L'anti-modello calcistico della Francia
Non ha club forti, la Ligue1 ha rischiato 2 volte il collasso in 5 anni, tutti i campioni stanno all'estero eppure ha una nazionale fortissima: la narrazione italiana potrebbe impazzire a saperlo.
Berlino, 5 settembre 2024
Gli inglesi hanno inventato il calcio, i francesi l'hanno organizzato, gli italiani l'hanno messo in scena. (Serge Uzzan)
Domani sera al Parco dei Principi di Parigi si gioca Francia - Italia, prima partita della Nations League 2024 ma soprattutto primo passo ipotetico della nazionale azzurra in vista dei mondiali 2026 (qui il meccanismo, ovviamente cervellotico) che ormai sono diventati una ossessione tutta italiana.
Il calcio francese se possibile è agli antipodi del nostro e dimostra in maniera plastica come la narrazione dominante sul calcio italiano sia fatta per lo più di retorica, pregiudizi e frasi fatte, senza nessun costrutto logico e senza alcun atterraggio pratico.
Il perché è presto detto.
Noi ci lagnamo degli italiani ogni volta che un campione va all’estero: i francesi giocano all’estero da 40 anni e hanno iniziato a vincere tornei internazionali solo nell’84 (all’inizio dell’emigrazione).
Ci chiediamo come i club possano aiutare la nazionale: i club francesi di fatto non esistono sullo scenario internazionale, non vincono nulla nemmeno con i soldi del Qatar.
Facciamo polemiche per la convocazione degli “oriundi” e dando sfogo ad un sentiment radicalmente razzista parliamo della Francia come di una squadra fatta da “stranieri” quando invece loro hanno una nazionale basata sullo ius soli: quando vinsero il mondiale nel 2018 l’87% dei giocatori era nato in Francia.
Gli unici due giocatori non nati in Francia erano Samuel Umtiti (Camerun) e Steve Mandanda (Congo): entrambi trasferitisi a 2 anni: esattamente tanti quanti l’Italia che uscì alle qualificazioni contro la Svezia che schierava Jorginho (nato a Ibitumba) e aveva in panchina Eder (nato a Lauro Muller) entrambi curiosamente provenienti dallo stato di Santa Caterina in Brasile.
Tempo fa ho fatto una radiografia al calcio francese (qui il video, se volete) che vi può forse tornare utile.
È un calcio che si è formato soprattutto nelle piccole città e lontano dalla capitale, per questioni legate alla percezione stessa dello sport da parte della borghesia francese (concentrata su Parigi) ed agli imprenditori da sempre poco interessati a legittimarsi attraverso lo sport.
Parigi diventa egemonica solamente quando arriva il Qatar, ma dopo il 2022 il calcio francese è tornato a soffrire finanziariamente e recentemente ha subito un ribasso pesantissimo nei diritti tv della Ligue1. L’ho scritto in “Adieu France, le big 5 non esistono più”.
È un calcio d’esportazione che forma i giocatori ma ad oggi sono il secondo paese al mondo per esportazione di calciatori dopo il Brasile (studio CIES 2017-2023).
Insomma, ce n’è abbastanza per smontare la narrativa nostrana, se si ha voglia di indagare.
Torno quindi a quanto scrissi in “Club e nazionali, due mondi opposti”:
La nazionale deve fare il calcio delle nazionali e deve essere più italianista possibile perché in quei tornei si vince molto più come noi che come gli altri.
Li ricordo io gli amici inglesi che (prima del 2021, quasi un presagio) mi dicevano “Italia, squadra da torneo” paragonandoci alla loro nazionale che ha una altissima % di vittorie nelle partite di qualificazione, ma non rende mai quando si alza l’asticella.
Dobbiamo farcelo dire dagli inglesi quello che siamo? Dobbiamo farci spiegare da loro quali sono i nostri pregi???
(…) abbiamo bisogno di ritrovare la nostra identità!
Ma per farlo servono idee, dirigenti capaci, sostenibilità e soprattutto orgoglio, quello che ci dobbiamo dare anche se siamo uno stato unificato senza una vera identità nazionale alla base.
Serve quella citazione con cui ho aperto questa newsletter: Non è la voglia di vincere, ma la volontà di prepararsi a vincere che fa la differenza.
Note a margine.
