La distribuzione del talento nel calcio moderno
Siamo passati da sistemi coerenti e stratificati in cui i migliori tendevano ad aggregarsi ad una individualizzazione delle scelte che prescindono dal quadro tecnico di destinazione

Il passaggio di Mateo Retegui in Arabia Saudita e la possibile cessione di Moise Kean - per tacer di quello di Simone Inzaghi - sono, credo, uno dei temi dell’estate del calciomercato più rilevanti sul piano economico, sociologico e culturale.
Da ormai 3 anni il calcio saudita opera sul mercato calcistico con la stessa autorevolezza economica di movimenti di più lunga tradizione e, al di là dei trend economici che non sono sempre e solo oro, pare evidente che questa presenza sia destinata ad aver più lungo corso di quella cinese, che dieci anni fa fece qualcosa di simile ma esaurì la sua forza in poco tempo, davanti alla realtà dei fatti.
C’è una sostanziale differenza tra cinesi e sauditi: i primi interpretarono il mercato a modo loro, come veicolo per rafforzarsi all’interno, ovvero avere una nazionale forte. Per loro è questo l’unico modo di intendere l’economia di mercato, ed anche per questo (ma non solo) deragliarono.
I sauditi, la cui nazionale è già presenza fissa ai mondiali, non hanno alcun vero obiettivo di tipo tecnico: il loro fine di lungo periodo è quello di diventare una sorta di azionista decisivo nelle decisioni del calcio europeo e mondiale.
Ma come siamo arrivati qui?
Oggi il mercato calcistico è molto più complesso che in passato e possiamo individuare diversi momenti dai primi anni 80 ad oggi.
La centralità della Serie A
Nel 1981 alla riapertura delle frontiere la Serie A si affermò nel mondo come il campionato con la più alta disponibilità a spendere. Fece incetta di campioni stranieri nel pieno della loro maturità calcistica e divenne “il campionato più bello del mondo”.
Il nostro calcio è sempre stato caratterizzato da un basso livello di esportazione del talento e da un alto livello di importazione. E questo è rimasto pressochè identico nell’atteggiamento in questi 40 anni (pur con diversi cambi di scenario).
Il gol di Gianfranco Zola del Chelsea il 12 febbraio 1997 a Wembley (Inghilterra - Italia 0-1) è uno spartiacque: il giocatore azzurro più in vista non gioca in Serie A.
L’europeizzazione
A fine 1995 la sentenza Bosman che cambiò radicalmente il mercato. Ora gli stranieri non erano più solamente un plus per le squadre ma diventando comunitari e quindi parificati ai giocatori nazionali la loro presenza cambiava significato.
L’inizio degli anni 2000 ha cambiato radicalmente il mercato.
In Italia gli anni delle 7 sorelle finirono con i disastri finanziari di Fiorentina, Lazio, Parma, Roma. In Inghilterra, l’ascesa della Premier League iniziava a rappresentare un cambio in termini di competizione per l’approvigionamento del talento.
In Spagna, Real Madrid e Barcellona (sostenute da legislazione di favore e aiuti di stato che 20 anni dopo l’Ue dichiarerà illeciti), diventeranno due nuovi player, quando prima - negli anni 90 - erano spesso club che in caso di necessità vendevano alla nostra Serie A.
Possiamo dire che all’inizio del nuovo millennio quindi siamo passati ad una situazione di competizione europea per l’approvigionamento del talento tra grandi leghe.
Il neo mecenatismo.
Nel frattempo dal 2004 in poi hanno iniziato a comparire sul mercato i grandi mecenati. Si è trattato di un fenomeno destinato nei decenni successivi a delineare i nuovi scenari.
Roman Abramovich ha acquistato il Chelsea nel 2003
Lo sceicco Mansour è entrato nel Manchester City nel 2008
Nasser Al Khelaifi ha preso il PSG nel 2010
La centralità inglese
Il 2016/17 ha segnato un altro cambiamento: la Premier League forte di un contratto sui diritti tv in crescita del 70% rispetto al triennio precedente ha assunto un ruolo centrale potendo di fatto prevaricare chiunque sul mercato.
A quel punto, 20 anni dopo l’affare Zola, i mercato iniziarono a farlo pariteticamente da tutti i club di Premier League e dalle big europee (compreso il Bayern Monaco, nel frattempo divenuto dominus tedesco con un divario sul resto della Bundesliga mai visto prima).
La disarticolazione
La comparsa della Cina nel 2015 e dell’Arabia Saudita (il cui momento clou può essere considerato l’ingaggio di Cristiano Ronaldo a gennaio 2023 subito dopo il mondiale in Qatar) ha poi allargato lo scenario spostando la distribuzione del talento.
Per la prima volta negli ultimi 10 anni, contestualmente al dominio inglese, abbiamo sperimentato un fenomeno sostanzialmente nuovo: la presenza sul mercato di campionati la cui forza economica non era proporzionale al loro blasone storico ed alla tradizione del proprio movimento, tradotta in presenza di talento domestico nelle loro squadre.
