Se Sinner non va da Mattarella...
Lo sgarbo istituzionale del numero uno al mondo del tennis è questione di identità e identificazione. L'altoatesino è un'icona mondiale in divenire che non vuole essere stereotipizzato in alcun modo.
Padova, 29 gennaio 2025
Sventurata la terra che ha bisogno d'eroi. (Bertold Brecht)
La decisione di Jannik Sinner di non rispondere alla convocazione (perché di tale si tratta, vista la rilevanza del ruolo istituzionale) del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale, è uno sgarbo istituzionale senza se e senza ma.
Il vincitore degli Australian Open 2024 ha deciso così, adducendo motivi fisici (deve riposare). La cosa non cambierà le sorti della nazione ma si presta ad alcune riflessioni da entrambi i lati.
Su Sinner avevo già scritto qualcosa nei mesi scorsi in “Jannik Sinner, icona mondiale senza cliché” in cui scrivevo:
Il numero uno del tennis, anche senza volerlo, sfugge a tutti gli stereotipi sull'italianità e ci ricorda in ogni momento che le individualità sono complesse e sovrastano le banali semplificazioni.
Il campione altoatesino - già criticato in patria per aver spostato la sua residenza a Montecarlo, come moltissimi tennisti fanno da 3 decenni - è già un’icona mondiale ed è chiaro che lo stigma dell’italianità gli vada stretto. Lui peraltro non fa nulla per far dire il contrario.
Non è comunque colpa sua se tutto quello che fa viene amplificato, e se poi, spesso, gli amplificatori non sono nemmeno di gran qualità.
Il suo orizzonte, a prescindere da tutto, è un altro.
Non voglio poi indagare sulle sue reali intenzioni di essere identificato come italiano (il rischio di dover rispondere a stupidi stereotipi ad ogni intervista è alto se non già inevitabile), ma mi pare evidente che le sue scelte degli ultimi due anni non contemplano nemmeno come elemento accidentale di far qualcosa per onor di patria.
Da un forfait alla Davis che gli valse l’ostracismo temporaneo della Gazzetta, fedele alla sua natura nazionalpopolare (qualsiasi cosa questo possa significare), almeno fino a quando la sua dimensione non diventò inevitabilmente superiore, fino al forfait olimpico.
Le vittorie nella Davis ‘23 e ‘24 sono state soprattutto due allori da aggiungere a quello che a fine carriera si prospetta essere un palmares di tutto rispetto.
Vederci altro è frutto di una lente distorcente.
Vi è poi il lato Mattarella, ovvero l’idea che esista una cosa che è lo sport italiano e che questo in qualche modo sia specchio di una fetta importante dello spirito della nazione. E che quindi il Quirinale sia tenuto periodicamente a invitare gli sportivi a coorte.
Questa idea può forse avere un senso nel dilettantismo sportivo, sempre a caccia di visibilità e riconoscibilità e ben felice di farsi identificare e iconicizzare, ma questo senso lo si perde pesantemente quando si fa capolino nell’iperprofessionismo di alcune discipline.
L’idea dello sport come momento di identificazione nazionale peraltro nel nostro paese viene interpretata in maniera estensiva come vediamo spesso.
Mi rifaccio ad esempio a Warning (la miglior newsletter di tennis in Italia, secondo me) del 6 maggio scorso poco dopo il forfait dagli Internazionali d’Italia dello stesso Sinner (episodio che possiamo mettere nell’elenco di cui sopra):
A Monte Carlo sembrava stanchezza, a Madrid precauzione, a Roma?
La conferenza stampa tenuta col presidente Binaghi (immaginatevi Federer o Nadal che fanno la conferenza stampa col presidente della loro Federazione. Non ci riuscite? Ecco) non dice niente, come si usa tra uomini di mondo ma intanto il mondo è in allarme.
Qui qualcuno ci vuole male, ci vuole togliere quello che meritiamo per grazia di Dio e volontà della Nazione, ci raccomandiamo le maiuscole.
Attenzione: non sto dicendo che sia sbagliato identificarsi nei campioni azzurri. Dico piuttosto che è altrettanto legittimo chiedersi quanto poi questa identificazione rifletta la reale identità dei campioni e la loro volontà di essere rappresentativi di un’idea di nazione che in fondo è variabile, variata e variante per definizione.
…di Identità e identificazione e della loro natura (nella vita privata, nel lavoro, nelle aziende, nei luoghi) peraltro ho scritto nell’edizione 2024 del Commentario di Oxigenio (una società di marketing strategico con cui ho collaborato negli ultimi 3 anni) che si chiama proprio “Identità”.
Ad inizio settembre in “Calcio e nazionalismo, binomio solido” quotavo una nota storica, letta in Storia della Coppa del mondo di Nicola Sbetti e Riccardo Brizzi, a proposito del fatto che lo sport ad inizio ‘900 ha affermato il concetto di cittadinanza (e non quello di residenza) come parametro per la formazione delle rappresentative nazionali:
Ben presto l’egemonia sul calcio sfuggì di mano ai suoi inventori. Il calcio infatti dimostrò di possedere un’innata capacità di indigenizzazione, riuscendo a creare, con un’inusuale forza, potenti confini di identificazione tra gruppi, e divenne uno strumento concreto nelle mani dei gruppi nazionalisti.
Se allarghiamo il concetto (vi invito a rileggere tutto il post precedente per meglio conestualizzare) possiamo chiaramente capire come lo sport sia da oltre un secolo un elemento di espressione dell’identità nazionale.
Ma qui mi chiedo: a chi giova la parata al Quirinale? A
lla giovane stella del tennis, icona mondiale in pectore?
