I giovani e il calcio: un problema nazionale? (5/6)
Educare al fallimento nello sport è una priorità assoluta - Va superato il sistema del "non bravo a scuola che però gioca bene a calcio" - Il mondo ipercompetitivo in cui viviamo va reinterpretato.
Berlino, 9 luglio 2024
La meta è partire.
(Giuseppe Ungaretti)
Quinta lettera dedicata alla serie di riflessioni sulla crisi del calcio italiano.
Già pubblicate:
Il calcio italiano è davvero in crisi?
Euro 2024, Gravina è responsabile?
Autonomia nello sport, un valore da difendere
La sostenibilità aiuta a vincere?
Oggi entriamo maggiormente nella questione calcio giovanile e calcio dilettantistico.
Domani in chiusura parleremo dell’ultimo tema:
il calcio di club e delle nazionali.
Ieri scrivendo di sostenibilità ho evidenziato come secondo me questo concetto non vada declinato solo in senso economico: la sostenibilità va adottata anche come principio di educazione allo sport.
Anche i sogni dei giovani calciatori devono essere sostenibili ed equilibrati, non alimentati dalla vanagloria degli adulti che scaricano le loro frustrazioni sulla realizzazione dei figli.
Chiediamoci innanzitutto a cosa è dovuto oggi l’abbandono calcistico.
Non sarà che l’approccio delle generazioni che dovrebbero educare al calcio sia superato e non allineato alle aspettative dei giovani?
Quando ci si chiede perché sempre meno ragazzi non giocano più a calcio bisognerebbe anche chiedersi chi sono i modelli vicini e vivi che li dovrebbero avvicinare e motivare.
A me piacerebbe una Federazione capace di mettere ogni giovane calciatore di fronte alla realtà in questo modo, come ha fatto recentemente USA Basketball (e di cui avevo già parlato qui), la federazione di pallacanestro americana, evidenziando quanti ragazzi del mezzo milione di maschi e 400 mila femmine che giocano a basket arrivano nelle leghe maggiori e in nazionale.
Una Federazione che alla luce dei numeri si preoccupa della crescita sostenibile, armonica e mentalmente sana dei ragazzi che si dedicano anima e corpo al calcio.
Non significa disincentivarli, ma dare loro un contesto (questa parola torna spesso in queste analisi, giusto) di riferimento reale e realistico.
Far capire quanto è irta la piramide, anche se purtroppo il sogno del “non bravo a scuola che tanto gioca a calcio” è molto diffuso anche oggi ed alimenta eccessivamente la narrazione sportiva italiana.
E la disillusione nel frattempo sta portando al depauperamento delle categorie dilettantistiche.
Con la regola delle quote abbiamo cancellato dai campionati dalla D in giù il concetto di merito: giochi se sei uno degli 11 più forti e funzionali ad andare in campo.
I giovani che scendono dai settori giovanili professionistici sono carne da macello che giocano per obbligo, spesso 3-4 anni prima di abbandonare a 21-22 anni.
In questo modo abbiamo del tutto cancellato intere generazioni di calciatori e non abbiamo più talenti, magari sviluppatisi più tardi, che salgono dalla Serie D alla Serie A. La regola è fare il percorso inverso e sparire.
Solo un ambiente che vede la sostenibilità come valore, che integra il sistema sportivo sulla scuola con investimenti reciproci, è anche in grado di porre nella giusta ottica gli sforzi che servono per raggiungere il successo.
Ad ogni fallimento della nazionale tornano puntuali i nostalgici dei bei tempi andati che vogliono far tornare tutti ai giardinetti o a giocare per strada, che lamentano limitazioni tattiche allo sviluppo tecnico degli italici talenti in erba.
Stronzate.
Perdiamo con Macedonia del Nord, Svizzera e nazionali che hanno un bacino di giovani praticanti infinitamente inferiore al nostro.
O siete invece convinti che nel resto del mondo i bambini giochino alla playstation meno che in Italia?
No perché sono queste le ragioni che sento e leggo in giro eh…
Nella prima lettera dedicata alla crisi del calcio ho volutamente posto il tema in forma interrogativa, ed infatti il primo commento é arrivato proprio su questo approccio. Vi invito a leggerlo, qui cito Enrico soprattutto su un passaggio:
Come paese stiamo eccellendo, non so se per fortuna o pianificazione, in tantissimi sport: tennis, pallavolo, atletica, nuoto per dirne alcuni.
