[110] Il Mondiale per club e il calcio P2P
Non è nemmeno più il caso di scomodare Business to Business (B2B) e Business to Consumer (B2C), l'inutile kermesse americana è Power to Power. Potere per il potere, fuori da ogni logica economica.
Prologo
La newsletter di Flavio Del Fante è, di volta in volta, sempre più motivo d’ispirazione. Nell’ultima edizione “L’inutile dibattito sul Mondiale per club” sottolinea tra le altre cose come Gianni Infantino sia guidato solo da logiche economiche. Inoltre l’inutilità sportiva e mediatica della competizione in corso di svolgimento negli USA, sostenendo che non interessa a nessuno: né ai club, né ai tifosi, né al pubblico americano. Ironizza sullo scarso seguito (stadi semi-vuoti, partite irrilevanti) e ridicolizza chi lo difende, compresi commentatori e influencer ignoranti in materia calcistica. Conclude rassegnato, affermando che il calcio moderno è ormai preda di interessi commerciali inscalfibili.
Le riflessioni di Del Fante meritano sempre di essere lette, secondo me, ma a questo giro credo gli sia sfuggita una contraddizione, che tuttavia mi permette qui di tornare su un tema ciclico di questa newsletter.
Continuando a parlare di interessi economici si crea un cortocircuito: quali interessi economici ci possono essere dietro un torneo che interessa poco chi lo gioca e chi lo guarda ma anche chi lo sponsorizza, che finisce per inflazionare il prodotto che dovrebbe invece valorizzare?
Il punto è questo: un interesse “economico” e “commerciale” è un interesse mosso da regole di mercato che creano valore. Quello che sta facendo la Fifa non lo è. La Fifa non sembra lavorare per la gente (stadi vuoti) secondo una logica B2C (ricavi dai tifosi) e nemmeno per gli sponsor (logica B2B). Infatti è stata l’Arabia Saudita a premettere di chiudere il cerchio e non grandi gruppi come potevano essere Amazon, Apple, Meta, Google, tutti con potenzialità e tutti sicuramente orientati nei loro investimenti alle logiche del mercato e dell’utile.
E cosa hanno in comune Infantino, gli USA e l’Arabia Saudita. La ricerca di potere. Non siamo quindi di fronte ad interessi economici ma politici, di pura ricerca del potere. È l’epoca del P2P, il potere per il potere. Che diventa esso stesso un modello di business, ma escludendo il business dal suo stesso nome ne esclude le logiche (che sono le solite: mercato, crescita, utile).
In Europa stanno i maggiori critici di Infantino e quindi il presidente va a farsi alleati altrove. È lo stesso ragionamento che facevo per i diritti tv. Ne ho parlato in “L’ingresso dei sauditi in tv, scenari e prospettive” in cui tra le altre cose scrissi:
Il rischio di un calcio europeo sostanzialmente in mano a Pif e alla sua necessità di influenza è concreto.
Significa, in buona sostanza, che il fondo saudita può decidere di agire (come del resto sta facendo) fregandosene delle logiche di mercato quando gli conviene, e far pagare a caro prezzo (politico) il suo posizionamento.
La Fifa si sta ponendo sempre più in una posizione post democratica, alleandosi con satrapi o aspiranti tali, promuovendo tornei pletorici ed apparentemente privi di un interesse tecnico. Lo sta facendo a prescindere dall’epilogo, per dare un segno alla Uefa ed ai club europei della loro debolezza: un miliardo sul tavolo anziché quattro, a cui nessuno comunque rinuncia, ed una fame atavica di nuove entrate (che nulla risolveranno sul piano della sostenibilità) per dire al mondo che l’asse del potere calcistico si è spostato fuori dall’Europa, dove i grandi club sono solo sudditi in cerca di nuove regalie (ricavi).
È il calcio P2P. Potere per il potere. Non c’è nulla di legato al business se non una visione distorta ed autodistruttiva. C’è invece il forte posizionamento di un leader che ha imposto un torneo contro ogni logica economica, senza alcun confronto coi protagonisti ed a prescindere dal valore stesso prodotto dal trofeo.
