Miracolo in Serie A, stadi brutti ma pieni
Ci hanno spiegato che servivano stadi belli e di proprietà per portare la gente allo stadio, ed invece l'affluenza registra numeri record anche senza: proviamo a riflettere fuori dai soliti cliché
Brescia, 18 dicembre 2024
Fede è andare allo stadio quando puoi vedere la partita in televisione.
(Dino Risi)
Oggi voglio tornare sul tema che ho affrontato sabato a proposito delle presenze negli stadi in “Più stadio, meno tv: la svolta silenziosa” in cui in sostanza dicevo:
Mentre gli impianti registrano affluenze record che ci riportano agli anni 90 gli ascolti tv scendono considerevolmente, ma i manovratori non vogliono accorgersene e vanno dritti per la loro strada.
Lasciamo perdere le tv e concentriamoci sullo stadio.
I dati sono interessanti. Ieri ad esempio Calcio e Finanza evidenziava tra le altre cose che l’indice di riempimento medio degli stadi italiani di Serie A quest’anno è del 92,8%.
Nel 2015 (fonte: Panorama) eravamo al 55%.
Primo dato da rilevare: gli scenari cambiano più velocemente di quanto non cambino le opinioni di analisti, giornalisti, tuttocampisti, innamorati delle loro idee senza che i fatti le supportino.
Secondo dato: dal 2015 ad oggi il riempimento degli stadi è raddoppiato, ma appunto nessuno se ne è accorto e leggiamo le stesse cose sul tema.
Poi c’è il “si dice”: ci hanno detto per almeno 2 decenni che gli stadi sarebbero tornati a riempirsi solo dopo copiosi investimenti e una sostanziale privatizzazione con annessa americanizzazione dello spettacolo.
Ed invece questo cambiamento negli impianti oggi non risulta, al contrario gli stadi rimangono brutti e da rinnovare, pochi sono i casi virtuosi (Atalanta ultima in ordine di tempo e poi le solite note: Juve, Udinese…), e le leggi non aiutano a conferma del fatto che gli ultimi due decenni sono stati persi.
Attenzione però: non sto dicendo che il rinnovamento non sia una necessità.
Lo è, ma va capita e contestualizzata questa necessità, per poter delineare come e perché questo rinnovamento deve avvenire, senza infingimenti e senza verità un tanto al chilo.
La gente è tornata allo stadio a prescindere da tutto quel che si è detto in questi anni, come dimostrano le affluenze medie di questa stagione, che hanno riportato numeri simili a quelli del 1992/93, e che non sono episodiche ma stanno dentro ad un ciclo virtuoso inaugurato dalla riapertura post pandemica fino ad oggi.
Un miracolo. Non ci sono stadi di proprietà in numero maggiore. E continuiamo a vedere più render e progetti di carta che opere, più dibattiti comunali che inaugurazioni.
Quindi non era vero che la gente non andava allo stadio perché gli stadi erano brutti.
Perché questo ci è stato raccontato, tra le altre cose.
E qui si possono abbozzare tre possibili spiegazioni al fenomeno:
la marcata competizione interna che vede diverse squadre (e i relativi tifosi) sognare lo scudetto dopo che nel decennio precedente una ne ha vinti 9 di fila. Se quest’anno vincesse l’Atalanta sarebbero 5 club diversi in 6 anni, cosa simile a quello che in Italia accadde l’ultima volta proprio a cavallo degli anni ‘90 (1985-1991: Verona, Juve, Napoli, Milan, Inter, Samp: 6 su 7);
una tendenza generazionale a partecipare agli eventi più che in passato: in un mondo in cui le esperienze sono per lo più digitali vi è sempre più la voglia di essere presenti;
l’influenza dei social media (ebbene si, possiamo parlare dei social anche in positivo, incredibile!) e di un loro piccolo paradosso: i contenuti postati sono artificiali ma devono riflettere esperienze reali, ed ecco allora che un nuovo e crescente pubblico (anche femminile, ad esempio) è portato ad essere negli stadi, per apparire. Per dare un senso di originalità, unicità, privilegio vorrei quasi dire…
È un tema ampio ma a cui vi invito a contribuire nei commenti. Se volete. Partendo da questi tre punti, con una mia personale postilla: mentre il secondo e il terzo erano sostanzialmente imprevedibili il primo, ovvero il tema della competitività interna, dovrebbe essere una priorità assoluta di chi promuove gli eventi e organizza le leghe e le loro regole sportive ed economico finanziarie.