E questo mentre il calcio è da diverso tempo che non è più un ambiente sano praticamente su molti livelli, economico e sociale su tutti.
Personalmente malsopporto (ne parlò in maniera del tutto surreale, estemporanea e fuoriluogo anche Max Allegri in una intervista a The Athletic) questa idea di voler far passare il concetto che se non si gioca a calcio abbiamo un problema con l’attività fisica dei giovani.
A me pare che invece le famiglie abbiano un ampio ventaglio di scelta, molto superiore che in passato, a prescindere dal problema legato ai costi da sostenere che sono indubbiamente superiori.
Oggi i ragazzi scelgono e l’esasperazione che troppi adulti riversano nel calcio li porta a fare altro.
Quante volte avete sentito dire che quelli che fanno calcio giovanile nei paesini lo fanno “per tenere i ragazzi lontani dalla droga”.
Sia chiaro: fondare un club sportivo sano è sempre un merito.
Ma parlare di pratica calcistica come se questa nel 2024 sia l’unica alternativa alla droga è una incommensurabile buffonata.
Andiamo oltre.
Non si insegna la tecnica?
Io non so che calcio giovanile andiate a vedere voi, io vedo sempre più (e vi assicuro che ne ho visto in Italia, Inghilterra e Germania avendoci vissuto e tornandoci spesso) squadre dell’oratorio che fanno la ripartenza dal basso perché quello lì ce lo insegnano quelli del belgiuoco e della tecnica da coltivare.
Io in questo ci vedo non tanto uno scontro di identità calcistiche come si è portati a pensare, ma uno scontro tra il gioco come sinonimo di libertà e il gioco come dogma (a prescindere dai contenuti di quel dogma).
Ai bambini vanno insegnati
contesto (ancora!)
consapevolezza,
merito,
apprendimento
processi di miglioramento.
In altre parole: il dribbling se sei scarso oggi è meglio se non lo fai oggi. Ma non è detto che tu sia in grado di farlo domani.
E il mio compito di allenatore educatore è quello di renderti consapevole oggi che il passaggio lungo è una soluzione migliore mentre ti insegno in quale contesto adottare soluzioni funzionali alternative.
Ti voglio insegnare la libertà di sbagliare e quella di minimizzare l’errore.
Vi dico una cosa che ho imparato dagli spagnoli.
Seguendo i campionati giovanili internazionali notavo come spesso le squadre spagnole cambino di ruolo i giocatori da una partita all’altra: ali messe al centro, terzini avanzati eccetera.
Sapete perché lo fanno? Perché vogliono che i giovani calciatori imparino a scegliere un dribbling o un passaggio in base al CONTESTO!
E sapete cos’è questa? Tattica individuale applicata alla consapevolezza personale, che si esercita nel mentre quotidianamente si prova ad apprendere e a migliorare.
Altro falso storico: non è vero che gli spagnoli insegnano calcio senza l’assillo di vincere. È falso. È una cazzata!
Gli spagnoli approcciano il calcio con un retropensiero diverso che è quel che dicevo nel capitolo sulla sostenibilità (che non è solo economia, è anche psicologia): la vittoria come opportunità contro la vittoria come necessità.
Ed è del tutto slegato dal modo di giocare.
Insegnano a giocare come presupposto per competere, non in funzione della vittoria, esattamente nello stesso contesto in cui io dicevo che un club dev’essere sano e sostenibile come presupposto di lungo periodo per essere vincente.
Torno alla prima lettera di questa serie: abbiamo un problema d’identità.
Ed il nostro problema d’identità si riversa anche sulla formazione.
Fateci caso:
la Germania ha avuto Joghi Löw per 16 anni
la Spagna in crisi dopo i fasti della nazionale tra il 2008 e il 2012 ripiega su De La Fuente
l’Inghilterra ottiene i migliori risultati degli ultimi 50 anni con Gareth Southgate.
Gli altri si affidano come non mai a tecnici “federali”.