In tutto questo non va dimenticato che dal 1995 in poi gli USA hanno sviluppato il loro movimento calcistico interno a modo loro ovvero fregandosene sostanzialmente di quello che accadeva nel resto del mondo e dandosi delle regole su professionismo e distribuzione del talento basate sulla centralità delle leghe e non dei club (qui trovate un interessante articolo sul tema).
A questi macro-fenomeni dobbiamo aggiungere ovviamente le regolamentazioni di mercato.
anni ‘80 un mercato prevalentemente domestico
anni ‘90 un progressivo allargamento delle maglie (il terzo straniero, poi la liberalizzazione ma con limiti allo schieramento in campo) fino al ‘95
anni 2000 un mercato compiutamente globalizzato con diversi flussi interni (neomecenatismo, disarticolazione, ascesa americana) al suo interno.
Nel 1967 il Celtic vinse la Coppa dei Campioni con giocatori nati tutti nell’hinterland di Glasgow. Cito spesso questo fatto perché ritengo utile mettersi nei panni di un osservatore calcistico chiamato a creare una squadra allora ed oggi.
Il livello di complessità delle scelte negli ultimi 60 anni è cresciuto in maniera iperbolica. Ed è anche sempre più difficile analizzare i fenomeni, perché per un Retegui che va in Arabia Saudita c’è un Nico Williams che giura amore all’Athletic Bilbao o un Erling Haaland la cui carriera (Salisburgo - Dortmund - Manchester) sembra uscita da un foglio excel di pianificazione aziendale.
Questo perché poi nell’analisi non possiamo mai perdere di vista il tema individuale (che a sua volta si porta dietro tante valutazioni specifiche: età, vissuto, esperienze).
Impossibile quindi ricondurre tutto ad unità.
Cosa ci dicono tutti questi elementi messi insieme?
Innanzitutto di quanto sia difficile oggi individuare e reclutare il talento in giro per il mondo.
In secondo luogo di quanto strumenti di lettura avanzati (dati, AI e quant’altro) siano sempre più necessari per non affidarsi alla pura intuizione.
In terza battuta di come alle valutazioni tecniche si sovrappongano poi quelle economiche, perché il mercato non lo si fa semplicemente individuando il giocatore target ma pesando le soluzioni in base alle opportunità in entrata e in uscita.
Questo ad esempio genera flussi di mercato anomali o quantomeno inediti come il crescente numero di giocatori della Premier League che arrivano in Serie A.
E naturalmente ci sono valutazioni specifiche su: quale club sei, in quale categoria giochi, quale è il tuo obiettivo, quale il tuo modello di business.
E infine, ovviamente, ci sono le valutazioni individuali: cosa farebbero oggi il Messi e il Cristiano Ronaldo del 2006? Stiamo pur sempre parlando di un gioco di squadra dove i talenti naturali alzano il livello del collettivo ma dove al contempo il collettivo (e gli elementi esterni: Lega, avversari) non sono una variabile indipendente rispetto alla traiettoria professionale di un fuoriclasse.
Ecco perché, personalmente, non mi stupisco dei movimenti di talento verso l’Arabia Saudita. Preferirei piuttosto una Lega Calcio capace, senza retorica e senza infingimenti, di fotografare cosa rappresenta oggi la Serie A nello scenario mondiale, raccontando cosa può essere e diventare in prospettiva. Una visione che non c’è, o che quantomeno non viene espressa sul piano comunicativo (e che quindi manca nel dibattito collettivo).
Rimaniamo con le spiegazioni sommarie del presidente della Figc, Gabriele Gravina: «Retegui-Arabia? Dispiace, ma è un effetto negativo della globalizzazione». Ovvero sostanzialmente quello che i brasiliani dicevano nei primi anni ‘80 quando saccheggiammo la loro nazionale del 1982 dopo averla battuta 3-2 in Spagna.
Roba da Allenatore nel pallone. Ma si sa, sauditi sono sempre gli altri.
Fubolitix è una pubblicazione gratuita, e lo sarà sempre, perché la conoscenza dev’essere libera e quindi accessibile a tutti. Al contempo, per fare in modo che lo sia va opportunamente sostenuta economicamente.
E quindi, se vuoi supportare il mio lavoro puoi sottoscrivere un piano a pagamento oppure condividere questa mail con chi ritieni possa essere interessato. Grazie!
Note a margine.
Fare sindacato senza il sindacato. FIFA ha organizzato un incontro pre‑Club World Cup con alcune associazioni di calciatori, escludendo però FIFPRO, la più grande al mondo con circa 65 000 tesserati. Per questo FIFPRO accusa FIFA di atteggiamenti autoritari e di dare priorità ai profitti rispetto alla salute dei giocatori. La disputa continua e includerà azioni legali presso l’UE per presunte violazioni nel calendario globale.