Va bene tutto, ma non chiamateli interessi economici. Non è una sottigliezza da poco.
Questa settimana. Su Fubolitix ho parlato di:
La pallamano spiegata ai calciofili Da quando seguo l'handball mi sono reso conto di come la sua conoscenza mi abbia spinto ad approfondire il calcio, spesso come se i due giochi fossero due opposti sovrapponibili. Provateci anche voi.
La crisi della narrazione sportiva influenza anche le scelte di campo Se provassimo ad abbracciare la complessità dei nostri tempi, anche ridando dignità al giornalismo sportivo, ci renderemmo conto di molte cose che non vanno ma che sfuggono ai più.
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Omofootball. Evie Ashton denuncia l’ipocrisia del calcio maschile: mentre si proclama inclusivo, omofobia e omonegatività persistono. Tali atteggiamenti non nascono da odio esplicito, ma da ambienti dominati da norme eteronormative e patriarcali. Il linguaggio calcistico rafforza una mascolinità tossica, punendo ogni deviazione. Serve educazione culturale profonda. La critica della Ashton è profonda e non è la solita chiacchierata ai quattro venti, ha basi e cultura per indicarci cosa è persistemente sbagliato e in cosa si dovrebbe cambiare.
Mi si nota di più se vengo? FIFA, criticata per aver inizialmente omesso messaggi antirazzisti durante il Mondiale per club, ha trasmesso video contro l’odio in occasione della Giornata Internazionale per il Contrasto ai Discorsi d’Odio. I messaggi sono stati mostrati solo il quinto giorno, poi rimossi dal resto del torneo. La scelta ha sollevato dubbi sulle reali motivazioni, specie considerando i legami tra Infantino e Trump, che ha smantellato politiche di inclusione. Il gesto simbolico delle braccia incrociate, mai usato finora, resta puramente formale. Come dicevamo: potere per il potere.
Questioni di doping. Secondo The Athletic ci sono limiti tangibili non solo nella prevenzione del doping, ma anche nella gestione e nella trasparenza dei procedimenti. Il calcio moderno, con le sue pressioni fisiche ed economiche, sembra dover affrontare una sfida che va oltre i casi isolati, chiedendo un approccio strutturato, più tempestivo e divulgativo. Anche perché se il sistema non reagisce in modo efficace, non solo la carriera dei singoli giocatori rischia, ma anche la credibilità sportiva complessiva. Di una cosa simile avevo parlato in “La caffeina nel calcio, quando la Wada decide cosa è doping (e cosa no)”
La Juve trumpiana. Geosport ha parlato di come la visita della Juventus alla Casa Bianca, con i giocatori americani Weah e McKennie, ha rivelato le criticità dell’intreccio tra sport e politica. Sullo sfondo di tensioni tra la famiglia Agnelli e la premier Meloni – vicina a Trump – l’incontro rischia di apparire strumentale. I calciatori, ridotti a semplici comparse, diventano strumenti di legittimazione politica. In un’epoca in cui le voci degli atleti vengono sempre più silenziate, lo sport finisce per rafforzare agende di potere anziché promuovere valori autonomi.
UdiLakers. La famiglia Buss venderà la quota di maggioranza dei Los Angeles Lakers a Mark Walter per una cifra record di 10 miliardi di dollari, mantenendo però una quota del 15% per un periodo limitato. Jeanie Buss resterà governatrice della squadra. Walter, già azionista di minoranza e CEO di Guggenheim Partners, amplia così il suo portafoglio sportivo. La valutazione dei Lakers potrebbe arrivare a 12 miliardi. Il forte valore della franchigia è sostenuto da ricavi TV locali elevati, nuove trattative sui diritti mediatici NBA e crescita commerciale. L’accordo è soggetto all’approvazione del consiglio della NBA. Lo stesso Walter è dato vicinissimo all’acquisizione dell’Udinese in Italia.