Noi invece mai come oggi ci affidiamo ad allenatori che Coverciano l’hanno vissuto come un fastidio:
Roberto Mancini, player manager in Inghilterra a Leicester, divenne allenatore della Fiorentina prima di averne titolo in piena polemica con il Centro Tecnico
Luciano Spalletti da tecnico dell’Empoli recuperò i titoli in corsa.
E voglio tacere di Carlo Ancelotti la cui storia per chi non la conosce (allenava la Reggiana) è simile a quella di Mancini.
Noi cerchiamo i parafulmini da mettere in panchina. E questa cosa la riflettiamo su tutta la catena.
La Premier League, il campionato che più di tutti pesca all’estero gli allenatori più talentuosi, nell’ultimo decennio ha visto un ribaltamento delle preferenze.
Prima andava di moda il tecnico italiano (i nostri sono ancora quelli che hanno vinto più Premier League di tutti) ora cresce la preferenza per i tedeschi e gli spagnoli:
i primi rappresentano la cultura d’azienda rapportata al calcio, sono formati dentro club gestiti da grandi industrie teutoniche, arrivano alla panchina un po’ come fece Fabio Capello con il Milan, dopo una utile militanza manageriale nel gruppo che rappresenta il main sponsor;
i secondi rappresentano secondo me non tanto un’idea di gioco (faccio fatica a dire che Pep Guardiola giochi lo stesso calcio di Unai Emery, per citare i più famosi e titolati) ma un’idea di allenamento, un certo tipo di approccio alla pratica ed alla sua traduzione sul campo
Beh, direte voi, Guardiola e Klopp aiutano. Vero. Ma ci avete fatto caso che i nostri se non li piazzi ai vertici falliscono sistematicamente?
Piccolo inciso: io non sono di quelli che dicono che va tutto male. Volete un esempio? Da gennaio 2023 in Premier League tutti i club (per ultimo il West Ham con Mark Noble) hanno un direttore sportivo che - al di là delle diverse mansioni da organigramma - testimonia come la nostra idea di una figura di mediazione tra la gestione strategico finanziaria del club e quella tecnico tattica (di campo) sia vincente. La figura del manager all’inglese, già minoritaria nell’ultimo trentennio, é sempre più in estinzione.
Anche noi, insomma, abbiamo ancora qualcosa da imparare, ma abbiamo un problema di identificazione dei nostri pregi!
E anche un problema nell’identificare i difetti.
Una Coverciano da cui escono solo tecnici che sono stati ex calciatori di livello, che avrebbero fatto gli allenatori a prescindere dal loro percorso formazione, é una Coverciano che ha perso la sua ragion d’essere.
Noi non produciamo i Nagelsmann e i Rangnick o i tanti tecnici under 35 che si stanno affermando nel calcio mitteleuropeo e nord europeo.
Esiste una competizione per diventare allenatori ai massimi livelli?
Il Mondiale 2006 ha prodotto una generazione di allenatori che te li raccomando (non che il 1982 abbia fatto meglio sia chiaro…): nati arrivati, hanno dato contributo ideale zero al gioco del calcio.
Il nostro sistema si è chiuso su se stesso generando sistemi autoreferenziali a porte girevoli.
Altra parentesi. Vale per le panchine quello che vale per la critica sportiva: ci stiamo raccontando sempre la stessa storia scritta e cantata da gente che era brava coi piedi ma non ha mai dovuto realmente misurarsi con la gavetta che ti porta a fare altro (l’allenatore come il giornalista-opinionista).
Roberto Baggio era un grande calciatore ma quando se la prende con quelli “non bravi a fare due palleggi che pontificano in tv” sbaglia clamorosamente obiettivo confondendo i piani e non andando ai contenuti.
E questo ci porta ad un deficit di analisi, di innovazione, di originalità.
Che fare?
Io credo che per riformare il calcio dalla base (i giovani) passando dai dilettanti per arrivare poi ai professionisti bisogna partire dalla formazione della nuova generazione di educatori.
Coverciano deve avvicinarsi a dove si gioca a calcio. Basta con il centro unico nazionale, siamo il paese più culturalmente frastagliato del mondo: apriamo centri territoriali e importiamo a Coverciano le migliori pratiche, non il contrario.