Calcio in tv. L’ad della Serie A, Luigi De Siervo, ieri ha dichiarato che: “Il prezzo della Serie A in tv è corretto”. La sua affermazione è confermata da uno studio di Calcio e finanza fatto a ottobre 2023 di cui riporto qui la tabella riassuntiva. I dati sono chiaramente passibili di aggiornamento alla nuova stagione ma è evidente che il quadro di partenza non sia assolutamente sbilanciato. Va ricordato qui che in UK e Germania, peraltro, non è possibile vedere tutte le partite su una unica piattaforma.
Premier 1. In Inghilterra si aspetta di conoscere le sentenze sul Manchester City riguardo alla presunta violazione del PSR (il fair play finanziario inglese), ma nel frattempo altri casi emergono: un cavillo legale ha permesso al Leicester City di evitare sanzioni per aver violato le regole di sostenibilità finanziaria (PSR) della Premier League. Il club ha vinto l'appello sostenendo che, essendo retrocesso prima della fine del periodo contabile in questione, non era più soggetto alle regole della Premier. La decisione ha imbarazzato la Premier League e potrebbe avere implicazioni per altri club in situazioni simili. La Premier League sta valutando ulteriori azioni per garantire l'applicazione coerente delle sue regole.
Premier 2. Secondo il CIES Football Observatory, il Chelsea ha stabilito un nuovo record per il costo complessivo della rosa, superando tutti i precedenti. La squadra ha speso circa 1,28 miliardi di euro per costruire la rosa attuale. Questo report evidenzia come i club inglesi dominino la classifica delle squadre più costose al mondo, con sette delle dieci prime posizioni occupate da squadre della Premier League.
Outro
Maturazioni tardive
Nei giorni scorsi Stefano Salandin, prima firma di Tuttosport sulla Juventus, ha scritto in un suo tweet:
…si parla troppo di allenatori e poco di calciatori.
È un concetto che Stefano ripete da tempo e che voglio estrapolare dall’ambiente tossico del fu Twitter perché là sopra si finisce inevitabilmente nella bolla mentale allegriani contro non allegriani.
Ne è nato comunque un interessante scambio di battute tra me e lui.
Leonardo Dorini (Econopoly, Il Sole 24 Ore) gli ha risposto:
Perché si pensa che gli allenatori "migliorino" o "cambino" i giocatori. Cosa ovviamente possibile, ma non automatica.
Stefano:
Ma c’era lei, ci sono mille variabili. Poi puoi migliorare per es come ha fatto e sta facendo Gatti, ma è una questione tecnica, altro aspetto. Invece certe caratteristiche di fondo restano… è complesso. A Vlahovic per es non devi chiedere di pensare… ma lo sanno.
Offro quindi la mia opinione.
Gatti migliora perché è un giocatore a maturazione tardiva, che a 22 anni giocava a Verbania, di quelli che il nostro calcio ostracizza con gli obblighi a far giocare i giovani (90% sono ex dei grandi vivai).
Vlahovic è l'opposto, uno che fa le stesse (ottime) cose di 6 anni fa.
E quando Stefano mi fa notare che anche le condizioni mentali e personali contano, ribadisco: non c'è nulla di più personale e mentale della maturazione tardiva e di quella precoce, cose che ho avuto il piacere di imparare studiando la Realtà Virtuale (che è neurologia) quando lavoravo per Rezzil.
Inoltre… non si parla di calciatori perché gli allenatori hanno abituato cosi: "non si parla dei singoli". Ma soprattutto non si parla di cicli di maturazione dei giocatori, che è il vero tema per le valutazioni reali e di prospettiva sulle quali spesso ci si perde pensando che quelli forti a 18 anni saranno quelli più forti a 30.
Non è così e ve lo dico con Pep Guardiola: “il mio giocatore è quello che anche dopo i 30 anni migliora e impara ogni giorno”. Non è retorica, sir Alex Ferguson lo disse di Jaap Stam: “sbagliammo a venderlo perché vedendo che contrastava meno pensavamo stesse invecchiando, invece stava imparando e migliorando giocando d’anticipo. Aveva meno bisogno dello scontro fisico”.
Ed infine: giornalisticamente non si parla di giocatori anche perché in pochi hanno accesso ai giocatori. E siccome è tutto un parlarsi addosso ci restano le adulazioni degli ex e le frasi fatte degli allenatori, che sono gli unici a comunicare e sono quelli che quindi di riflesso vengono giudicati.
Anche per oggi vi ho detto “tutto quello che penso”. A presto!
Giovanni