Il dominio Man City non è come tutti gli altri
Nessuno ha mai vinto 4 titoli inglesi di fila. E in questo intervallo ben 4 volte sono state all'ultima giornata, con avversari sfidati sulla distanza dei 90 punti e oltre.
Berlino, 21 maggio 2025
Penso molto a quello che farebbe Johan (Crujiff) [...]. Il suo merito è stato, davanti a un gioco così indecifrabile come il calcio, di darci gli strumenti per dominarlo [...]. Ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita: ti dicevano che perdevi perché non correvi ma un giorno arriva lui e ti spiega che perdi perché corri troppo. (Pep Guardiola)
Manchester è stata un pezzo della mia vita, protagonista di quella che è stata la mia scelta più coraggiosa: cambiare qualcosa che poteva continuare a funzionare così com’era. “Sensa na a sercà al frét per al lét” dicono dalle mie parti.
Un pezzo del mio cuore sarà sempre lì.
Nell’aprile 1994 gli Oasis pubblicarono Supersonic, il loro primo singolo che finirà poi in Definitely Maybe, e quando io, abituato a giocare al Commodore 64 ad un gioco di simulazione calcistica in cui dovevi fare il Manchester United e vincere la Coppa delle Coppe 1990/91, decisi di simpatizzare per il City in loro onore, di certo non immaginavo che quella squadra di modesti risultati e retrocessioni ricorrenti sarebbe diventata un giorno una superpotenza del calcio inglese.
Per riuscirci ci sono voluti 30 anni e svariate centinaia di milioni spese dallo sceicco Mansour bin Zahyd Al Nahyan (vedi appendice a fine articolo), ambizioso proprietario succeduto all’ennesimo presidente scriteriato.
Nella fattispecie quel Takshin Shinawatra che nella sua Thailandia (“il paese con più golpe al mondo”, come lo ha definito nel suo podcast Eugenio Cau) è un chiacchierato ex presidente e uomo d’affari di successo, ma fuori non ha lasciato tracce apprezzabili del suo passaggio.
Del modello manageriale ho parlato in un podcast qualche mese fa, evidenziando perché tra le altre cose il Manchester City e il Paris Saint-Germain non hanno nulla in comune a parte la generica provenienza araba (Emirati Arabi Uniti vs Qatar) dei rispettivi proprietari.
Ma qui si parla di campo.
Il tema dominante oggi (pure in Inghilterra) è quello di un dominio che svilisce quello che a metà anni ‘10 era diventato il vanto di molti: la Premier League che cambia campione ogni anno, finendo addirittura a Leicester.
Siamo di fronte ad un dominio di una grande tra grandi costantemente spinta oltre i suoi limiti anche da avversari straordinari.
“Siamo la nuova farmers league”, ironizzano gli inglesi, che così definiscono i campionati come il francese e lo scozzese, caratterizzati dal dominio di un solo club.
Prima del Manchester City, arrivato a 4 titoli di fila e 6 in 7 anni (6 su 8 in era Guardiola), solo il Manchester United (5 su 6 dal 1996 al 2001) e il Liverpool (5 su 6 tra il 1978 e il 1984) avevano fatto 3 di fila e 4 su 5.
Il nuovo obiettivo sarà fare meglio del 7 su 9 del Manchester United tra il 1993 e il 2001 e del Liverpool tra il 1976 e il 1984. Ma nel frattempo l’era Guardiola potrebbe giungere a conclusione (il catalano ha un solo anno di contratto).
Il prossimo obiettivo è la finale di FA Cup a Wembley per diventare la prima a fare un doppio double campionato - coppa domestica in Inghilterra.
Quello del City è un dominio diverso dagli altri in giro per l’Europa, perché costruito battendo avversari unici come unica è la lega inglese.
La Premier League nata nel 1992/93 (31 stagioni), nel 2023/24 è stata decisa per la decima volta all’ultima giornata.
Per ben 6 volte di queste 10 l’ultimo matchday ha visto trionfare il City. (2012, 14, 19, 21, 22, 24).
Quattro dei sei titoli vinti in era Guardiola o se preferite tre degli ultimi quattro, sono arrivati all’ultimo respiro: il Liverpool è stata la vittima sacrificale nel 2019, 21 e 22 prima dell’Arsenal quest’anno.
Ben 4 volte su 6 è stato il Liverpool ad arrivare dietro.
La rivalità sportiva tra le due città, scoppiata negli anni 70 tra Reds e Red Devils, ha sradicato da tempo quella ancor più antica che vedeva le rispettive borghesie opposte, mentre il proletariato era unito nella lotta operaia (così l’ha raccontata Stuart Brennan sul Manchester Evening News).
E oggi continua tra Liverpool e City.