Partiamo dalle basi: apriamo la formazione a tutti introducendo a tutti i livelli al formazione obbligatoria dei tecnici, ma su basi pedagogiche, per titoli molto più che per pregresse esperienze calcistiche.
Cominciamo a riconoscere che allenare le giovani generazioni é cosa ben diversa dall’allenare le prime squadre. Va riconosciuto e remunerato in quanto tale.
Infine: il sistema scolastico e universitario va integrato con i centri tecnici federali del territorio deve partecipare alla loro governance. Apriamo ai professori, apriamo al merito, all’interdisciplinarietà.
Non è di bravi tecnici di campo che abbiamo penuria, ma di tecnici intelligenti che sappiano interpretare il contesto oltre il campo e vedere la formazione dei giovani atleti come una missione, non come una tappa della propria presunta inarrestabile ascesa verso la Serie A.
Il calcio dilettantistico, infine, va totalmente rivisto:
riforma totale della piramide calcistica con netta distinzione tra Dilettanti e Professionisti senza automaticità di promozione:
superamento degli obblighi sugli Under da schierare nei dilettanti che ha fatto solo danni generazionali;
sistema dilettantistico sussidiario: Nazionale, Regionale, Provinciale in cui si può scegliere di rimanere nella propria categoria sviluppando l’attività in base alla propria dimensione economico - sociale. Essere campione provinciale per 5 anni di fila dev’essere un obiettivo ed un vanto!
revisione totale del settore Giovanile e Scolastico orientato alla promozione ed alla sostenibilità dell’attività sportiva;
Sui giovani è inutile guardare continuamente agli altri paesi.
Pensiamo a cosa siamo noi: i giovani giocheranno solo nella misura in cui toglieremo alle squadre la pressione del fallimento, dei verdetti inappellabili, se le indirizzeremo a giocare per vincere anziché per non perdere e le caleremo in un sistema in cui la loro gestione sarà economicamente equilibrata e sostenibile, senza inutili salti in avanti: bisogna uscire dalla tirannia della piramide unica!
Ho messo troppa carne al fuoco? Aspetto i vostri commenti!
Note a margine
Stipendi in Serie B. L’Assocalciatori ha pubblicato la tabella con la retribuzione minima per i giocatori che militano nei club della Serie B 2024/25. Sono previste 5 fasce e si va da poco meno di 19 mila euro lordi per i giovani dal 16esimo al 19esimo anno di età ai poco più di 25 mila per il contratto professionistico.
I biglietti della Copa. Nonostante alcuni stadi non pieni, CONMEBOL considera un successo l'affluenza generale del torneo, con più di un milione di biglietti venduti per le prime 32 partite. Il sistema di prezzi dinamici ha reso i biglietti molto costosi, soprattutto per i tifosi provenienti da paesi latinoamericani con salari medi più bassi. Questo ha favorito gli acquirenti americani con redditi più alti e costi di viaggio più bassi.
RedBird nell’entertainment. RedBird con Skydance ha acquistato Paramount: affare da 8 miliardi di dollari. La maxi operazione darà vita a “New Paramount”, definita come un leader di nuova generazione nei settori dei media e della tecnologia.
Outro
C’è del brand in Danimarca
Come avrete capito sono piuttosto focalizzato sul tema dell’Identità, anche perché nelle prossime settimane uscirà una pubblicazione di cui sono stato coordinatore editoriale (e che potete preordinare qui), che parla di identità aziendale, di luogo, personale, di chi lavora.
A inizio marzo avevo parlato di come Copenhagen stia investendo sull’identità cittadina legata alla ciclabilità anche puntando ad ospitare eventi sportivi correlati.
Recentemente la capitale della Danimarca ha comunicato un ulteriore investimento per allargare allo sport il suo ente promozionale.
Creazione ed Espansione del Copenhagen Legacy Lab: Il Copenhagen Legacy Lab è stato lanciato nel 2019 da Wonderful Copenhagen per garantire che i congressi e i grandi eventi sportivi nella città abbiano un impatto positivo duraturo. Inizialmente focalizzato sui congressi, il laboratorio ora si occupa anche di grandi eventi sportivi, promuovendo un approccio collaborativo alla pianificazione del lascito durante tutto il ciclo di vita dell'evento.