Al tema stadi, se volete, ho dedicato alcuni video negli ultimi anni, che mi sembrano tornare di grande attualità, offrendo un punto di vista diverso dal solito:
sul tema delle leggi italiane: “Da San Siro all’Europa, la questione stadi non è solo burocrazia“;
sul tema di proprietà e conti: “San Siro e Allianz, quanto pesa lo stadio di proprietà?“;
sul tema degli stadi di proprietà in inglese: “3 club inglesi che non sono proprietari del loro stadio” (da allora il Newcastle è diventato Saudita e la nuova proprietà lo ha acquistato… ma prezzi e operazioni sono fuori mercato e in qualche modo confermano la mia tesi).
Tempo fa parlando di Premier League dicevo:
In Inghilterra non ci sono gli stadi pieni perché belli, ma belli perché pieni.
In altre parole: gli stadi inglesi erano pieni anche negli anni dell’hooliganismo quando erano brutti, scomodi e si stava in piedi senza alternative possibili.
Sarebbe stupido dire quindi che sono pieni in quanto belli. Erano pieni anche quando brutti e poco sicuri.
Dopo di che negli anni ‘90 sono stati trasformati per renderli più sicuri (necessità politica), ma soprattutto più redditizi (necessità economico-sportiva).
Sembrerà una banalità ma la gente va allo stadio per la partita, non per la birra (soprattutto in Italia eh…), e ricordarlo serve a mettere nel giusto ordine priorità che si tende a dimenticare.
Personalmente rimango critico con l’idea della privatizzazione degli stadi come panacea di tutti i mali.
Credo invece che comuni e club debbano ragionare sulle migliori formule possibili per promuovere impianti più belli, sicuri, redditizi.
Comunali? Anche, perché no? Affidati a concessioni ampie sulla gestione che prevedano anche i lavori straordinari (come il Manchester City all’Etihad col comune di Manchester, per dire).
Il tutto senza per questo indebitare i club a fini immobiliaristi. Avete presente il Tottenham? Ha milioni da pagare e continua a non vincere… scegliete voi.
E senza cadere nella narrazione supercazzolara degli stadi attivi 24/7 o degli stadi centri commerciali, che non esistono da nessuna parte ma da noi vengono continuamente evocati.
Stiamo parlando di calcio? Di tifo e di passione della gente? O stiamo parlando di altro? E se stiamo parlando di altro, quando parliamo di stadi e investimenti, parliamo di qualcosa che è funzionale allo sport o è funzionale ad altri interessi e va a volte anche in direzione opposta?
Rimango convinto, insomma, che - per fare un esempio - l’Atalanta abbia fatto una grande operazione sullo stadio, ma che da prima in classifica lo avrebbe riempito a prescindere.
È sempre bene ribadire, quindi, che lo stadio si riempie con il contenuto, non con la forma.
E magari ricordare anche che il contenuto che fa la differenza - altro dettaglio non secondario che va ricordato ai maestri della supercazzola - non è il belgiuoco ma l’emozione di una competizione in cui il maggior numero di squadre possibile può ambire ai premi più prestigiosi.
Perché in questo senso non risulta che il calcio italiano sia più europeo come lo definiscono i belgiochisti quando devono parlare di calcio bello da vedere, ma a quanto pare la gente allo stadio ci va a prescindere.
Del resto non risultano troppi critici dell’Allegri vincente - per dire - ma solo di quello delle ultime stagioni. Eppure “Marlon Brando è sempre lui” avrebbe detto Luciano Ligabue.
