La fine dei diritti tv (per come li abbiamo conosciuti)
Mercato in evoluzione tra chi chiede di investire nelle autoproduzioni, i sauditi che vogliono prendere un pezzo di Dazn e un mercato sportivo che nonostante i miliardi non è mai sostenibile
Berlino, 10 ottobre 2024
Trovo la televisione molto educativa: appena qualcuno l'accende vado in un altra stanza a leggere un libro. (Groucho Marx)
Il business del calcio (direi anche dello sport in generale, ma con molti distinguo) è tra i più rischiosi al mondo per una ragione che è presto spiegata.
Il club ricavano soldi da diritti tv, sponsor e merchandising.
Ma la fetta più grande riguarda i primi - i ricavi dalla vendita delle trasmissioni live delle partite - che, benché diano l’impressione di avere una certa stabilità, quasi garantita nel lungo termine, sono in realtà molto più variabili di quanto non sembri.
Innanzitutto perché si tratta di una voce che dipende da un mercato molto limitato, in cui per ogni paese ci sono pochissime realtà come potenziali acquirenti.
Inoltre gran parte dei diritti tv sono strettamente legati ai risultati del campo. Per massimizzare, i grandi club devono giocare le coppe europee, mentre i piccoli devono garantirsi la permanenza nella massima serie del loro Paese.
Gli alti e bassi dei ricavi fanno parte di qualsiasi business ma la struttura attuale dello sport europeo risulta particolarmente (eccessivamente) volatile.
Nei giorni scorsi il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, è tornato ad esprimere una sua idea che porta avanti da tempo: la Serie A deve pensare di autoprodursi.
Qui devo fare un breve inciso personale per non essere accusato di conflitto d’interessi. De Laurentiis cita l’azienda per la quale lavoro (OneFootball) ma non è questo il punto più importante di quanto sostiene. Il fatto che indichi espressamente OF (in virtù di un progetto, quello delle amichevoli estive 2024 del suo Napoli, che evidentemente lo ha soddisfatto sul piano operativo, distributivo e dei ricavi) è del tutto disgiunto dall’analisi complessiva di scenario.
L’idea è presto spiegata: il presidente del Napoli da tempo ha un obiettivo di lungo periodo che spera di raggiungere, ovvero non dover più dipendere dai broadcaster, ma avere in mano il prodotto più importante e poterlo gestire (produrre e distribuire) in prima persona e attraverso la Lega calcio.
Fin qui, tuttavia, non esiste un modello vincente in tal senso.
Sul blog legato alla sua società di consulenza, Roger Mitchell - che tra i vari ruoli ricoperti nella sua carriera è l’ex Ceo della Scottish Professional Football League (SPFL) - prende le mosse da un articolo del Daily Mail, che nel febbraio 2023 parlava grosso modo negli stessi termini di De Laurentiis, e racconta come all’inizio degli anni 2000 il suo tentativo di fare questa operazione in Scozia non ebbe succeso.
Ed arriva ad una conclusione:
…queste storie emergono sempre quando inizia il periodo di rinegoziazione dei diritti!!! Ma è solo uno stratagemma di contrattazione, come abbiamo visto molte volte prima.
In sostanza è quel che scrivevo io stesso qualche giorno fa in “Perché nessuno si fa un canale di Lega”?
Semplice: perché i rischi sono più delle opportunità, e soprattutto perché significa abbandonare un business complicato ma che fin qui ha garantito lauti introiti.
L’esperienza di Mitchell è interessante perché offre alcuni punti di riflessione dopo una esperienza diretta e va oltre identificando il peccato originale dello sport, risalente agli anni 90: aver ceduto i propri diritti al B2B per incassare subito anziché investire sul lungo periodo.
Questa cosa in Italia si è vista quando da un anno all’altro (il 1996-97 è il primo anno interamente trasmesso in tv) si decise di trasmettere in diretta il 100% delle partite.
Trent’anni dopo ci accorgiamo di quanto invece la Premier League, che fu sempre più cauta e su territorio britannico ancor oggi non trasmette tutto, venne ripagata da un atteggiamento più lento e lungimirante.
Mitchell non smentisce che la Premier league sia stata più lungimirante, ma va oltre: avrebbe dovuto autoprodursi dal giorno uno, disintermediarsi subito, per non trovarsi davanti al dilemma attuale. E chiaramente può dirlo perché lui - pur senza successo - in Scozia perseguì questa idea di autoproduzione.