Implementazione e Storie di Successo: Il laboratorio ha facilitato attività di lascito per eventi come i Campionati Mondiali di Badminton 2023 e la Copenhagen Gaming Week 2024. Ad esempio, i campionati di badminton sono stati utilizzati per rafforzare le relazioni commerciali della Danimarca con l'Asia, mentre la settimana del gaming ha messo in evidenza gli sviluppatori di giochi danesi e promosso iniziative nel settore dei videogiochi locali.
Obiettivi Futuri e Valutazione: I piani futuri del laboratorio includono il perfezionamento delle strategie basate sull'esperienza accumulata, il lavoro stretto con i detentori dei diritti degli eventi per integrare la pianificazione del lascito e l'estensione del proprio impatto a livello globale. Il successo di queste iniziative viene misurato attraverso dati qualitativi e quantitativi, concentrandosi sul valore a lungo termine piuttosto che sui benefici turistici immediati.
Esempi virtuosi da cui bisognerebbe sempre prendere esempio.
A presto!
Giovanni
La carne al fuoco è tanta, provo a esprimere la mia opinione in base all'esperienza vissuta per 7 stagioni come istruttore di calcio giovanile.
Partirei dal Settore Tecnico che predispone un sistema di ingresso alle graduatorie per accedere ai corsi di formazione ormai ridicolo dove hai possibilità di entrare solo se hai un passato da calciatore: "Per essere un buon fantino non serve essere stato un cavallo" disse più o meno Arrigo Sacchi.
I corsi che poi abilitano (molto costosi economicamente, 700Euro per UefaB) e gli aggiornamenti obbligatori (pure quelli a pagamento, ma che fine faranno poi tutti 'sti soldi?) fanno ridere: durante il periodo lock down partecipai ad un webinar in cui il tema ad un certo punto era l'eterna (e stupida secondo me) diatriba e dualità tra metodologia analitica ( esercitazioni senza la presenza di avversario) e situazionale (con avversari, compagni, porta, direzione etc.) e uno dei relatori, che in quel momento sosteneva a mo' di talebano l'inutilità di qualsiasi cosa fatta senza la presenza di avversari, di fronte al mio tentativo di difendere almeno la possibilità di proporre ogni tanto che so un passaggio +controllo senza doversi sentire passibile di arresto in flagrante mostrò dei video in cui LUI in persona, sui campi di Coverciano, con la sua palla nei piedi e nessun avversario all'orizzonte eseguiva delle gestualità tecniche presenti nel calcio attuale definendo quella roba come spazzatura; era naturalmente il 2020 e questi video registrati qualche mese/anno prima li avrei successivamente trovati tra gli aggiornamenti dopo averli visti e averne discusso durante quel webinar. In pratica il Settore Tecnico (che si autodefinisce miglior scuola allenatori del pianeta) propone come aggiornamento qualcosa realizzato anni prima e definito spazzatura proprio da chi si era adoperato per realizzare il contenuto dell'aggiornamento. Ah, bene. Sono soddisfazioni. Coverciano e il Settore Tecnico dovrebbero smettere di cantarsela e suonarsela. Cominciassero con il dare la possibilità a TUTTI di formarsi e magari (insieme alla Federazione) far sapere cosa fanno delle vagonate di soldi che incassano visto che, per inciso, in due delle tre Società Sportive in cui ho lavorato che (si) facevano bella mostra e vanto del riconoscimento "Scuola Calcio Elite" rilasciato dalla Federazione ho riscontrato difficoltà nell'avere i palloni per fare allenamento (Elite?!). Come si gioca a calcio se non c'è il pallone?