Molti la fanno risalire alla costruzione del Manchester Ship Canal nel 1894, una via navigabile nata perché Manchester, “Cotton city” che viveva lavorando il cotone, viveva la frustrazione del dover importare materie prime attraverso il grande porto sul Mersey e pagare quelle che erano considerate tasse di gestione esorbitanti.
I mancuniani chiamavano gli scouser “firmacarte” definendo pura burocrazia il loro business portuale, ricevendo in cambio l’appellativo di “ricchi con le mani sporche” perché le aziende richiedevano presenza e - talvolta - anche il supporto operativo dei padroni.
Ma a prescindere da come la si veda la storia di Liverpool pare segnata dalla presenza della gente di Manchester che mette i bastoni tra le ruote ai suoi affari.
Vincere è sempre difficile, nel campionato più ricco del mondo ancor di più.
Quest’anno il Manchester City - che in Premier League non perde in casa dal novembre 2022 - ha dovuto chiudere con 9 vittorie consecutive sopravanzando l’Arsenal costruito da Mikel Arteta, allievo di Pep Guardiola e artefice della rinascita di un club a cui manca ora solo un grande titolo.
Ne servirono ben 14 nel 2018/19 per aver ragione del Liverpool, che si sarebbe vendicato l’anno dopo con l’unico titolo dell’era Klopp.
Chi vince ha sempre ragione, ma non sempre chi perde ha torto.
Torna alla mente quel che disse Luciano Spalletti a fine stagione 2016/17 dopo il secondo posto della Roma dietro la Juventus, a chi gli chiedeva se non aveva rimpianti per la chiusura a rilento dei suoi:
Se noi avessimo fatto meglio la Juventus avrebbe spinto ancora di più
Il dominio del Manchester City è imparagonabile a quello del Paris che ha perso ogni qualvolta si è trovato un avversario credibile sulla propria strada, che si chiami Lilla, Marsiglia o Montpellier.
Ed anche a quello dei nove anni Juve che mai si sono decisi all’ultima giornata.
E inevitabilmente a quello del Bayern Monaco il cui principale antagonista, il Borussia Dortmund, è stato tale solo nel 2022/23 (trionfo all’ultima giornata, suicidio giallonero, arrivo a pari punti con miglior differenza reti dei bavaresi), finendo per essere più una succursale di mercato dai risultati altalenanti che una credibile alternativa.
Il Man City ha fissato a 90 la quota titolo e ha collezionato una percentuale di punti mai vista prima. Ha costretto i suoi avversari a perdere a 89, 92 e 97 in questi anni: risultati mai visti per una squadra che non vince il titolo.
Uno scherzetto che Pep Guardiola aveva già fatto in Spagna al Real Madrid secondo a 96 nel 2009/10.
Quando tu spingi loro spingono di più.
Perché il punto è questo: Pep Guardiola è il miglior allenatore al mondo nel dare continuità di rendimento fisico atletico ai suoi.
Da lì arrivano i risultati.
Non è un caso se tra il 2018 e il 2021 il Manchester City vinse 4 Coppe di Lega consecutive, che io considero ancora il più guardioliano dei risultati: perché per farcela devi avere 24 uomini egualmente pronti e performanti, dalla stella all’ultima delle riserve, anche nelle sere fredde di ottobre e novembre che ti tolgono motivazioni se devi andare a giocare su campi minori e inospitali.
Il tutto con buona pace di chi pensa che le due parate decisive di Stephan Ortega, il portiere a parametro zero pescato dall’Hoffenheim in estate, entrato per Ederson nella penultima di campionato contro gli Spurs, siano state un caso.
Sono anni che quando Guardiola pesca dalla panchina ha la certezza che i suoi onoreranno la fiducia.
Se non vince sempre la Champions League è perché la Champions League è quel regno del caso in cui se fai 8 vittoria di fila e 2 pareggi nello scontro diretto te la giochi ai rigori.
E da qualche anno nemmeno la solidità di giocare in trasferta come in casa (vedi le 3 reti segnate a Madrid) ha più valore.
L’ultimo atto è stato una formalità. Al 67’ era già partita la Poznan, con i tifosi del City saltellanti con le spalle rivolte al campo.
All’87’ l’ultimo brivido: gol annullato al West Ham che senza il Var sarebbe stato convalidato. Un consiglio agli inglesi: pensateci bene prima di fare un passo indietro sull’arbitro addizionale davanti ai teleschermi.
Si è chiusa la Premier League degli asterischi come l’ha definita il New York Times. Perché se in Italia ci si è adattati con olimpica serenità alle classifiche riscritte a tavolino, la cultura sportiva dei paesi anglosassoni impone una riflessione urgente non appena questo accade.
È stata la seconda volta nella storia della Premier league (dopo il 1997/98) a vedere la immediata retrocessione delle tre neopromosse. Il che impone un’altra riflessione sul gap crescente tra le categorie del calcio inglese.