Piccola parentesi storica: la Premier League nacque accaparrandosi i diritti tv dalla Football Association (che prima del 92/93 li distribuiva su tutte le categorie inglesi) perché i club, in difficoltà finanziarie, dovevano far fronte agli investimenti del Taylor Report del 1990. Fu una strategia inevitabile, dettata dall’immediata necessità di liquidità. Nonostante questa emergenza non ci fosse in Serie A, siamo riusciti ad essere più avventati e miopi.
Va detto, altrimenti sembra sempre che voglio criticare il nostro campionato, che nell’ultimo decennio chi aveva la responsabilità della commercializzazione dei diritti ha fatto tutto il possibile per aprire opportunità, non potendo fare una totale inversione a U cancellando gli errori degli anni 90.
Ci si è inventati la distribuzione per piattaforme, lo spezzatino televisivo, le coesclusive. C’è stata pure la fortunata apparizione di Dazn che ha evitato un dialogo monopolista in cui a fare il prezzo sarebbe stato l’acquirente. Insomma, in fatto di capacità di sopravvivenza nelle difficoltà non siamo mai secondi a nessuno.
Ma tornando alla Premier League, non sappiamo se oggi sarebbe più o meno ricca ma di certo, autoproducendosi fin dal giorno uno e scegliendo una crescita più lenta ma radicata, avrebbe più stabilità e indipendenza.
Torniamo quindi alle parole di Roger Mitchell:
Il football sta andando nella direzione sbagliata, immettendo sul mercato troppe partite.
(…) l'approccio "less-is-more" della NFL è la strategia corretta per lo sport.
Sono molto pessimista, l’eccesso di offerta uccide l'unicità, l'emozione e il marchio del prodotto, mentre paralizza gli atleti.
Penso anche che la frammentazione dei diritti su così tante emittenti stia confondendo la narrazione rigorosa dello sport; con troppi narratori.
Entrambi questi errori sono dovuti al fatto che i detentori dei diritti e i loro CEO hanno ancora un obiettivo: massimizzare i ricavi iniziali, e al diavolo il marchio, il messaggio e il rapporto qualità-prezzo dei fan.
Come si vede, quindi, il tema è strettamente legato a quello dei calendari.
Il tutto con buona pace di Luciano Spalletti, secondo cui, bontà sua, non si gioca troppo.
Forse varrebbe la pena ricordargli che la sua nazionale gioca una Nations League che in Italia (diritti degli azzurri a parte) al momento non ha un broadcaster che la trasmette: questo significa che l’Uefa ha meno soldi da redistribuire, in particolare ai club che prestano i loro giocatori alle nazionali (e già prendono una miseria).
E prima o poi, statene certi, i club torneranno a rialzare la testa anche su questo tema annoso.
Quanto può durare un sistema inflazionato a tal punto?
Il problema non è certo, come semplicisticamente si vuole dire, che “i giocatori sono esosi e chiedono cifre astronomiche”.
La verità è un’altra: per un calciatore che chiede, tramite il suo agente, ci sono club che non vogliono mettere in discussione il proprio status di vincenti. Sarebbe facile altrimenti dire: noi offriamo questo, puoi andartene a scadenza se non ti sta bene.
E qui si crea il circolo vizioso: il calciatore non vuole perdere soldi, ma i club non vogliono perdere talento.
E gli stessi club non sono al contempo capaci di fare lobby tra loro e raggiungere un gentlemen agreement che li porti a chiudere un capitolo ed aprire una storia del tutto nuova: evitando una deleteria concorrenza nel breve periodo da cui tutti avrebbero qualcosa da perdere in prospettiva.
Come detto, quindi, il dibattito sul “farsi un canale di Lega” rimane solo una arma contrattuale (sempre più sui generis e il cui potere di convinzione è tutto da vedere) che viene evocata quando bisogna rinnovare i diritti.
La dimostrazione?
La stessa NFL, che poco fa ho indicato come modello virtuoso, ha NFL+, il servizio di streaming della lega.
Ma NFL+ (come racconta Front Office Sports) non partecipa attivamente alla competizione dello streaming sportivo, lasciando spazio a piattaforme come Amazon, Peacock e Netflix per trasmettere le partite.
Sebbene NFL+ offra giochi locali e prime-time su dispositivi mobili, la lega preferisce non competere con i suoi partner principali per ora. Tuttavia, il servizio ha milioni di abbonati e sta crescendo. L'NFL continua a valutare possibili strategie future per sfruttare il servizio.
