portato alla scelta di un approccio non vincolante, piuttosto che per uno strumento legislativo richiesto dal Parlamento europeo e dai titolari dei diritti.
Prevenire è meglio che curare, si diceva una volta, e questo a conferma dell’inefficacia della pura repressione.
Il tutto senza naturalmente dimenticare che alcuni strumenti sono già previsti in diverse disposizioni vincolanti del diritto dell'Unione tra cui la direttiva sul commercio elettronico, la legge sui servizi digitali (DSA), la direttiva sul diritto d'autore nel mercato unico digitale e la direttiva sui diritti d'autore nel mercato unico digitale. il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (direttiva IPRED).
Conclusione
È fuori luogo dire che la pirateria uccide il calcio quando ampliando l’orizzonte la Premier League inglese fronteggia un fenomeno (domestico) ancor più ampio, per tacere dei danni internazionali che fanno del campionato inglese (con la Champions League) l’evento più piratato al mondo.
Due record, ma che guardacaso non hanno fermato la lega dal diventare quella più pagata a livello nazionale e successivamente la prima al mondo a incassare più all’estero che in patria dai diritti tv, a seguito di un percorso che sarebbe qui lungo descrivere ma che immagino molti di voi conoscano (e di cui ho comunque parlato questa settimana sul mio blog).
Come scrivevo a inizio ottobre: la pirateria è un alibi che evita l’autocritica, e che andrebbe raccontata - aggiungo - anche individuando alcune cause che hanno portato molti appassionati ad allontanarsi dal calcio tout court e non solo a non abbonarsi alle piattaforme.
Perché i due fenomeni, apparentemente diversi e forse pure opposti, riguardano l’identità di un evento e la sua narrazione, e se l’eredità di lungo periodo, che fa del calcio lo sport più piratato, finisce poi per scontrarsi con una quotidianità che porta ad effetti collaterali come il ricorso a streaming illegali o, appunto, l’abbandono tout court.
Outro
In settimana è tornato al centro dell’attenzione il dibattito sulla Serie A che deve diminuire le squadre.
Ho approfondito il tema su giovanniarmanini.com partendo da una premessa: il tema centrale non è quello di quante squadre mettere in Serie A ma quello di riformare la piramide del calcio italiano.
E in questo senso il problema non è quello del gettito fiscale dei club, ma di come rendere i club sostenibili, garantire loro una programmazione nel medio periodo (e non solo stagionale) e magari (a tempo perso) occuparsi pure della spettacolarità dei tornei. Ne parlo qui.
Infine, se siete arrivati fin qui a leggere, vi posso anticipare in grandissima anteprima che nelle prossime settimane prenderò parte al progetto di un nuovissimo canale Twitch in cui parlerò prevalentemente di calcio internazionale e sport business.
Noi, intanto, ci sentiamo la settimana prossima.
A presto.
Giovanni