La seconda cosa che mi sento di condividere e di commentare è la tragica povertà di cultura sportiva che affligge il calcio giovanile dilettantistico. Tutti si fanno belli con la frase "Il ragazzo è al centro del progetto". Personalmente ho riscontrato che al centro c'è tutto tranne il ragazzo (non ho frequentato nessun club di calcio femminile). Al centro vedo il sistema delle quote strettamente legato ai risultati (se "faccio i regionali" divento più attrattivo e avrò più iscritti). Tanti si vantano di avere in X momento TOT iscritti: ci dicessero quanti di questi iscritti giocano ancora a calcio a 24/25 anni. Parli ai ragazzi dell'importanza del percorso, di come sia necessario considerare il risultato sportivo come una conseguenza di quello che si fa e non il fine unico di quello che si fa. Che la bontà di un percorso si valuta rispetto all'impegno che si è disposti a metterci, a come si possono utilizzare l'errore e la sconfitta come strumenti di apprendimento e miglioramento. Che vincere significa rispondere sì a 3 domande: a) Mi sono divertito oggi? b) Sono stato un buon compagno di squadra oggi? c) Ho imparato qualcosa oggi? etc etc etc e poi scendi negli spogliatoi e l'unica cosa che vedi a fine partita sono ragazzi che ancora con maglia e sudore addosso prendono lo smartphone per consultare tale app Tuttocampo per vedere i risultati e che sanno essere felici solo quando vincono (giocando magari da schifo) ed invece escono a testa bassa quando perdono (giocando magari bene e lottando come dei leoni). Poi ci pensi, realizzi quello che senti a volte dalle tribune, che i risultati su Tuttocampo vengono aggiornati (live, con tanto di marcatore!) dai genitori, che nella quotidianità frequenti madri e padri di giovani atleti che (quando staccano gli occhi da Tuttocampo) ti raccontano l'esperienza del figlio in prima persona plurale (abbiamo vinto, ci ha fischiato un rigore contro, siamo andati a giocare qua e la) non riuscendo proprio (in buona fede naturalmente) a sganciarsi e lasciare che l'esperienza sportiva sia del ragazzo e non loro. Non riuscendo a capire la distinzione tra essere sostenitore e fare il tifoso. E il ragazzo a te istruttore non ti segue più ad un certo punto perchè i messaggi che riceve tuoi e dal suo entourage (per non parlare di quelli quantomeno ambigui delle Società Sportive) sono troppo distanti.
Credo perciò che il primo passo per una collaborazione (necessaria e potenzialmente rivoluzionaria) tra scuola e sport debba passare da una formazione continua, un accompagnamento costante nei confronti dei genitori, alcuni dei quali totalmente fuori controllo in questo momento storico e invasati ad un livello a mio avviso molto molto preoccupante. Grafici e statistiche come quello NBA esistono ovviamente anche per il calcio. Altro discorso è mettersi lì a parlarne con genitori e atleti. Tralascio volutamente il discorso che riguarda gli arbitri (COMPONENTE FONDAMENTALE) per non essere oltrmodo lungo.
L'ultimo tema che vorrei commentare è quello molto complesso dell'identità legata alla metodologia .
Penso che la parola chiave sia COERENZA. Questa si può esercitare a mio avviso solo se c'è totale sintonia, condivisione e consapevolezza tra gli adulti che hanno un ruolo attivo e si relazionano con gli atleti (parlo di dirigenti sportivi, istruttori, genitori). Bisogna scegliere una strada e perseguirla con coerenza. Secondo me non è una questione dogmatica proporre la costruzione dal basso all'oratorio soprattutto se l'alternativa è buttare la palla avanti (appunto) alla viva il Parroco. Cosa è più formativo: provare ad essere propositivo sforzandosi di superare i propri limiti (individuali e di squadra) o risolvere la difficoltà con una bella fucilata in avanti (poi tanto c'è quello bravo con la 10 e la fascia di capitano che fa goal e si va tutti ad abbracciarlo)?.