E del resto la stessa cosa possiamo dire per le piattaforme di Uefa e Fifa, esistono, ma le federazioni internazionali ben si guardano dal dire che possano in qualche modo rimpiazzare i loro lauti contratti televisivi, sia quelli più consistenti che quelli minori. Ad esempio sui mondiali di calcio femminile la Fifa a fronte delle offerte basse dei broadcaster ha preferito il lobbismo politico, chiedendo ai governi di intervenire per forzare le offerte, anziché la strada dell’autoproduzione.
A questo punto cosa c’entrano i sauditi?
Qualche settimana fa SportsProMedia si chiedeva “A quando una Venu Europea?”.
Domanda che necessita di una piccola spiegazione di contesto: Venu è una piattaforma americana che fonde le esperienze di ESPN (Disney), Fox e Warner Bros. La sua nascita ha messo in difficoltà Fubo Tv, piattaforma sempre orientata allo sport che riuniva i canali partner in una unica realtà distribuendo poi i ricavi in proporzione (come ho già detto sono un fan del modello di Fubo al punto che questa newsletter prende in parte il suo nome).
Al di là delle contestazioni antitrust, quello che è chiaro è che negli USA - dopo il cord-cutting ovvero il progressivo abbandono dell’utenza delle tv via cavo - è in fase molto avanzata il risiko televisivo animato dal mercato sportivo, che a breve porterà a nuovi equilibri.
In Europa resiste finora un mercato frammentato stato per stato, ma l’Ue ha già legiferato contro il geoblocking (dicembre 2023) e chiaramente la situazione è in divenire.
Ecco perché la notizia di qualche giorno fa di un investimento saudita (attraverso il fondo PIF) in DAZN (10% per 1 miliardo) potrebbe essere la mossa in grado di spostare in là i tempi. La piattaforma vede migliorare i suoi conti ma è ben lontana dalla sostenibilità. Aprire il capitale diventa inevitabile e può spostare in là di qualche anno la resa dei conti.
Anche perché quando i sauditi arrivano nel mercato e possono fare loro i prezzi (come abbiamo visto per la Saudi Pro League), il mercato non si può più chiamare tale e le logiche non rispondono puramente alla domanda offerta.
È la stessa logica di cui parlavo in questo video: mentre gli americani hanno una concezione economica di mercato basata sulla crescita e sul rischio, gli arabi investono in asset, intervengono quando vedono la possibilità di poter dominare e fare loro le regole. E questa mossa televisiva non fa eccezione.
In sintesi quindi:
il mercato dei diritti tv continua ad essere in crisi (ne avevo scritto ampiamente anche su Il Riformista);
l’autoproduzione è un tema troppo leggero per poter rappresentare una vera soluzione, anche se investimenti in questa direzione - pus senza abbandonare il rapporto coi broadcaster - sembrano inevitabili;
negli USA è iniziato il risiko televisivo sportivo;
l’Europa, sulla quale pende la scure della fine annunciata del geoblocking, è sempre nel mirino dei sauditi, i cui obiettivi storicamente portano il tema fuori dall’alveo delle pure logiche di mercato.
In sostanza tra congiuntura sfavorevole, incognite legate all’antitrust, necessità impellenti, debolezze di mercato e appetiti mecenatistici che confermano le mire arabe sullo sport, il mondo dei diritti tv come lo abbiamo conosciuto è arrivato al tramonto.
Basti dire che Sky, storico partner televisivo della Serie A, dopo essersi tirato fuori 4 anni fa non ha minimamente ipotizzato di tornare a riprendersi il massimo campionato.
Per capire gli scenari futuri non rimane che seguire passo passo quello che accadrà nei prossimi mesi a tutti i livelli. La cosa migliore ovviamente è seguire Fubolitix :)
Note a margine.
I costi del calcio in Italia. A inizio stagione ci sono state due ricerche, di Calcio e Finanza e Il Foglio che hanno confermato un dato: i costi degli abbonamenti per seguire il calcio in Italia non sono assolutamente superiori a quelli degli altri paesi, anche quando parametrati ai salari medi. Il punto chiave della percezione (errata) che si ha lo spiega Il Foglio:
I prezzi di Dazn in Italia sono coerenti con quelli delle emittenti straniere. La questione è un’altra e riguarda il rincaro.