Al Quirinale stesso? Alla nazione Italia?
E mi chiedo ancora: ha ancora un senso tutto ciò oggi, nel 2025?
Non lo so.
Spesso mi pare che si facciano cose perché così si sono sempre fatte. O perché si ha interesse a continuare a farle così. O perché si vuole rivendicare una propria visione politica della nazione che poi spesso sfugge alla realtà dei fatti.
E mi rendo ben conto che a porre gli interrogativi non possano che essere le azioni dei numeri uno, perché degli altri non parlerebbe nessuno.
Ma intorno a me vedo un mondo dello sport in cui i concetti di nazione e di identità nazionale sono sempre più rarefatti. Astratti, quando non addirittura inesistenti.
Come del resto dimostrano le chiacchiere sulle pallavoliste nere nella nostra nazionale (perché di questo si tratta: infatti discutiamo la palermitana Sylla e la padovana Egonu e non la russa nata in Islanda e naturalizzata italiana Antropova perché quest’ultima è bianca) o più ampiamente non vediamo il crescente ricorso in tutto il mondo a giocatori che non sono nati nel paese che rappresentano (lo studio di Vox ai mondiali 2022 è sempre una pietra miliare).
Tutti concetti che annacquano quello di nazionalità e di identità nazionale, sotto tutti i punti di vista possibile.
So che sto correndo su un bordo scivoloso ma spero di non essere frainteso, quindi mi ripeto: la rinuncia di Sinner è uno sgarbo istituzionale.
Andremo avanti, ci mancherebbe. Ma sul concetto di nazione e della sua estensione, in questi anni di trionfo a livello mondiale dei nazionalismi politici, dovremmo forse iniziare a riflettere.
Scopriremo forse che spesso le lampadine prima di spegnersi e finire tra i rifiuti fanno un’ultima fiammata luminosa.
Note a margine.
Corruzione. Richard Weber, ex-direttore dell'Internal Revenue Service Criminal Investigation (IRSCI) degli Stati Uniti, ha dichiarato che l'indagine sulla corruzione all'interno della FIFA, iniziata nel 2010 e culminata con le incriminazioni del 2015, è ancora in corso. Parlando al forum FITS di SIGA a Lisbona, Weber ha sottolineato la necessità di una collaborazione più stretta tra settore privato, banche, istituzioni e forze dell'ordine per combattere efficacemente la corruzione. Ha evidenziato che, sebbene siano trascorsi dieci anni dall'inizio dell'indagine, è fondamentale mantenere un'attenzione costante sul problema, poiché c'è ancora "troppa corruzione in corso".
Calcio in Asia. Ennesima segnalazione di qualità su Substack (in Inglese): How Football Explains Asia è una bella newsletter che racconta le intersezioni tra vita, cultura ed economia nel continente e sport. L’ultima puntata merita e racconta l’epopea del Guanghzou Evergrande, crollato insieme al megagruppo immobiliare (che ha causato problemi anche a Suning, ex proprietario dell’Inter, pignorato in maggio da Oaktree) dopo aver vinto nel 2013 la Champions League asiatica con Marcello Lippi in panchina.
Pallavolo in Arabia. Nel weekend ero a Bologna a vedere le finali della Coppa Italia di pallavolo (vinte dalla Lube) e non ho potuto non notare tre persone con tipici abiti arabi in prima fila accanto al campo. La loro presenza ha riaperto le speculazioni sul possibile spostamento della prossima Supercoppa Italiana negli Emirati Arabi Uniti. Mi chiedo a chi gioverebbe tale decisione. Forse ai club, alla Lega o alla Fipav, non so, non certo ai tifosi, che hanno riempito l’Unipol Arena nel weekend. Le tribune vuote del mondiale di pallamano per club 2023 facciano da monito.
Outro.
Impunità crescente.
Nei giorni scorsi la FIFA ha respinto la richiesta dell'ITUC-Africa di monitorare indipendentemente le condizioni dei lavoratori migranti in Arabia Saudita in vista dei Mondiali del 2034.
In una lettera, il Segretario Generale della FIFA, Mattias Grafström, ha sottolineato gli impegni presi dal governo saudita, evidenziando l'implementazione di un "sistema di welfare per i lavoratori" volto a garantire il rispetto degli standard sui diritti del lavoro per i lavoratori coinvolti nel torneo.
Grafström ha affermato che la Coppa del Mondo offrirà un'opportunità per promuovere cambiamenti positivi nel paese.
Tuttavia, questa decisione ha suscitato critiche da parte di gruppi per i diritti umani, preoccupati per possibili abusi simili a quelli segnalati durante i preparativi per i Mondiali del 2022 in Qatar.
Il tema di fondo è chiaro: quando assegni i mondiali a paesi come Qatar o Arabia Saudita ti prendi una responsabilità anche umanitaria, ma quel che è chiaro ad oggi è che il massimo organismo del calcio mondiale sta girando la testa dalla parte opposta, come già del resto scrivevo in ““.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
"Come del resto dimostrano le chiacchiere sulle pallavoliste nere nella nostra nazionale (perché di questo si tratta: infatti discutiamo la palermitana Sylla e la padovana Egonu e non la russa nata in Islanda e naturalizzata italiana Antropova perché quest’ultima è bianca)"
Perfetto Giovanni, qua sei stato perfetto!
Alessandro
Forse si esagera un po’ troppo in questa analisi, a mio avviso. E se, il suo team e lui, avevano già deciso il calendario 2025 e non c’era tempo di fare quella cosa lì? Vogliamo vederlo (stra)vincere slam del genere? C’è bisogno di questo comportamento. Priorità al fisico e alla dedizione, poi tutto il resto.