Appropriazione culturale. A conferma di quanto dicevo in “La crisi della narrazione sportiva influenza anche le scelte di campo” la FIFA ha organizzato alla Trump Tower in cui ha aperto un nuovo ufficio di rappresentanza una festa di chiusura del mondiale per club che il Presidente Gianni Infantino sogna di poter un giorno veder ribattezzata Coppa Infantino, come un tempo fu per la Rimet. Ebbene gli ex calciatori, che quando si tratta di congelare la coscienza critica non sono secondi a nessuno, hanno elogiato il torneo senza se e senza ma e negli ultimi giorni la tendenza a raccontare i grandi premi in denaro. A nessuno più interessa il flop di cui si parlava un anno fa con la riduzione del montepremi da 4 a 1 miliardo (altissimo, sia chiaro), gli stadi per lo più semivuoti, ma anche l’accordo Dazn / Arabia Saudita sui diritti tv che ha sostanzialmente portato il calcio in una nuova era in cui la sosteniblilità non è più nemmeno uno slogan.
SkyBasket24. Il basket di serie A torna su Sky (e su Now) fino al 2028. Aggiudicandosi il pacchetto “Pay Plus” Sky trasmetterà sessanta partite di regular season: due partite a weekend, una il sabato e una la domenica, comprensive del big match di giornata. Questa la più importante delibera dell’Assemblea di Lega di ieri che ha anche dato il via all’era della presidenza di Maurizio Gherardini. La seduta si è rivelata interlocutoria, invece, per i diritti in chiaro e per lo streaming. Nel primo caso in corsa ci sarebbero Rai, Mediaset e Warner-Discovery con i canali Nove e Dmax, partita aperta anche per lo streaming. In un primo momento Dazn sembrava favorita per aggiudicarsi i diritti ereditati nel 2022 tramite l’acquisizione di Eleven Sports, ora invece c’è incertezza. Oltre a Dazn in lizza anche Warner Bros, proprietaria della app Discovery+, ma occhio alla terza via, ovvero la nascita di una Lba Tv simile a Lnp Pass di A2 e B. In questo caso la produzione verrebbe affidata alla torinese Deltatre.
Outro.
Ha vinto il Chelsea.
Nel frattempo si è chiuso il Mondiale per club e la presenza ingombrante (?) di Donald Trump sul palco durante la premiazione del Chelsea mi ha ricordato tanto la mantella vestita da Messi al termine di Qatar 2022. Ma io sono uno che non si scandalizza e quindi ricordo bene anche il sombrero di Maradona nel 1986, giusto per dire che ogni epoca calcistica fa i conti con i suoi poteri e le sue appropriazioni culturali.
Ha vinto una squadra che il 6 luglio scorso è stata sanzionata dalla UEFA per violazioni del Fair play finanziario. E di cui ho già parlato in “Coppe fasulle e dove trovarle”.
Ma soprattutto ha vinto contro la squadra Campione d’Europa. Come a dire che quella piramidalità discendente del talento di cui parlavo prima oggi non è così scontata. Ed allo stesso modo la piramidalità delle competizioni, l’essere - per dire - chiamati Campioni del Mondo, d’Europa o d’Inghilterra, non ha tutta questa rilevanza in fondo e dice oggi molto meno che in passato di una squadra e del suo valore reale.
Il Chelsea vincitore della Conference nemmeno giocherà la Supercoppa, ma nel frattempo ha battuto il Paris Saint-Germain vincitore della Champions. E anche quelli che hanno perso tempo a parlare di campionato allenante e non allenante sono serviti: il 15 luglio ha vinto la squadra presumibilmente cotta.
A me in fondo questo calcio poliedrico e multiforme che sfugge ai pronostici piace.
Ed è per questo che continuo ad interessarmi più ai bilanci che al campo: la crescente imprevedibilità impone prudenza e programmazione perché nel bilancio tra rischi e opportunità lo sport più popolare del mondo vede la bilancia pendere decisamente verso il piatto rischi.
Con buona pace degli apocalittici.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
Articolo come sempre davvero ben elaborato, grazie mille!
Sono d'accordo sulle conseguenze, e in parte sulle cause, dove forse mi sarebbe piaciuto leggere di più sul problema interno piuttosto che sui fattori esterni (che di certo non fanno una piega).
Il Calcio è diventato un prodotto che fa girare troppi soldi, così come l'industria musicale per esempio, con la perdita di principi e valori che hanno sempre contraddistinto le caratteristiche degli sport. Di conseguenza l'avidità generale, dove tutti vogliono una fetta (sempre più grande) di questa torta che ancora genera numeri da capogiro, la sta' facendo da padrone.
Non so se questa bolla scoppierà mai, in quanto è uno sport (o forse dovremmo chiamarlo spettacolo ora?) troppo radicato, e se non verranno adottate misure per ridimensionarlo a dovere, troverà terra fertile solo dove regneranno potere ed ignoranza.