Dazn è infatti entrata nel mercato italiano con prezzi popolari, molto bassi (19,99 euro al mese) che evidentemente non sono bastati per coprire la spesa sostenuta al momento dell’acquisizione dei diritti.
Aumento del prezzo (del 20 per cento) e impoverimento dei programmi (con tanti professionisti lasciati a casa) hanno prodotto un calo dell’audience.
Bundesliga, tutto da rifare. Anche nella, solitamente, efficiente Germania qualcosa non torna. La Bundesliga è stata costretta a riaprire l'asta per il pacchetto principale dei diritti televisivi domestici dopo una battaglia legale vinta da DAZN contro la DFL (Lega Calcio Tedesca). DAZN aveva fatto ricorso contro l'assegnazione del pacchetto B a Sky Deutschland, sostenendo che la sua offerta, la più alta economicamente, fosse stata rifiutata ingiustamente a causa di un ritardo nella presentazione di una garanzia bancaria, cosa che non era stata richiesta in aste precedenti. Il tribunale ha parzialmente accolto le argomentazioni di DAZN, portando la DFL a sospendere l'assegnazione e a pianificare una nuova asta, prevista per dopo novembre 2024. Questo riapre la competizione tra i broadcaster per i diritti del ciclo 2025-2029.
La mappa. Se volete farvi un’idea di tutte le aziende che lavorano nel mondo televisivo legato allo sport c’è una interessante guida di SportsProMedia che aiuta a capirne complessità e ramificazione.
Outro.
Il futuro del tennis.
Come sapete ogni tanto mi piace fare qualche incursione in uno degli sport che oltre al calcio (insieme a pallavolo e pallamano) maggiormente amo. Ed è il tennis.
Recentemetne The Verge ha pubblicato una analisi approfondita che evidenzia come la tecnologia stia trasformando questo sport, in particolare con l'uso di sistemi di chiamata delle linee automatizzati come Hawk-Eye.
Questa tecnologia, che utilizza l’intelligenza artificiale (AI) - ennesimo esempio da aggiungere a “Come l’IA cambia lo sport che vediamo” - sta sostituendo progressivamente i giudici di linea umani, migliorando la precisione e riducendo gli errori.
Permangono preoccupazioni riguardanti la perdita dell'elemento umano nel gioco. Come spesso accade si teme che l’automazione possa rendere il tennis meno emozionante e privo del dramma legato ai dibattiti sui giudizi controversi. Ma onestamente: davvero preferite l’incertezza all’oggettività? Io no.
Chi sembra vincere sempre sono i bookies, visto il dimostrato crescente interesse per le scommesse sportive, correlato all’aumentata esattezza e affidabilità dei dati utilizzati nel settore del gambling, aprendo così nuove possibilità per chi scommette su eventi live.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
Grazie per la risposta. Il mio pensiero di fondo è che la spinta all'autonomia, se così si può dire, dalle federazioni europee o comunque ad una maggiore integrazione tra club e Uefa/Fifa a livello europeo si fondi su più livelli, tra questi anche quello relativo ai diritti TV: credo che sia solo questione di "quando", e non di "se", e avremo un'idea potenzialmente di successo di autoproduzione da parte di qualcuno in europa che farà saltare il tappo alla bottiglia e allora le spinte autonomiste saranno ancora più "legittimate", non solo dalle sentenze e dalla scontentezza per i calendari congestionati, ma anche dalla dimostrazione pratica che non ci sia bisogno di uefa e fifa per giocare a - e distribuire il - calcio, in soldoni.
Ciao Giovanni, concordo praticamente su tutto ciò che dici relativamente ai diritti TV e aggiungo un mio pensiero personale: nelle scorse newsletter hai parlato spesso della necessità di fornirsi di un modello di regole e procedure strutturato a livello europeo e non solo a livello nazionale, né sotto l'egida/imposizioni dall'alto di uefa e fifa. Immaginarsi un'autoproduzione massiccia a livello continentale per i diritti TV relativi alle coppe europee significherebbe togliere a uefa e fifa uno dei loro, se non il principale, assi nella manica nel mantenimento dell'attuale status quo, inoltre significherebbe riportare in ballo l'annoso tema della Superlega (se mi autoproduco le partite e i contenuti e la loro distribuzione, perche dovrei accettare di giocare sotto legida dell'uefa)? Quindi il tema dei diritti TV è strettamente legato al tema delle recenti sentenze "pro" Superlega e in generale al futuro stesso del calcio (e dello sport in generale) in Europa. Cosa ne pensi?