La Premier League rimane sotto il fuoco nemico della politica, che vuol imporre una authority riequilibratrice a discapito dell’autonomia dello sport e della tanto sbandierata indipendenza della Lega dalla Federazione (la Football Association).
Un campionato che certamente necessita di qualche ripensamento, a conferma che nel lungo periodo gestire lo sport in maniera liberista non paga, crea squilibri e rende il giocattolo eccessivamente rischioso.
Ma sono riflessioni che prescinderanno dal ruolo dominante del Manchester City perché le analisi, se le si vuol fare bene, vanno condotte a prescindere da chi occupa vertice e coda e approfondite nella comprensione del sistema.
E a ben vedere, solo l’invidia del tifo fa storcere il naso davanti a queste vittorie, perché il City è la dimostrazione che il gap con le grandi si può colmare, ma che per farlo servono forse troppi soldi. Oltre naturalmente ad una solida managerialità.
Senza il City oggi l’Inghilterra sarebbe ferma al dibattito degli anni 2000 quando in Champions League per 10 anni di fila ci andarono sempre e solo quattro squadre.
Appendice statistica.
Il City spende più degli altri? Questi sono i numeri. Giudicate voi.
Negli ultimi 5 anni (dati Transfermarkt):
Chelsea -796 mln
Man United -694 mln
Arsenal -638 mln
Tottenham -597 mln
Newcastle -485 mln
Man City -380 mln
Liverpool -262 mln
Negli ultimi 10 anni:
Man United -1240 mln
Man City -1021 mln
Chelsea -1015 mln
Arsenal -917 mln
Newcastle -606 mln
Tottenham -568 mln
Liverpool -475 mln
Note a margine
Sul mio canale Youtube sono tornato sulle dichiarazioni di Gian Piero Gasperini a proposito di Superlega e meritocrazia: “Il populismo ai tempi di Gian Piero Gasperini”. Domani approfondirò meglio, qui, il ciclo gasperiniano.
Rimanendo per un attimo in Inghilterra. Sporting Intelligence ha esaminato l'inflazione dei prezzi dei biglietti del calcio dall'inizio della Premier League ad oggi. All'epoca i tifosi spendevano il 2,95% del salario settimanale per i biglietti: ora è l'11,79%. Quasi quattro volte tanto.
Classic Football Shirts è il più grande rivenditore di maglie da calcio online. La storia è assai curiosa e nasce a Manchester nel 2006 quando due compagni di Università iniziarono ad ammassare maglie da collezione e a rivenderle online. Fino ad oggi avevano fatto tutto in autonomia reinvestendo gli utili (quando vivevo a Manchester avevano già 30 dipendenti a libro paga), ma recentemente hanno aperto il capitale (38,5 milioni di dollari) al primo investitore esterno. Ora vogliono crescere in Nord America.
Due facce dello stesso sport, anche se non si direbbe. Matteo Serra ha analizzato da una interessante angolatura le promozioni di Como e Sankt Pauli.
Infine un argomento che qualcuno, soprattutto su Youtube, mi ha chiesto di affrontare, ovvero la crisi societaria dell’Inter. Come detto ieri preferisco prendere le misure prima di scrivere, non mi interessa qui fare la cronaca minuto per minuto degli eventi. Del caso avevo parlato già sul mio canale (qui e qui). La cosa più interessante che ho letto finora è questa analisi del prof. Fabrizio Bava.
Outro
Se questo articolo ti è piaciuto…
Ieri qui a Berlino era giorno di vacanza e sono stato a vedere la semifinale Under 19 tra Hertha e Borussia Dortmund al Friedrich Ludwig Jahn Stadion. Conosciuto anche per essere stato lo stadio della Dynamo Berlino ai tempi della DDR.
L’impianto presto verrà demolito per essere totalmente ricostruito.
A vedere la semifinale Primavera c’erano 4.950 persone.
Numeri impensabili da noi, che confermano quel che dicevo lunedì: i tedeschi vivono di eventi e agonismo.
Il Borussia Dortmund è andato in finale vincendo ai rigori (5-4 la serie) dopo un 3-3 finale (2-2 all’andata).
Tra i gialloneri l’italo-tedesco Vincenzo Onofrietti Texeira, classe 2005, esterno mancino che gioca spesso a piede invertito, e occasionalmente viene adattato a giocare più al centro.
Quest’anno ha giocato 23 partite con 6 gol e 5 assist, ieri ha servito l’assist per il momentaneo 3-1 giallonero, poi riacciuffato dai berlinesi prima della soluzione ai rigori.
Per lui in carriera fin qui anche 20 presenze nelle nazionali giovanili dell’Italia dove Bernardo Corradi lo tiene da tempo in considerazione.
Per oggi è tutto.
A presto!
Giovanni
Grande contenuto e come al solito grazie per la menzione!