Bolla. Gerry Cardinale, fondatore di RedBird Capital e proprietario dell'AC Milan, ha dichiarato che al momento non è interessato ad acquisire quote di minoranza in squadre sportive statunitensi, ritenendo le valutazioni troppo gonfiate. Secondo lui, c’è una “bolla degli asset” nello sport, alimentata da aspettative eccessive sui diritti TV. Pur credendo nel potenziale economico dello sport, Cardinale chiede una “normalizzazione” dei prezzi d’ingresso. Ha anche espresso dubbi sulla sostenibilità dei modelli di business attuali e sottolineato l’importanza di nuove strategie di monetizzazione legate alla proprietà intellettuale delle squadre.
Polvere di Sinner. Se siete un po’ stanchi della narrazione a senso unico su Jannik Sinner c’è la newsletter Warning di Claudio Giuliani che nell’ultimo numero scrive:
Oggi intorno allo sport c'è chi scrive per criticare artatamente perché gli servono i click, un esempio: Repubblica oggi titola "Sinner il primo posto del ranking è a rischio, Jannik può perdere il trono dopo gli US Open". Come se non fosse tutto normale.
Poi c'è questo nuovo fenomeno degli influencer che provano a pagarsi le vacanze in Grecia sulla pelle dei giocatori che dicono di amare. Sono profonde regressioni etiche, d'altronde siamo nel 2025 e ancora pensiamo di risolvere i problemi lanciando bombe. Comunque leggere questi commenti online è una cosa che ci fa sentire molto intelligenti.
Epilogo
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Nel numero precedente a questa newsletter, in cui ho provato a spiegare perché secondo me il calcio giocato è influenzato anche dalla sua narrazione, mi sono concentrato in particolare sul ruolo dei calciatori nel dibattito giornalistico e in particolare televisivo. A tal proposito ci tengo a sottolineare che quel che ho detto l’ho detto in linea di principio e vale quindi anche nelle querelle tra i calciatori. Anni fa ad esempio Roberto Baggio disse che ci sono opinionisti che non sanno fare tre palleggi. Ebbene, io credo che per essere opinionisti non serva fare tre palleggi ma si debba essere giudicati per la qualità di quello che si racconta. E questo vale anche se il personaggio a cui presumibilimente quelle parole erano indirizzate, che a volte confonde il ruolo di opinionista con quello di messia, e che quindi può essere criticato per i toni e per i contenuti, ma non per la qualità mostrata in campo, altrimenti si cade nel suo stesso errore con una imbarazzante circolarità.
Oggi ho avuto una giornataccia di quelle che non augurerei neanche al mio peggio nemico, quindi ho completamente perso questo pezzo. Non ho parole per ringraziarti della menzione e delle belle parole, mi hai davvero migliorato la serata e domani avrà tutto un altro sapore. Per questo tengo a risponderti ora, in un orario in cui non mi leggerà nessuno.
Io ho parlato, o meglio, sono partito dagli interessi economici perché, a mio avviso, non sono scindibili da quelli puramente politici. Soldi e potere si sostengono, si completano, sono necessari l'uno all'altro. Infantino la sa bene, e usa i soldi per il potere e il potere per i soldi. Creando dal nulla un torneo come questo, con quel montepremi, assicura a un calcio sempre più affamato di soldi un futuro in cui non importa che cosa succederà, quali danni farà, perché ci sarà un pozzo senza fondo da cui attingere: la sua FIFA. Il messaggio è chiaro: solo io sono in grado di fare queste cose, quindi dovete seguirmi. Appoggiarmi. Venire a chiedermi più posti, più partite, più occasioni. Così si garantisce un sostegno quasi cieco da parte dei club più grandi, importanti e influenti al mondo, scavalcando una UEFA che non può spingersi fin dove si spinge lui. Soldi per potere, potere per soldi. Non esiste l'uno senza l'altro. Forse l'ho dato troppo per scontato. Ma lunedì esce un altro pezzo su questo tema, è già programmato.
Le critiche a Gianni Infantino sono giuste. Però non sono d’accordo con l’affirmazione che i club e i tifosi non si interessano per la competizione. Può essere la verità europea, ma per i club e suoi tifosi nella Sud America è un evento molto importante e aspettato.