Come spesso accade i problemi li risolvi in maniera tangenziale, trasversale, indiretta. E gli stadi si riempiono lavorando su competitività e competizione interna di una lega. Ed è su questo che si dovrebbe riflettere, per dedicarsi poi in un secondo momento, a stadi pieni, all’ottimizzazione dei ricavi.
Note a margine.
Scommesse. L'articolo "Sports Gambling Thrives On Clicks, Not Community" di Dan McQuade, pubblicato su Defector il 10 dicembre 2024, analizza l'impatto della legalizzazione delle scommesse sportive negli Stati Uniti, che ha portato a una sovrapposizione tra giornalismo sportivo e promozione delle scommesse. McQuade sottolinea che, nonostante la legalizzazione mirasse a creare un ambiente di scommesse più comunitario, la realtà è che molti scommettitori piazzano le loro puntate in solitudine tramite app mobili, riducendo l'aspetto sociale dell'esperienza. Infine, l'articolo menziona studi che indicano un deterioramento della salute finanziaria dei consumatori nelle aree dove le scommesse sportive sono state legalizzate, con un calo dei punteggi di credito e un aumento dell'indebitamento eccessivo.
Fra gli ultras. Sabato parlavo della casa editrice 66thand2nd e della sua ottima produzione legata allo sport. E tra le segnalazioni che mi sento di fare c’è "Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo" un libro di James Montague che esplora la sottocultura degli ultras nel calcio a livello globale. L'autore viaggia attraverso quattro continenti, immergendosi nelle realtà dei barras bravas argentini, degli Irriducibili italiani, dei Delije serbi e dei Rodychi ucraini, tra gli altri. Montague analizza come gli ultras rappresentino una forma di resistenza al conformismo, alla repressione delle autorità e alla commercializzazione del calcio, mantenendo viva la passione autentica per lo sport. Il libro offre un ritratto approfondito di queste comunità, evidenziandone contraddizioni e fascino. E io credo meriti di essere letto soprattutto perché non si finisca, nel dibattito sul movimento ultras anche italiano, ad oscillare puramente tra criminalizzazione e santificazione, ma si abbia uno sguardo chiaro su quello che è il fenomeno del tifo e cosa implica nel bene e nel male.
Intanto Abramovich. La scorsa settimana, il Servizio di Sicurezza e Intelligence (SIS) della Moldavia ha pubblicato un rapporto che denuncia interferenze elettorali russe nelle elezioni presidenziali di ottobre. Il rapporto accusa il magnate russo Roman Abramovich di aver giocato un ruolo chiave in questi tentativi di manipolazione. Ne parla Karim Zidan in SportPolitika.
Outro.
Diritti tv che valgono.
BBC e ITV si sono aggiudicate i diritti tv dei mondiali 2026 e 2030 in Gran Bretagna.
È una notizia che conferma alcune cose di cui abbiamo parlato in questi giorni:
i tornei estivi non sono appetibili alle tv a pagamento, perché non spostano abbonati;
la FIFA preferisce fare accordi multiedizione per non rischiare contraccolpi di mercato.
La FIFA stessa spiega che il 2024 è stato un anno di successo per la vendita dei diritti tv del Mondiale, con la «firma di accordi di trasmissione in oltre 20 mercati, con ulteriori accordi previsti a breve».
Il che significa appunto che l’accordo con Dazn per i mondiali per club è un qualcosa che esce totalmente dalle logiche di mercato, come scrivevo nei giorni scorsi.
Anche per oggi è tutto. A presto!
Giovanni
È ovvio che i presidenti vogliano stadi di proprietà per generare profitti mostruosi, non penso che una persona investa milioni e milioni per il gusto di farlo ma perché vuole investire, generare valore ed eventualmente rivendere bene. Se si tiene a mente che DAZN costa 45 euro al mese quindi 500 euro l'anno ci si rende conto che l'abbonamento a uno stadio in alcuni settori cosa di meno (per diverse squadre di serie A) ed ecco spiegato il riempimento degli stadi secondo me. Senza contare che la qualità del prodotto televisivo secondo me è decine di migliaia di volte inferiore a quello che proponeva Sky e che quindi, magari, divanava molti tifosi.