Certo è importante saper riconoscere il contesto. Il problema, a volte, è che pur riconoscendo il contesto (non ho spazio/tempo per giocare palla a terra) non ho i mezzi (tecnici) per lanciare (non a caso ma con intenzione) la palla in avanti. Quindi? Vogliamo vincere ma "giocando bene" (qualsiasi cosa significhi!). Se provi a giocare bene (belgiuochismo) inevitabilmente prima di vincere devi perdere (e tante volte) per poter sbagliare, capire, imparare, migliorare. Allora poi non va più bene perchè si perde. Ma si può essere propositivo (belgiuochismo) senza padronanza tecnica? Si può riassemblare un motore solo con cacciavite e martello sul tavolo da lavoro? Penso che si debbano superare le mode: quando l'Ajax di De Ligt - De Jong - Tadic etc. buttò fuori Juventus e Real Madrid tutti a parlare di tecnica (quindi lavoro analitico, senza avversario). Poi quella squadra, frutto di anni di lavoro, viene smembrata e nel frattempo quelli bravi che ci insegnano nei corsi (ma non quelli della Federazione, perchè lì ancora vedi i "video/spazzatura") dicono che la neuroscienza (che personalmente adoro, ammiro e nel mio piccolo seguo) sostiene che l'apprendimento avviene solo "in situazione" (anche se personalmente non ho mai letto/sentito nulla di così definitivo) allora quello che due (non duecento, due) anni prima era la priorità diventa spazzatura e se proponi un po' di tecnica individuale (sai, se mi chiedi di uscire dal basso e mi infami dalla panchina quando sbaglio almeno dammi gli strumenti necessari: padronanza dell'attrezzo, saper passare la palla di interno piede con dx e sx, utilizzo della suola, saper scavalcare una linea di pressione, saper calciare di collo, saper colpire una palla al volo, saper battere decentemente una rimessa laterale... tutta roba secondo la moda attuale allenabile ormai solo "in situazione") ti guardano storto e ti considerano un fanatico del lavoro analitico che quindi perde tempo prezioso visto che se non c'è l'avversario non si apprende. Perciò, anche se uno decidesse di accantonare l'idea belgiuochista per la ragion di Stato ( bisogna salvare la categoria regionale altrimenti i ragazzi l'anno prossimo vanno via) e decide che primo non prenderle, vai palla lunga e pedalare in libertà poi si ritrova con il portiere o il difensore capace di alzare la palla massimo 10 cm, il suo lancio che finisce dritto nei piedi dell'attaccante avversario, 1 a 0 per loro e questo perchè non sa calciare e non sa calciare povero perchè nessuno gli ha mai dato il tempo e lo spazio per imparare a farlo. Quindi? Sì, scegliere chi si vuole essere e stabilire come diventarlo è fondamentale ma purtroppo (o per fotuna per chi ha la forza di farlo) richiede tempo, pazienza e coerenza. Grandi sconosciute nel panorama del calcio giovanile dilettantistico che ho avuto modo di frequentare.
Spero che possa essere meglio in altre realtà.
Il mio primo maestro, condiviso con l'autore dell'articolo diceva: "Giocare a calcio è facile, basta esserne capaci". Oggi a calcio ci gioca non chi è capace, ma chi paga per giocare. Sta diventando purtroppo uno sport per benestanti.
Per gli eroi che sono arrivati fino in fondo, grazie.
P.S. : in Spagna, fino all'U16 credo, un giocatore sostituito può rientrare (come nel basket). Meditiamo...
Allenatore-educatore: una figura rarissima, sia nel calcio che in altre discipline di squadra. Tra i molti validi motivi che hai citato, anche la mancanza delle competenze pedagogiche da parte degli allenatori di squadre giovanili, porta alla situazione che viviamo, con giovani che vengono demotivati e abbandonano, spesso non per limiti tecnici, ma per ostacoli psicologici che l'allenatore non solo non e' in grado di affrontare, ma nemmeno di individuare. Allenatori che puntano "alla vittoria come necessità" e non "come opportunità", per vanagloria personale, della societa', di alcuni gruppi di genitori. Tutto cio' avviene anche in squadre senza alcuna velleità "professionistica" dopo essersi regolarmente riempiti la bocca con la solita vuota formuletta "siamo qui per insegnare calcio (o basket o altro) non per vincere a tutti i costi", salvo poi smentirsi immediatamente gia' dopo la prima partita di campionato. Questo accade perche' nella stragrande maggioranza delle società, gli allenatori sono ragazzi poco piu' grandi dei loro "allievi" e vengono mandati allo sbaraglio senza alcuna preparazione, che non vada al di la' di un banale corso tecnico federale della durata di poche ore. La conseguenza piu' grave, non e' la successiva mancanza di talenti, ma la generale disillusione e demotivazione dei ragazzi che successivamente abbandoneranno lo sport. Ci sarebbe anche da spendere qualche parola sull'ampio ventaglio di sport disponibili tra cui i ragazzi (o i genitori) possono scegliere oggi, ma questo e' un altro discorso.